Quel soffitto di cristallo che ostacola le donne nelle scienze e nella tecnologia | Action Institute
"Assicurare assoluta imparzialità nei processi di assunzione, eliminare stereotipi e pregiudizi sul genere femminile e contrastare la sottorappresentazione delle donne nelle carriere tecnologiche, nell'ingegneristica e nella matematica".
Sono queste le sfide per l'Europa individuate da Elissavet Vozemberg, membro della commissione sui diritti delle donne del Parlamento Europeo e promotrice del rapporto approvato all'unanimità lo scorso 14 Luglio, Cracking the Glass Ceiling for Science and Technology. Dal titolo del documento emerge chiaramente il problema: nonostante in Europa il numero di donne con un titolo di laurea stia crescendo in media a un tasso maggiore rispetto quello degli uomini (4,4% all'anno tra il 2003 e il 2012, contro il 2,2% degli uomini nello stesso periodo), le laureate in materie scientifiche e tecnologiche rappresentano ancora solo l'1,1%, meno della metà del numero di uomini laureati nello stesso settore, che costituiscono invece il 2,3% (fonte Eurostat).
Secondo il rapporto She Figures 2015 della Commissione Europea sulla parità di genere in Europa nell'ambito delle scienze e dell'innovazione, l'evoluzione della proporzione femminile in posizioni accademiche di rango elevato tra il 2010 e il 2013, conferma che le donne continuano ad essere in minoranza nelle posizioni apicali del settore dell'educazione avanzata. In particolare nel 2014, tra i 22 paesi oggetto di analisi, in 14 paesi le donne rappresentano meno del 40% dei consigli scientifici e amministrativi, nonostante dal 2010 si sia registrato un leggero incremento delle quote rosa.
Malgrado gli sforzi messi in atto finora dalle istituzioni comunitarie e dagli stati membri, è evidente dunque che la parità di genere sul luogo del lavoro nel settore scientifico è ancora lontana dall'essere raggiunta.
Quali sono le ragioni che ostacolano le donne nel loro avanzamento professionale?
Prima tra tutte, la maternità. Come riportato dalla commissione parlamentare, non solo per le donne ricercatrici è più frequente accettare posizioni junior per farsi carico degli obblighi familiari, ma la maternità è anche quel fattore che spinge molte donne a interrompere la carriera dopo aver terminato il dottorato. Spesso queste scelte sono il frutto della convinzione di stare agendo nel rispetto di un obbligo sociale, quella cioè che debbano essere le donne a prendersi carico della famiglia. Come affermato da Michelle Budig, la maternità tende anche ad ampliare la forbice salariale tra lavoratori di diverso sesso. Budig parla infatti di "fatherhood bonus and motherhood trap" per indicare proprio come mentre la paternità è di solito associata a maggiore dedizione sul luogo di lavoro, non è così per le madri. È interessante sottolineare che il prezzo che esse pagano è maggiore per chi afferisce a categorie lavorative a più basso reddito.
Tradizionalmente poi, le materie scientifiche sono state sempre considerate un settore prettamente maschile. In ambito accademico infatti, se nelle scienze sociali o in campo umanistico le donne rappresentano rispettivamente il 28,4% e il 19,4% dei professori, le donne impegnate nelle cosiddette "scienze dure", nell'ingegneristica o nell'ICT sono una proporzione considerevolmente minore, il 7,9%, come riporta la stessa commissione.
A ciò si aggiunge la maggiore difficoltà nell'accesso ai fondi per la ricerca. Come riportato anche da She Figures 2012, sui ventidue paesi oggetto dello studio, in ben diciassette casi ottenere fondi di ricerca è più facile per gli uomini che per le donne.
La parità di genere sul lavoro è una precondizione per il raggiungimento di una società sostenibile e inclusiva. Inoltre, la sottorappresentazione delle donne in ambito scientifico riduce il capitale umano a disposizione per le attività economiche legate alla ricerca e all'innovazione e le opportunità di crescita per l'intero sistema economico.
Quali le azioni da intraprendere per appianare le disparità di genere?
In primo luogo, si afferma nel report della commissione, bisogna rafforzare le misure legali che assicurino l'uguaglianza nei contratti di lavoro, nella possibilità di accedere ai fondi, prestiti e borse di studio nonché nelle retribuzioni salariali .
Inoltre, è necessario rimuovere pregiudizi e stereotipi che ostacolano e scoraggiano l'avanzamento professionale delle donne attraverso l'associazionismo o tramite delle campagne culturali che le incoraggino a intraprendere carriere accademiche e di ricerca nell'ambito scientifico, a partecipare a programmi di ricerca e bandi per borse di studio e a candidarsi per ruoli decisionali di rilievo.
Essenziale anche adottare delle misure che garantiscano il "work-life balance", in modo da rendere conciliabili obblighi professionali e familiari e che motivino alla ripresa dell'attività lavorativa dopo la maternità: finanziamenti per programmi di rientro, più flessibilità sulla produzione scientifica delle donne dopo la maternità, lavoro a distanza o part-time e servizi di assistenza all'infanzia .
Infine, sarebbe opportuno prevedere degli incentivi per università e istituti di ricerca per introdurre dei veri e propri piani per l'uguaglianza di genere, il cui raggiungimento potrebbe essere una precondizione per l'accesso a fondi pubblici per ricerca, scienza e attività accademica.
Secondo il World Economic Forum, il cambiamento procede a un ritmo troppo lento, tanto da non poter raggiungere pienamente la parità di genere sul lavoro prima del 2095. Tuttavia, non è detto che non si possa agire per accelerarlo. Il modo per farlo è innanzitutto rendere noto il problema: dopo tutto, come affermato dallo stesso David Cameron nell'annunciare le nuove misure per ridimensionare il dislivello salariale "portare alla luce del sole le differenze creerà la giusta pressione per il cambiamento spingendo al rialzo il salario delle donne", e non solo.