parità di diritti lontana per donne e bambini
All’interno delle strategie di contrasto della povertà e delle disuguaglianze, vi è anche la questione della parità dei diritti e dell’inclusione sociale delle categorie più deboli, cioè donne e bambini. Un tema su cui i risultati restano ancora esigui, come sottolineato dal WeWorld Index 2015, lo studio effettuato dal Ministero degli Esteri italiano volto ad analizzare la condizione di donne e bambini in 167 Paesi in tutto il mondo.
Nella valutazione del benessere delle categorie più deboli, l’indice ha utilizzato ben 34 indicatori – raggruppati in 17 dimensioni e 3 categorie: contesto, bambini e adolescenti, donne – a cui sono state affiancate interviste dirette a uomini, donne e bambini, persone che vivono in prima persona i deficit di inclusione sociale. I risultati dello studio sono stati racchiusi in cinque gruppi di inclusione, che vanno da un livello buono ad uno gravissimo, passando per livelli sufficienti, insufficienti e gravi.
Nella categoria dei 16 Paesi che presentano una “buona inclusione”, spiccano gli Stati dell’Europa del Nord, con in testa Norvegia, Danimarca e Svezia, seguite a ruota da Islanda e Finlandia. Solo due i Paesi extraeuropei presenti in prima fascia: Australia e Nuova Zelanda. L’Italia si colloca nella categoria immediatamente successiva, quella con un tasso di “sufficiente inclusione”, posizionandosi al diociottesimo posto complessivo, subito dietro all’Estonia e precedendo gli Stati Uniti.
Ciò che preoccupa sono però gli addirittura 106 Paesi ad inclusione sotto la sufficienza, di cui ben 47 considerati di “grave” o “gravissima inclusione”. In quest’ultimo gruppo a farla da padrone è l’Africa, che occupa ben 15 degli ultimi 17 posti della classifica – cui si aggiungono gli asiatici Yemen ed Afghanistan – e non presenta nemmeno un Paese nei gruppi a buona o sufficiente inclusione. Trend pressoché opposto rispetto a quello dell’Europa, presente esclusivamente (ad eccezione di Serbia, Bosnia e Macedonia) nei due gruppi qualitativamente migliori.
Tra gli aspetti più importanti presi in considerazione nello studio c’è il PM10, vale a dire il livello di polveri sottili presenti nell’atmosfera, che offre dunque una panoramica importante per valutare il livello di inquinamento presente nell’area analizzata, facendo sprofondare l’Italia al settantunesimo posto. Per lo stivale sono negativi anche i risultati a proposito delle aree protette (quarantaduesimo posto), degli effetti dei disastri naturali (quarantaseiesimo) della corruzione (sessantanovesimo) e soprattutto della spesa destinata all’istruzione, che vede l’Italia piazzarsi addirittura al novantaduesimo con un dato pari al 4.29% del PIL, il dato peggiore dei Paesi dell’area OCSE. Inquietanti anche i dati riferiti alla parità di genere, all’occupazione femminile e alla violenza sulle donne (che ha prodotto costi economici e sociali pari a ben 17 miliardi di euro), che vedono l’Italia fuori dalla top 100.
Tra i dati più negativi a livello globale, l’Africa spicca sia per il “gender gap” – ovvero le disparità generali tra uomini e donne, a cui si aggiungono anche un basso tasso di alfabetizzazione femminile ed un alto livello di mortalità materna – che per i bassi livelli di accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari. Il Continente nero condivide invece con l’Asia tristi primati come le guerre, il numero di rifugiati per Paese d’origine, la corruzione e il basso tasso di democratizzazione. È invece l’America Latina a primeggiare per quanto riguarda il tasso di omicidi – legati spesso alla piaga inestinguibile del narcotraffico – con Paesi come Honduras, Venezuela e Colombia a spartirsi il poco onorevole record.