Quando il fumetto racconta l'emancipazione femminile
Dimenticate supereroi, pin-up conturbanti e fanciulle indifese. Per quanto ancora quello del fumetto non sia un mondo particolarmente paritario, negli ultimi anni sono stati tanti i passi in avanti fatti per includere la penna e il punto di vista femminile sul mondo. Dalle biografie illustrate di donne straordinarie alla rappresentazione delle lotte per i diritti, le fumettiste sono riuscite a sdoganare argomenti che, prima di loro, nessuno aveva avuto la sensibilità di trattare. E l’emancipazione si è ritagliata uno spazio consistente nelle graphic novel, ribadendo nero su bianco l’urgenza di superare i pregiudizi. In Italia, diverse sono state le illustratrici che hanno rotto il soffitto di cristallo, imponendosi per bravura ed estro. Cinque di loro hanno raccontato a LetteraDonna la propria esperienza alle prese con le discriminazioni e spiegato i motivi per cui, nell'universo delle vignette, le battaglie femministe stanno iniziando ad avere un riscontro concreto.
SILVIA ROCCHI
DOMANDA. Perché hai deciso di portare un tema come l’emancipazione nel fumetto?RISPOSTA. È stata una conseguenza naturale delle mie azioni e dei miei interessi. Con il ritratto biografico di Alda Merini, ho lavorato sull’esperienza manicomiale della poetessa attraverso un escamotage narrativo che mi ha permesso di ricreare la sua vita a doppio binario. E per l’antologia Post Pink, invece, sono ripartita dall’isteria per collegarmi allo scardinamento degli stereotipi di genere.
Qual è il valore aggiunto che parole e illustrazioni offrono quando si parla di argomenti così urgenti?Il fumetto è una disciplina complessa, che non si riduce alla divisione tra immagini e testo ma crea una terza sintesi che facilita o complica le cose in base a chi lo realizza. Un meccanismo che fa sì che ad ogni lettura emergano domande e spunti sempre nuovi. Forse, è proprio questa la caratteristica che lo rende in grado di affrontare temi così delicati.
Come mai il femminismo, l’emancipazione, il discorso sui diritti delle donne non riescono a diventare mainstream e genderless?In parte lo sono. Ma c’è ancora tanto bisogno di parlarne, trattandoli come tematiche di serie A, discutendone a tutte le età e a tutti i livelli con gli strumenti opportuni.
È ancora difficile per una fumettista ritagliarsi uno spazio in un genere che nasce e si sviluppa storicamente come prevalentemente maschile?Credo e spero di non trovare difficoltà nel mantenere il posto che mi sono guadagnata. È vero che è una lettura storicamente fruita dai ragazzi ma c'è da dire che, fortunatamente, l’arrivo dei manga ha contribuito a renderla abbastanza paritaria.
Ti sei mai trovata a fare i conti con stereotipi di genere o episodi di sessismo sul lavoro? Sta cambiando davvero qualcosa?Sono stata fortunata e non mi sono mai trovata in situazioni del genere. So che capitano, e non le si deve dare per scontate. Perché è così che questo tipo di atteggiamento tende a perpetrarsi, partendo da commenti sgradevoli e arrivando a cose peggiori. Non credo, purtroppo, stia realmente cambiando qualcosa. Le cose migliorano quando si porta avanti un discorso sull’educazione: sono le nuove generazioni a dover adottare uno stile di vita fatto di uguaglianza e libero dalle discriminazioni.
ALICE MILANI
Perché hai deciso di portare un tema come l’emancipazione nel fumetto?Al di là della sua attualità, si tratta di un'istanza che mi sta molto a cuore. Nel mio lavoro su Marie Curie, ho cercato di accostarlo a quello della ricerca, con l’obiettivo di mantenere il giusto equilibrio tra le questioni scientifiche e le vicende private. È stata una delle prime scienziate del secolo, in un’epoca in cui era inconcepibile per le donne ricoprire ruoli di alto livello.
Qual è il valore aggiunto che parole e illustrazioni offrono quando si parla di argomenti così urgenti?Sono nata come disegnatrice, per me è naturale raccontare con le immagini, oltre che col testo. Penso che rappresentare le espressioni dei volti crei una connessione empatica più diretta con il lettore e questo aiuti a far passare meglio certi messaggi.
Come mai il femminismo, l’emancipazione, il discorso sui diritti delle donne non riescono a diventare mainstream e genderless?Attorno a me ne sento parlare parecchio. Purtroppo, però, penso di vivere in un ambiente consapevole e che non rispecchia lo stato della maggior parte della popolazione. Alcuni modi di fare maschilisti sono radicati nella testa di tutti ed è difficile schiodarsi da certe convinzioni. In generale, però, noto che se ne dibatte di più rispetto a qualche anno fa.
È ancora difficile per una fumettista ritagliarsi uno spazio in un genere che nasce e si sviluppa storicamente come prevalentemente maschile?L’ambiente sta diventando sempre più ricco di donne, specialmente della mia età o più piccole. Ci vorranno anni però per avere una parità numerica, sia tra i più giovani che tra i veterani.
Ti sei mai trovata a fare i conti con stereotipi di genere o episodi di sessismo sul lavoro? Sta cambiando davvero qualcosa?Non ho mai subito soprusi così gravi. Qualche uscita poco piacevole da parte di un collega maschio sì, quelle sono comuni. In questi casi bisogna rispondere a tono. La cosa peggiore è rimanere spiazzata e non ribattere. Non si deve abbozzare, bisogna avere la lingua pronta e il cervello fino per prendersi piccole rivincite. Il primo modo per abituare gli uomini al rispetto è correggerne il linguaggio.
SILVIA ZICHE
Perché hai deciso di portare un tema come l’emancipazione nel fumetto?Sento che vengono quotidianamente messi in discussione i nostri diritti fondamentali, ci vengono precluse delle carriere e siamo costrette ad affrontare diffidenza e ironia sessista. Oltre a un antipatico stupore nel momento in cui raggiungiamo degli obiettivi.
Qual è il valore aggiunto che parole e illustrazioni offrono quando si parla di argomenti così urgenti?Quando ti cade lo sguardo su una vignetta, soprattutto se ha un disegno divertente e una didascalia incisiva, non puoi non leggerla. Insomma, se la vedi, l’hai già letta. Conto su questo. Comunicazione immediata, che spero provochi qualche presa di coscienza.
Come mai il femminismo, l’emancipazione, il discorso sui diritti delle donne non riescono a diventare mainstream e genderless?È una delle grandi domande che mi faccio da tempo. Quando manifestiamo il nostro disagio, di solito gli uomini non ci ascoltano. Preferiscono dire che siamo un mistero o continuare a dare retta alla loro narrazione, fatta di eroine in abiti succinti, che niente hanno di veramente femminile. Ma i preconcetti si possono superare solo se cerchiamo di farlo insieme, a prescindere dal sesso. Il mio tentativo è fare libri divertenti sull’argomento, sperando di catturare anche l’attenzione maschile.
È ancora difficile per una fumettista ritagliarsi uno spazio in un genere che nasce e si sviluppa storicamente come prevalentemente maschile? No, ora non è più molto difficile, anche se i grandi maestri rimangono uomini. Sono sicuramente bravissimi, ma ci sono autrici che sono state del tutto dimenticate, come Claire Bretecher o Grazia Nidasio.
Ti sei mai trovata a fare i conti con stereotipi di genere o episodi di sessismo sul lavoro? Sta cambiando davvero qualcosa?Molto tempo fa, all’inizio della mia carriera, sono stata ostacolata da una persona che non capiva perché volessi fare questo lavoro. Devo dire però che gli altri componenti della redazione si sono schierati dalla mia parte. Credo che certe circostanze si possano aggirare o denunciare, è necessaria una grande fiducia in noi stesse. Oggi possiamo cercare di fare carriera nel settore che ci interessa, nessuno ce lo impedisce apertamente, ma dobbiamo comunque faticare di più per essere prese sul serio.
GIORGIA MARRAS
Perché hai deciso di portare un tema come l’emancipazione nel fumetto?Fin da bambina sono sempre stata molto affascinata dalle storie di persone controcorrente. Soprattutto quelle di ragazze che, in qualche modo, riuscivano ad essere libere e non si comportavano come tante delle figure che mi circondavano. Quei racconti mi sono rimasti nel cuore e, nel mio lavoro, ho sempre dirottato lo sguardo su personaggi del genere.
Qual è il valore aggiunto che parole e illustrazioni offrono quando si tratta di parlare di argomenti così urgenti?Mi è sempre venuto naturale affrontarli attraverso questi linguaggi. E non credo lo farò in altri modi. Accostare disegni e frasi, però, non rafforza necessariamente quel che si ha intenzione di trasmettere né gli dà un valore aggiunto, dipende tutto da come l’autore decide di sviscerare la cosa e dai termini che sceglie di usare.
Come mai il femminismo, l’emancipazione, il discorso sui diritti delle donne non riescono a diventare mainstream e genderless?È questione di formazione. Abbiamo sempre frequentato letteratura, arte o storia maschile e questo ha reso difficile dare spazio e autorità alle voci femminili. Spero che le cose cambino e che la produzione artistica non sia più vincolata alle differenze di genere. Per quanto riguarda la trattazione di questioni come l’emancipazione, devo dire che nel settore, negli ultimi 15 anni, di strada ne è stata fatta. Sono aumentate le autrici e si è ampliato l’orizzonte dei racconti che esplorano tematiche diverse da quelle mainstream.
È ancora difficile per una fumettista ritagliarsi uno spazio in un genere che nasce e si sviluppa storicamente come prevalentemente maschile? Diciamo che non c’è un maschilismo esplicito ma il fatto che la maggior parte degli editori e degli autori siano uomini fa sì che si inneschi un meccanismo per cui tendano a supportarsi tra loro. Guardando i programmi dei festival, ad esempio, capita che il cartellone sia occupato per l’85% da una componente maschile.
Ti sei mai trovata a fare i conti con stereotipi di genere o episodi di sessismo sul lavoro? Sta davvero cambiando qualcosa?Mi è capitato di non essere presa sul serio da alcuni datori di lavoro. Mi trattavano come se fossi una bambina o si permettevano di fare commenti sul mio modo di vestire. Addirittura, c’è stata gente che ha insinuato che io avessi ottenuto un determinato progetto per il mio aspetto fisico. Insomma cose che a un uomo non avrebbero mai e poi mai detto. Per noi, purtroppo, è ordinaria amministrazione.
LORENZA NATARELLA
Perché hai deciso di portare un tema come l’emancipazione nel fumetto?Nel caso del libro su Maria Callas, più che il sottotesto mi ha colpito la personalità in questione. Da un lato, una donna molto fragile, dall’altro un'artista carismatica. Nel suo caso, ad esempio, l’indipendenza non è un lieto fine a cui tendere quanto piuttosto un risultato parallelo a quello della ricerca di un’identità.
Qual è il valore aggiunto che parole e illustrazioni offrono quando si tratta di parlare di argomenti così urgenti?Viaggiando su questo doppio filo, sono riuscita a dare al racconto toni e livelli di interpretazione che altrimenti avrei fatto fatica a rendere. È il bello del fumetto, a prescindere dagli argomenti.
Come mai il femminismo, l’emancipazione, il discorso sui diritti delle donne non riescono a diventare mainstream e genderless?Ultimamente mi sembra che abbiano avuto molta più centralità e rilevanza che in passato. Naturalmente, ogni cambiamento ha bisogno di tempo per diventare consuetudine.
È ancora difficile per una fumettista ritagliarsi uno spazio in un genere che nasce e si sviluppa storicamente come prevalentemente maschile?Penso che nel 2019 sia facile per chiunque inserirsi nel ramo della narrazione, se si è bravi e sufficientemente intelligenti. Sono diverse le colleghe di successo, che vincono premi e pubblicano con profitto. Oggi, più che altro, è difficile proprio gestire la professione.
Ti sei mai trovata a fare i conti con stereotipi di genere o episodi di sessismo sul lavoro? Sta davvero cambiando qualcosa?Personalmente no, non mi è mai capitato. Parlando in generale, sono certa che questi episodi accadranno sempre meno di frequente.