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La sinistra di Ulisse. Conversazione con Nichi Vendola

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Nichi, possiamo dire che il 2019, con le sardine, è l’anno della rinascita dei movimenti?

Le sardine sono la felice metafora del bisogno di tornare a pensare e vivere la politica come un grande cimento collettivo, come una passione corale, contro il leaderismo becero e guascone degli squali populisti. Nell’oceano del regresso culturale deperisce il dibattito pubblico ed evaporano i diritti: c’è una nuova generazione che sta lanciando l’allarme e prova a riempire le piazze di anticorpi al virus dell’intolleranza.

Mi pare di capire, Vendola, che le sardine ti piacciono: un segnale di vita, nell’autunno del nostro scontento? Perché di questo si tratta: francamente, guardandosi attorno, non vedo tanti motivi per gioire.

Come può non piacermi un movimento che apre un conflitto esplicito contro la neo-lingua della barbarie sovranista? Il bullismo semantico di Salvini e Meloni è entrato nel circuito mediatico come quotidianità, con quella “banalità del male” che rende normale e quasi ovvia la disumanità, la xenofobia, l’omofobia, il negazionismo. Qualcuno ha scelto di giocare d’azzardo e ha iniettato veleni e paure nel ceto medio impoverito, nella gioventù precarizzata, nella periferia abbandonata a se stessa. I nostri tribuni del popolo sono le maschere grottesche di quel carnevale culturale che sfida la modernità, e non solo la sinistra, impugnando il rosario, dispensando dosi omeopatiche di razzismo, cooptando il fascismo tra gli ospiti benvenuti del pluralismo. Ma tutto questo lo hanno potuto fare perché dall’altra parte della riva non c’erano “rivali” capaci di svelare il bluff del populismo. Se la sinistra non alza la bandiera della giustizia sociale, allora la destra occupa lo spazio pubblico impugnando la bandiera della piccola patria, dell’identità minacciata, della tradizione tradita.

Ecco, il “bluff” del populismo. Per svelarlo, dici tu, occorre andare dritti alle ragioni sociali della rabbia. Capisco che non si può chiedere a un movimento appena nato un programma complesso, ma vedo il rischio che ci si fermi alla “sovrastruttura”, alla denuncia del linguaggio. E la “struttura”?

Le sardine hanno chiesto alla politica di fare il gioco della verità, di porre un argine alla catastrofe del linguaggio (portata al parossismo dalla potenza del grande a-social network), di aprire un conflitto esplicito con le nuove destre radical-fasciste. La sinistra deve ascoltare la domanda e non illudersi che le basti coccolarsi o friggersi le sardine.

Vedi, da parte della sinistra, un atteggiamento che oscilla tra il paternalismo e la voglia di cucinarsele?

Vedo quello che ho visto a Genova nel luglio 2001, quando un gigantesco movimento giovanile e di popolo denunciava la ferocia e gli orrori di una globalizzazione tutta nel segno del mercato, della finanza e della guerra. Vedo quello che ho visto nel giugno 2011, quando ventisette milioni di italiani sono insorti per via referendaria contro la privatizzazione dei “beni comuni” (l’acqua, il territorio, la giustizia). Vedo cioè una sinistra che non si lascia scuotere, travolgere, rifondare dalle domande sociali di cambiamento. Magari dice: che bello! Come un’ape sugge un po’ di nettare dai fiori dei movimenti, ma poi non fa il miele.

Che intendi quando dici “miele”?

Il miele è la radicalità necessaria a rispondere alle questioni del nostro tempo. Al saldo di tutte le parole poi prevale l’antico istinto suicida: non dobbiamo spaventare i moderati, come se i moderati non si fossero già estinti come i dinosauri. Sulla guerra, sull’ambiente, sul lavoro, sulla libertà delle donne, sui diritti individuali, sulle mafie, sui migranti: sui corpi e sui luoghi della nostra contemporaneità non servono più formule estetizzanti e buoni sentimenti, serve l’indicazione di una svolta nella politica e nella cultura di governo.

Aspetta, prima di arrivare alla sinistra. Stiamo ancora sulle sardine. Non faccio l’elenco di tutte le piazze e dei movimenti che hai conosciuto, ma tutti credo avevano in comune due cose: una certa identità e, anche, una percezione allargata di quel che accade nel mondo. Come ti spieghi che la piazza delle sardine parli solo italiano, nei giorni in cui, ad esempio, a Hong Kong i giovani scendono in piazza per la democrazia, e non ci si pone il problema?

Penso che le sardine abbiano innanzitutto cercato di staccare la spina a quel rumore che impedisce alla politica di ascoltare le voci del mondo. Di ascoltare le istanze di democrazia, che a ogni latitudine del globo premono anche drammaticamente. Di ascoltare il grido dei poveri e degli impoveriti. Di ascoltare non retoricamente le parole di Greta e di una generazione che chiede di non considerare più il creato una discarica. Di ascoltare le storie di chi fugge dalle guerre, dalle persecuzioni di ogni tipo, dalla desertificazione che avanza. Di ascoltare e di accogliere, ecco: ma non in un generico vocabolario buonista, ma in un’agenda politica fatta di pensieri lunghi e di coraggio prospettico.

Il solito Vendola: ti sei innamorato del movimento. Non ti sembra di proiettare in questa piazza quello che pensi tu?

Hanno chiesto alla politica di essere conoscenza, punto di vista, lotta culturale, e dunque di essere alternativa alla demagogia, al semplicismo dei mistificatori e degli arruffapopoli, alla violenza della propaganda che spesso degenera in propaganda della violenza. Lo hanno fatto nel nome della Costituzione e dell’antifascismo. Io non conosco altri modi per cominciare ad aprire una finestra sul mondo.

Il compagno Ken Loach ha scritto che manca un’analisi politica. È troppo chiederla perché è un movimento allo stato nascente o non va chiesto perché questo è un movimento nuovo, di millennials, e non si comprende con le categorie del Novecento?

Siamo alla fase aurorale di un movimento che nasce come reazione alla “salvinizzazione” della piazza, che dice basta al linciaggio social degli avversari, che non accetta di tacere dinanzi alla strage degli innocenti che si consuma nelle acque del Mediterraneo. Quattro ragazzi mettono insieme una rete, fanno piazza, la piazza si fa onda e travolge altre cento piazze. Una piazza larga, plurale, civica, solidale, che trova più sinistra nelle parole del Papa che non nei documenti dei riformisti di tutto il mondo. Ma che volete dalle sardine? Un libretto rosso? Un programma fondamentale? Ma come si fa a chiedere ad una domanda di trasformarsi in una risposta? Anzi: in quella risposta che nessuno di noi sa più dare da così tanto tempo?

A me che sono novecentesco però non convince questa orgia del politicamente corretto, che accomuna la piazza ma anche la sinistra, intesa come partiti. Si dice “basta odio”, “basta rabbia”. E perché? Non si può odiare un fascista? O uno che blocca i barconi dei disperati? O un padrone che non rispetta i diritti di un operaio? Se Marx non avesse odiato chi mercifica il lavoro non ci sarebbe stato il Movimento Operaio...

Ma il Movimento Operaio, cioè i partiti di sinistra e i sindacati, non educavano all’odio ma alla cultura, alla conoscenza, alla democrazia, davano a lavoratori sfruttati e alienati gli strumenti per trasformare la rabbia in coscienza e organizzazione. I comunisti e i socialisti educavano il bracciantato meridionale a non essere plebe disperata in cerca di linciare qualche agrario schiavista, ma ad essere un proletariato moderno che rompe rapporti sociali feudali. Non è la buona educazione che ha stinto la bandiera rossa. La sinistra non è morta di moderazione, è morta di moderatismo. Il politicamente corretto mi pare un falso problema, il “politicamente indistinguibile” credo sia il problema: ma non nella contesa fisica con un fascista o con un padrone, ma nella contesa ideale e politica con la destra. Sul nodo pace/guerra quante volte la sinistra (di governo) ha fatto le stesse cose della destra? E sui tagli al welfare? E sulla precarizzazione del mercato del lavoro? E sul respingimento dei migranti?

Vuoi dire che il conflitto non si fonda anche sulla rabbia e sull’odio verso il nemico, sia esso di classe o politico? Ricordi il “non è un pranzo di gala”, la politica, la rivoluzione? Si diceva così...

Un conto è storicizzare l’insorgenza di fenomeni sociali e politici che sono moti violenti, rivolte o addirittura rivoluzioni. Altro conto è credere che oggi non ci si debba confrontare con uno spazio pubblico in cui l’odio è strumento di una politica che frantuma legami sociali e militarizza i rapporti umani. Io credo che si debba ripartire dalla nonviolenza, e non per un moto del cuore. Odiare il nemico a volte ti rende simile al nemico che odi, odiandolo lo mitizzi ma non lo conosci e non ne capisci la natura e le debolezze.

Non ti seguo. Spiegati meglio.

Vedi la vicenda italiana dell’ultimo quarto di secolo: la sinistra ha odiato Berlusconi e, contemporaneamente, si è berlusconizzata! Io penso che non dobbiamo essere “tatticamente” non-violenti: penso che dobbiamo essere “strategicamente” non-violenti... Ma tutto questo ha senso se cominciamo a fare i conti con la sconfitta, cioè con l’insieme delle sconfitte, del campo progressista nel mondo. A volte mi chiedo: la sinistra poteva uscire “da sinistra” dalla crisi del comunismo? Quelli de “Il Manifesto” posero questa questione già dinanzi alla solitudine di Praga invasa dai carri armati sovietici: ed era l’anno 1968. Mi chiedo ancora: la parola “riformismo” (Ugo Mattei ha scritto un efficace libello su questo tema, uscito da Einaudi) non è stata la maschera ideologica della resa ai totem della rivoluzione liberista? Ecco, io penso che servono riferimenti per un’analisi e un progetto, una bibliografia e un Pantheon, serve persino l’invenzione di una tradizione: suggerirei alcuni nomi per me essenziali: Gramsci ma anche Gobetti. Ma anche Alex Langer. Ma anche Carla Lonzi...

Mi stai dicendo che tu non odi Salvini neanche quando insulta Carola o pubblica con un editore neo-fascista? Non vedo cosa ci sarebbe di male a farlo...

Credimi, non voglio avere alcuna somiglianza con lessico belluino di quella destra che ingaggia un corpo a corpo con i valori della solidarietà e dell’accoglienza, che insulta la vita, l’amore, la fede. Non abbiamo il compito di odiare Salvini, abbiamo il dovere di sconfiggerlo.

Però il tema della rabbia in generale è cruciale. Anzi è il tema di questo tempo, segnato dalla rivolta contro le elite. Forse non è un caso che in quelle piazze, o in quelle del Pd, non ci siano le periferie. Non credi che così si lascia la rappresentanza politica della rabbia alla destra?

Le periferie non vanno ridotte a icone, sono certo rabbia e degrado ma sono anche tante altre cose. Mi colpisce una canzone struggente e un video bellissimo come “Barrio” di Mahmood, così come mi offre più di un breviario sociologico il film prodotto da Michele Santoro “Volare”, che racconta fenomeni creativi e artistici in periferie umane/urbane che cercano di darsi valore. Non serve un’incursione spot ai margini delle città, serve il fiato lungo di un nuovo radicamento e di un nuovo alfabeto.

Per ora in quei luoghi geografici e sociali si è passati dall’alfabeto dei Cinque stelle a quello della destra, e forse questa è la colpa storica di Beppe Grillo: lo sdoganamento della destra. Dove sono finiti quelli che in piazza dicevano “onestà, onestà”? Secondo te, di quel popolo, cosa resta?

Nella piazza grillina c’era una magma incandescente di protesta, di rancore, di sofferenza, di speranza, di propaganda. La destra e la sinistra, con buona pace di Di Maio, non sono residui di un vecchio secolo, ma sono il bivio che ogni questione ci pone. Urlare “onestà” non muta la scena disonesta della povertà o dello sfruttamento: lì servono scelte. E quindi tu quelle parole puoi buttarle fuori dal campo, ma te le ritrovi ogni momento dinanzi ai piedi: destra o sinistra...

E ora c’è più destra che sinistra. Analizziamo il rapporto del Censis, che vale più di cento editoriali. Cresce la voglia di uomo forte. Non pensi che sia anche colpa dell’operazione esangue e immobile che si è messa in campo col governo giallorosso? Se è tutto fermo, la gente è disposta a votare chi invoca “pieni poteri”, sia esso Salvini o il prossimo.

Quando un ciclo di crisi economica si abbatte, con la brutalità di uno tsunami, sulla esistenza materiale dei ceti intermedi, blocca la mobilità sociale, dilata i confini delle vecchie e nuove povertà, o la sinistra raccoglie la radicalità della domanda di trasformazione sociale oppure la destra raccoglierà il rancore e sulla paura costruirà la propria egemonia. Mi fa ridere il fatto che mentre la destra vince e stravince spostandosi a destra, a sinistra (da Obama a Renzi) siano tutti intenti a cercare i voti moderati...

Non c’è dubbio, è nell’epoca delle passioni radicali vince l’identità forte. Però, insisto, questo pone qualche quesito sulla risposta che si è data col governo giallorosso. Te la dico così: il problema non è neanche se e quanto dura. È in atto una crisi di sistema che è già oltre la crisi di governo. Metti in fila gli elementi: Governo immobile, su tutto, un Parlamento che non è più specchio del paese, i fermenti vitali della società italiana, sia la San Giovanni delle sardine che la San Giovanni salviniana che non entrano nel Palazzo; gli indicatori economici che segnano il perdurare della crisi. Non è Weimar ma è la fotografia di una crisi di sistema.

Conosco la gravità della situazione italiana. Io non dico che siamo al fascismo, dico che siamo ai fascisti. Basti osservare la moltiplicazione delle azioni di antisemitismo per capire che abbiamo un problema, anzi più di uno.

Sì, ma la sinistra è dentro la crisi di sistema. Questa operazione rischia di esserne la tomba o davvero pensi che, da questa palude, nasca il fiore di un’alleanza politica tra Pd e Cinque stelle grazie alle virtù di Conte?

Io mi limito a sperare, ad auspicare, non ho alcun ruolo se non quello di dare consigli non richiesti e magari non graditi: le forze di governo sono soggetti politici in crisi profonda, direi in crisi esistenziale. Se pensano di salvarsi praticando una guerra a bassa intensità tra alleati, ciascuno nel nome dell’orgoglio identitario, tutti noi allora finiremo nel burrone. Solo se affrontano ciascun partito la propria crisi mettendosi di fronte al Paese, ascoltandone le pene e l’ira, e contribuendo a scrivere una nuova agenda di governo: scusami se uso un lessico antico, ma solo nella salvezza del Paese possono trovare le risorse per salvare se stessi...

Tu pensi che il governo giallo-rosso duri?

Io spero che il governo possa imboccare con più determinazione la strada di profonde riforme sociali. I protagonisti dell’alleanza di governo purtroppo danno ogni giorno il peggio di se stessi, mentre occorrerebbe che ciascuno desse il meglio. Ma tutti insieme dovrebbero avere più coraggio dinanzi alla sfida ormai ineludibile della redistribuzione delle ricchezze, della riforma fiscale nel segno dell’equità, della lotta alla precarietà e alla penuria di lavoro, dell’investimento cruciale in istruzione e ricerca, della conversione ecologica del modello di sviluppo. È su questi terreni che si può battere Salvini...

Risposta diplomatica. Mettiamola così: non ti pare che questo governo stia diventando la vera polizza di assicurazione a vita per Salvini perché non affronta una sola delle questioni che Salvini declina in chiave regressiva?

Mi capita di pensarlo quasi tutti i giorni, eppure ogni giorno mi regalo la classica citazione hollywoodiana: domani è un altro giorno. Lo so che è una speranza flebile. Purtroppo il Pd naviga a vista, non apre una discussione vera su cosa è diventato e perché siamo finiti dove siamo. I Cinquestelle sono prigionieri delle proprie macchinazioni propagandistiche e non riescono a uscire dal limbo del manicheismo e della demagogia. Italia Viva più che un partito è una creazione dadaista. A sinistra del Pd ci sono numeri troppo piccoli per poter incidere. Insomma, sarebbe necessario ciò che appare impossibile. Ma a volte la politica è l’arte dell’impossibile...

Ma, diceva quello, “per i miracoli ci si deve attrezzare”.... Guardiamo il voto inglese. La sovranità popolare, se la cacci dalla porta, rientra dalla finestra. Gli inglesi volevano la Brexit tre anni fa, dopo tre anni la pretendono. Cosa dice questo: che se non fai nulla vieni travolto. Non pensi che questo sia il rischio anche in Italia? Avanti così il paese voterà l’offerta della destra più radicale...

Mi ha fatto sorridere la colpevolizzazione del vecchio Corbyn per una sconfitta che viene da lontano, che è il frutto più avvelenato del blairismo. Certo, il Labour ha avuto il torto di essere ambiguo sul tema europeo, un po’ ha lisciato il pelo alle pulsioni nazionaliste, un po’, nella sua ala moderata, ha proposta una difesa acritica dell’Unione europea. La base sociale operaia del consenso progressista è stata del tutto risucchiata dall’idrovora del radicalismo di Boris Johnson...

Ecco, allora perché ti sembra necessario sostenere questo governo anche se non funziona? Sempre per la solita storia della “responsabilità nazionale”?

Non userò il lessico con cui la sinistra qualche volta ha mascherato la propria nevrosi: il governismo, con le proprie degenerazioni. Io penso che sia stato un errore politico molto significativo l’aver impedito il tentativo di un governo tra Pd e Cinquestelle all’indomani del voto politico, prendendo atto della radicale novità rappresentata dal trionfo elettorale dei grillini e dalla irresistibile ascesa dell’estremismo nazional-padano della nuova Lega salviniana. Si è regalato a Salvini centralità assoluta sulla scena pubblica con il podio più ambito, cioè il Viminale, trasformato in poligono di tiro contro tutti i fantasmi della sua guerra privata alla complessità sociale, alla complessità culturale, alla complessità della vita. Se si usa la Costituzione Italiana come la bussola di un’alleanza di governo, l’antifascismo come “religione civile”, la dignità e i diritti di chi lavora come missione politica, si può contendere a Salvini il ruolo di interprete autentico dei sentimenti del popolo, si può dare forza e coraggio a tutto quell’altro immenso popolo che dice “restiamo umani”. Dunque non dirò “responsabilità nazionale”. Ma invocherò la sfida in uno spazio ancora aperto. 

Insomma, tu movimentista difendi il governo: tentiamo ancora. Io, riformista, dico “votiamo” perché non ho sfiducia negli italiani e penso che, piuttosto che affogare nella palude, ci si può rigenerare nella lotta anche all’opposizione semmai. Ma questa roba cos’è, se non governismo senza popolo?

Io non difendo il governo e come sai non sono governista. Penso che sia fatale l’incontro tra una parte significativa della vicenda grillina con le forze di sinistra, e vorrei che gli uni e gli altri facessero di necessità virtù. Trovare risorse importanti per la scuola e la ricerca non evoca un popolo, quello degli insegnanti e degli studenti, lungamente lasciato alla deriva dalla sinistra? Una patrimoniale di scopo per il futuro di una generazione non è la leva per dare corpo e fiato a un popolo? A questo io esorto...

Cosa ti dice la piazza di San Giovanni di Salvini? Secondo te è un pericolo o semplicemente la “democrazia bellezza”? In fondo, se l’America è sopravvissuta a Trump l’Italia può sopravvivere a Salvini...

Intanto non vorrei che quella su Trump fosse una battuta di spirito. L’inquilino miliardario della Casa Bianca annuncia, con finanziamenti record nella storia degli armamenti, un programma di colonizzazione militare dello spazio, nel nome del suprematismo americano. Lo spazio un tempo era lo schermo in technicolor dei nostri incubi, oggi lo spazio è la discarica materiale dei nostri incubi. Sopravviveremo? Ecco: in verità si sopravvive sempre, anche nel buio delle dittature, ma con un prezzo salato che pagano i diritti e la dignità di tutte le persone. 

Pensi che Salvini metta a rischio la democrazia? 

Il radicalismo di destra cumula paternalismo sociale, stretta autoritaria, conflitto con i diritti civili e con la civiltà del diritto. Comporta un prezzo umano e sociale davvero insopportabile. Proprio Ken Loach lo ha raccontato nella forma più cruda e antiretorica nei suoi memorabili film.

Siamo alla solita storia. È l’antica analisi comunista: l’Italia è una democrazia debole, da proteggere, soggetta a pulsioni autoritarie, la sinistra non potrà mai andare al governo da sola. Servono alleanze vaste, anche tra avversari per arginare il pericolo. Ma è davvero così? La democrazia italiana va protetta o a furia di proteggerla con operazioni di Palazzo, si è prodotta la rivolta, il cosiddetto populismo?

 La sinistra è andata al centro, sempre più al centro, ma poi al centro non ha trovato più nessuno, era già lei diventata centro. Costruire alleanze è connaturato alle forme della lotta politica, ma qui il vero tema è “allearsi per cosa? Per difendere quali interessi sociali, quali valori, quale idea del lavoro, della scuola, dell’ambiente? Siamo in un passaggio d’epoca che ha dentro il proprio ventre molte embrionali speranze, ma che porta sulle spalle responsabilità gravose. La destra sovranista si fa interprete, per esempio, delle teorie negazioniste in merito alla crisi climatica: questo riguarda il futuro di tutti. Possibile che in pochi lo sanno? Non è questo un terreno fertile per l’intesa programmatica necessaria e anche per alzare il livello del conflitto?

 Sì, ma non pensi che la prima alleanza la sinistra dovrebbe farla col paese su questo terreno invece che con un ceto politico che ha fallito e si arrocca? Siamo partiti dalle sardine: osare, magari, talvolta funziona.

Penso che la politica si fa in alto e in basso, nel sociale e nel Palazzo, senza impiccarsi di volta in volta all’albero dell’autonomia del politico o dell’autonomia del sociale. Certo, sinistra e governo dovrebbero cogliere la spinta forte che viene dalle sardine. Cominciando senza più indugi a cancellare la schifezza fascistoide dei decreti sicurezza di Salvini e chiudendo la pagina vergognosa della complicità con la Libia dei lager.

Hai detto spesso che la sinistra ha perso perché si è persa... E ora? La vedi persa come prima o più di prima?

Ha smarrito la propria missione, è senza bandiera. In molti, nel corso dei decenni, hanno provato a ridarle fiato e fiducia in se stessa. Ma alla fine della giostra la sinistra di governo si è sempre autocastigata, ridimensionando le vecchie utopie al rango di favole e coltivando il mito della governabilità e del decisionismo. Il tutto condito da una dilagante retorica aziendalistica e meritocratica. Nel nome della realpolitik la sinistra ha fatto pure la guerra, come in una coazione a ripetere la storia di un secolo fa.

E ora? 

E ora, dopo così tanto autolesionismo, assomiglia al Conte Ugolino che piange sui resti dei figli che ha divorato. C’era una volta una sinistra che invece somigliava all’Ulisse del “nati non fummo per viver come bruti”...Ecco: Ulisse, il mar Mediterraneo e i suoi verbi dolenti e imperiosi: migrare, sfidare le onde, guardare l’orizzonte, evitare il naufragio, dotarsi di un bussola buona e di una mappa per mettersi in viaggio. È urgente schiodarsi dalle proprie pigrizie, è necessario salpare...

Salpare: bella immagine.  Ma dove salpi con un governo che non riesce cambiare, ti cito, quella “schifezza fascistoide” dei decreti sicurezza e il Pd che porge l’altra guancia? Non è meglio salpare uscendo dai Palazzi? “Navigare necesse!”, diceva così il poeta, o sbaglio?

Salpare è necessario, con o senza un governo sulle spalle. Nel mio cuore preferirei portarlo sulle spalle questo governo. Perché io sono spaventato, lo confesso, dal ritorno possibile al potere di una elite politica degna dell’antica Suburra, che prende a pugni il diritto internazionale, i diritti umani e la povera gente, che usa il rosario per picchiare i poveri cristi, che lucra sulla cronaca nera e che si esibisce nella cronaca rosa. Sono spaventato da questa destra illiberale, affarista, sovranista e razzista. Sento che occorre non rassegnarsi all’onda nera che cresce... 

A proposito di immigrazione: sei comparso nel film di Checco Zalone.

Mi sono permesso, in un piccolo cammeo, di prendere per il culo me stesso... 

Si è molto discusso del messaggio del film.

È un film antirazzista. Auguro a Checco un grande successo per la prosa e la poesia di “Tolo Tolo”.

Ecco, sì, finiamo con augurio per il 2020.

Auguro alla sinistra un periodo di disintossicazione da tutte le superstizioni e le droghe ideologiche che l’hanno resa afasica. Auguro a tutti noi di ritrovare le parole necessarie: a cominciare da pace, disarmo, diritti umani, libertà. E assieme agli auguri vorrei consigliare a tutti l’ascolto, magari di buon auspicio, dell’ultima struggente meravigliosa canzone di Franco Battiato: “Torneremo ancora”...

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