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La versione di Sankara | Left

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

«Non si può effettuare un cambiamento fondamentale senza una certa dose di follia. In questo caso si tratta di non conformità: il coraggio di voltare le spalle alle vecchie formule, il coraggio di inventare il futuro. Ci sono voluti i folli di ieri per permetterci di agire con estrema lucidità oggi. Voglio essere uno di quei folli. Dobbiamo avere il coraggio di inventare il futuro». In questo brano di un’intervista realizzata nel 1985 che potremmo considerare la sua epigrafe, Thomas Sankara, leader rivoluzionario di sinistra che rinominò l’Alto Volta in Burkina Faso, ben sintetizzò il cuore della propria eredità storica e intellettuale. Presidente del Paese africano dall’83 all’87, politico in prima linea contro la povertà, militare difensore della pace e dei diritti umani, chitarrista in gioventù, la «follia» di cui parlò nell’intervista, naturalmente, non è da intendersi nell’accezione patologica del termine. Indica piuttosto il rifiuto di una certa razionalità. Quella, spietata, del pensiero neocolonialista (e neoliberista) che nega l’uguaglianza degli esseri umani ma subordina coloro i quali vivono nel Terzo mondo, legittimando il furto dei loro beni materiali e, in definitiva, della loro possibilità di realizzarsi. In questo senso, il termine “follia” indica un ostinato ed appassionato impegno nel pensare fuori dagli schemi imperialisti e violenti, le «vecchie formule», per rimettere le persone e la loro uguaglianza al centro della politica. Un insegnamento straordinariamente attuale. Al pari – come vedremo – di molti altri che hanno costellato la sua particolare esperienza rivoluzionaria. Uno dei gesti più significativi di capitan Sankara nel modificare l’immaginario dei cittadini, per tagliare definitivamente i ponti col passato coloniale, fu il cambiare nome al Paese in «Burkina Faso», ossia «Terra degli uomini integri». Modificò pure bandiera ed inno nazionale. Volle ricreare un Stato autonomo e libero dalle ingerenze predatorie straniere.

Nelle sue celebri orazioni alle Nazioni unite sono sferzanti le critiche alle forze dominatrici occidentali, e non solo. Memorabile è il suo faccia a faccia col presidente Mitterrand, accolto in modo ben poco “diplomatico” nella ex colonia francese nel 1986, con un discorso che denunciava la compiacenza di Parigi verso il regime dell’apartheid in Sudafrica. Ma Sankara ebbe a condannare anche l’invasione sovietica in Afghanistan. Perché il suo era un socialismo non dogmatico e non allineato. Quando prese il potere con un colpo di Stato, subito si impegnò a migliorare le condizioni di vita del popolo burkinabé. Per lui quella era la vera rivoluzione. Diede il via ad un avveniristico programma di riforme puntando su diritti delle donne, istruzione, sanità, lotta alla povertà, ambiente, taglio degli enormi privilegi della classe dirigente. Priorità che dovrebbero segnare la rotta pure per la sinistra di oggi, e non solo quella africana. Certo, la sua sfida era titanica. Per descrivere le condizioni in cui versava l’Alto Volta basta citare alcuni dati, come fece Sankara stesso all’Onu nel 1984: «Un Paese di sette milioni di abitanti, più di sei milioni dei quali sono contadini; un tasso di mortalità infantile stimato al 180 per mille; un’aspettativa di vita media di soli 40 anni; un tasso di analfabetismo del 98%, se definiamo alfabetizzato colui che sa leggere, scrivere e parlare una lingua; un medico ogni 50mila abitanti; un tasso di frequenza scolastica del 16%». E poi, l’enorme zavorra del debito internazionale, che egli voleva cancellare con una..

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L’articolo di Leonardo Filippi prosegue su Left in edicola dal 3 gennaio

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