Morto il Mullah Omar: cosa cambia per l'Afghanistan?
Il Mullah Omar, leader dei Talebani afghani, sarebbe morto nel 2013. A dirlo sono fonti ufficiali del governo afghano, mentre i Talebani non hanno ancora commentato la notizia. Mentre si attendono dettagli e conferme ufficiali, è utile iniziare a interrogarsi sulle implicazioni del possibile cambio al vertice sul difficile processo di pace tra governo afghano e Talebani.
Sin dal 2010 i colloqui di pace tra l’Alto Consiglio di Pace Afghano (Ahpc) e i talebani hanno subito ripetute battute d’arresto. Il caso più eclatante è stato quello del settembre 2011, quando il capo negoziatore, l'ex presidente Buhranuddin Rabbani, venne assassinato in un attentato rivendicato dai Talebani dopo appena due mesi dall’inizio delle trattative.
Una parziale svolta si è avuta nel giugno 2013, quando gli Stati Uniti hanno provato a dare nuovo impulso ai negoziati aprendo un round di colloqui a Doha, in Qatar. Lì i Talebani hanno aperto il proprio ufficio politico rinominandolo “Emirato Islamico dell'Afghanistan” in riferimento alla denominazione ufficiale da loro adottata tra il 1996 e il 2001 quando erano al potere a Kabul. Secondo quanto riferito ai media dalle autorità Usa, i colloqui si sarebbero dovuti tenere soltanto se i Talebani avessero rispettato precise precondizioni: il rispetto della Costituzione dell'Afghanistan, la scissione da al-Qaeda, l’abbandono di qualsiasi violenza, il rispetto dei diritti delle donne e delle minoranze.
L’apertura dell’ufficio dei Talebani a Doha si è rivelata però fin da subito controversa, in quanto potenziale fonte di legittimazione politica dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan, implicitamente riconosciuto come una sorta di governo in esilio, e parallela delegittimazione dell'esecutivo in carica.
Preso in contropiede dall’azione Usa, Karzai ha imposto prima uno stop alle trattative con Washington per un accordo bilaterale sulla sicurezza riguardante il post-ritiro Isaf dal paese nel 2014 e poi ha boicottato i colloqui di Doha. Parallelamente, negli stessi giorni il parlamento afghano ha approvato una mozione in cui condannava la denominazione di Emirato Islamico dell’Afghanistan adottato dai Talebani e ha rivolto un appello alle Nazioni Unite affinché assistesse “il governo nello sviluppo di un processo di pace guidato dalla stessa popolazione afghana”.
Secondo indiscrezioni di stampa Usa, Karzai avrebbe avviato nel novembre 2013 nuove trattative segrete, questa volta senza mediazione straniera, con l’intento di concludere un accordo di pace con i Talebani. La netta contrarietà al dialogo espressa da alcuni frange dei Talebani così come la debolezza politica di Karzai hanno però inciso negativamente sui colloqui.
Una nuova fase sembra essersi aperta nel 2014 in seguito all'elezione di Ashraf Ghani alla presidenza del paese. Il timido miglioramento delle relazioni con il governo pakistano perseguito da Ghani sarebbe cruciale proprio per il ruolo di mediazione tra governo afghano e leadership talebana giocato da Islamabad. Tra maggio e luglio 2015 rappresentanti del governo afghano ed esponenti della leadership talebana hanno tenuto una serie di incontri informali in Norvegia, Emirati Arabi Uniti e Pakistan.
Parallelamente, però, l'insorgenza talebana sul campo non accenna a diminuire: nello stesso periodo in cui erano in corso i colloqui informali di pace, i Talebani hanno compiuto diversi attacchi, tra i quali quello al Parlamento afghano del giugno 2015, facendo temere per una futura e probabile escalation di violenza che potrebbe essere utilizzata da questi ultimi per ottenere maggiore leverage in sede negoziale. L'escalation di violenza potrebbe però anche essere il segnale di un violento scontro tra fazioni per assicurarsi la leadership del movimento.
Akhtar Mohammad Mansoor, leader de facto dei Talebani, appartenente al clan Ishakzai della tribù Durrani, favorevole al dialogo con il governo afghano, sarebbe sotto forte attacco da parte delle fazioni più oltranziste e contrarie al dialogo, che sembrano unirsi attorno alla figura di Mullah Mohammad Yaqoob, 26enne figlio del Mullah Omar, sostenuto invece dai clan Noorzai e Alizai della tribù Durrani e dalla tribù Kakar.
Fondamentale dunque attendere i risultati delle consultazioni al vertice tra i Talebani per capire chi guiderà il Movimento dopo la morte del Mullah Omar e quali concrete speranze per il processo di dialogo, oltre che per il futuro stesso dell'Afghanistan che, complice il ritiro delle forze armate della coalizione internazionale, rischia di entrare in una nuova fase di instabilità e violenza.