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8 marzo 2020. Giornata Internazionale della Donna

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Come evidenziato ancora dall’indagine (sempre in relazione al 2018) nonostante nell’Unione Europea il numero di laureate superi quello dei laureati, esse risultano comunque sotto-rappresentate sul mercato del lavoro, e quasi il 30 per cento delle donne risulta essere impiegata in lavori part-time. Questo fenomeno, segnala l’indagine, è fortemente legato ad una questione culturale che spinge il sesso femminile ad essere più propenso all’interruzione della propria carriera lavorativa o a prendere decisioni professionali basate soprattutto sulla cura e le responsabilità famigliari.

Un’altro elemento che incide inoltre sulla disparità di genere sul piano occupazionale coincide con le sovra-rappresentazioni delle donne nei settori relativamente a basso salario quali l’assistenza, la vendita o l’istruzione, nonché la sotto-rappresentazione nei settori dove la retribuzione risulta essere invece più alta. Un dato ben noto a tutti, ad esempio, è la scarsa presenza (e valorizzazione) della componente femminile in ambito scientifico, dove nell’Unione Europea si attesta con solo il 41 per cento di occupate come ingegneri e scienziate. Sono poche, inoltre, con appena il 33 per cento, anche le donne che occupano posizioni manageriali.

E per quanto riguarda l’Italia? La situazione relativa alla disparità di genere in ambito lavorativo del Paese, viene illustrata nell’indagine Istat, con l’audizione del 26 febbraio 2020 alla XI Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera dei Deputati, a cura della Dott.ssa Linda Laura Sabbadini, Direttore della Direzione centrale per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche sociali e demografiche.

Un primo dato fondamentale che emerge dall’indagine è che nel Paese, a livello europeo, il divario nei tassi di occupazione maschile e femminile risulta essere tra i più alti, con circa 18 punti su una media europea di 10.

Analizzando le dinamiche più recenti, l’indagine fa alcuni confronti temporali in riferimento ai primi trimestri degli anni che vanno dal 2007 al 2019, un lasso di tempo segnato in particolare dalla crisi economica. In questo periodo emerge un primo dato generale positivo, con il gap di genere nei tassi di occupazione che vede una diminuzione di 6,3 punti percentuali. Interessante, tuttavia, come ad incidere su questo dato non sia tanto l’aumento dell’occupazione femminile, quanto piuttosto il calo dell’occupazione maschile: in poche parole le donne hanno retto meglio all’impatto della crisi da un punto di vista quantitativo, perdendo meno occupazione e recuperandola prima.

Come nel caso del quadro europeo però, anche in questo caso il dato va analizzato in maniera più approfondita: se da un lato il divario occupazionale tra uomini e donne è in diminuzione, i settori in cui le donne risultano essere maggiormente impegnate, principalmente relativi all’istruzione non universitaria (con un 21,3 per cento di lavoratrici contro un 12,3 per cento di lavoratori), segnalano comunque la permanenza di una disparità tra i due sessi: solo il 65,7 per cento delle donne, infatti, svolge mansioni di ricerca e sviluppo contro il 74,4 per cento degli uomini, con un divario di genere ancora più ampio per il settore agricolo ed industriale. Positivo, invece, il dato relativo all’inserimento delle donne nella PA e nella sanità con 19,0 per cento delle lavoratrici contro il 15,3 per cento dei lavoratori.

L’indagine Istat segnala inoltre due fenomeni particolarmente negativi, in linea con la situazione europea, relativi alla crescita per le lavoratrici del part time involontario e alla crescita del fenomeno della sovraistruzione. Nel primo caso, dai dati forniti, emerge infatti che le donne impiegate in lavori part time sono quasi un terzo (32,8 per cento nella media dei primi tre trimestri 2019) contro l’8,7 per cento degli uomini: un fenomeno che incide particolarmente tra la popolazione femminile giovane (35,1 per cento fino a 34 anni) e che aumenta al diminuire del titolo di studio (42,6 per cento fino alla licenza media e 22,5 per cento tra le laureate).

Per quanto riguarda il secondo fenomeno, quello della sovraistruzione, nonostante al pari della media europea il numero di donne laureate risulti maggiore rispetto a quello degli uomini laureati, le prime riscontrano comunque maggiori difficoltà nel trovare un lavoro adeguato al titolo di studio conseguito e anche in questo caso la situazione risulta essere più critica per le giovani fino ai 34 anni.L’indagine Istat evidenzia infatti come, per quanto concerne l’inserimento professionale delle laureate, per le donne risulti più complesso trovare una collocazione sul mercato del lavoro che sia adeguata al percorso di istruzione seguito: le laureate di primo livello, occupate a quattro anni dal conseguimento del titolo, svolgono infatti una professione consona al loro livello di istruzione nel 67% dei casi contro il 79% della controparte maschile. In particolare le professioni impiegatizie e quelle addette alle vendite e ai servizi rappresentano lo sbocco per il 31,4% delle laureate di primo livello che lavorano quasi il doppio della stessa percentuale relativa ai laureati.

Dati particolarmente positivi emergono invece sul fronte relativo alla presenza femminile nei luoghi decisionali e politici, che registrano una crescita costante di anno in anno. Le elezioni del 2018 hanno infatti portato la quota di elette nel parlamento italiano al 35,4 per cento, in aumento rispetto al 30,7 per cento della legislatura precedente. Questa crescita si riscontra anche sul piano europeo, con il 41 per cento della rappresentanza italiana femminile nel 2019 all’interno del Parlamento europeo (raddoppiata rispetto alle elezioni del 2009).

Molto più critica, invece, la percentuale di donne elette all’interno dei consigli regionali, dove nel 2020, sul totale dei consigli regionali italiani, le donne risultano essere solamente il 21,1 per cento. Basso anche il numero di donne che ricoprono la carica di sindaco che nel 2019 risultavano essere pari al 14,3 per cento del totale, amministrando una popolazione che coincide con poco più del 16,6 per cento della popolazione totale. Critica, inoltre, anche la rappresentanza femminile all’interno di alcuni organi decisionali del Paese (Corte Costituzionale, Consiglio Superiore della Magistratura, Autorità di Garanzia, Consob, Ambasciatrici) dove, ad ottobre 2018, le donne presenti in tali organi corrispondevano in media al 16,8 per cento.

Particolarmente positiva, invece, la rappresentanza femminile neiconsigli di amministrazione delle società quotate in borsa, in costante crescita grazie anche agli interventi normativi in materia, che nel 2017 ha superato la quota del 30%e nel 2019 ha raggiunto il 36,4 per cento.

Alla disparità di genere relativa al tasso di occupazione tra uomini e donne, l’indagine Istat segnala infine come un fattore che inevitabilmente incide sul dato, sia quello relativo alla presenza o meno di figli. L’11,1 per cento delle donne che ha avuto almeno un figlio nella vita non ha mai lavorato per prendersi cura dei figli (nel Mezzogiorno si arriva a una donna su cinque).E’ quindi evidente come la partecipazione delle donne al mondo del lavoro risulti essere particolarmente legata ai carichi famigliari. Questo fenomeno viene confermato dal tasso di occupazione delle madri che risulta essere più basso rispetto a quello delle donne senza figli: nel 2018 aumenta infatti lo svantaggio delle donne dai 25 ai 49 anni con figli in età prescolare rispetto alle donne senza figli, con un tasso di occupazione più basso del 26 per cento per le prime; particolarmente penalizzate, inoltre, risultano essere le giovani donne con figli piccoli.

La conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di vita famigliare risulta essere infatti difficile per il 35 per cento degli occupati (uomini e donne) che hanno responsabilità di cura nei confronti dei figli e quasi la stessa proporzione di padri e madri con figli al di sotto dei 15 anni, ha dichiarato come vi sia almeno un aspetto nell’attuale lavoro che rende difficoltosa la conciliazione della vita famigliare e professionale, soprattuto nei casi in cui vi sia più di un figlio o di prole in età prescolare.

Tuttavia, se sia padri che madri occupati riportano in egual misura problemi di conciliazione tra vita famigliare e lavoro, l’indagine evidenzia come siano però soprattutto le donne ad aver modificato qualche aspetto della propria attività lavorativa per venire incontro alle esigenze di cura dei figli. Nello specifico il 38,3 per cento della madri occupate ha dichiarato di aver apportato almeno una modifica alla propria condizione professionale, contro appena l’11,9 per cento dei padri occupati. Una percentuale che sale al 44,9 per cento delle madri occupate con bambini tra i 0 e i 2 anni, dove per la controparte maschile si segnala un dato di poco inferiore al 13 per cento.

Spesso, inoltre, la nascita dei figli non comporta solamente alcune modifiche alla propria carriera lavorativa per le donne, bensì la sua completa interruzione, con l’11 per cento di madri che hanno interrotto la propria carriera lavorativa alla nascita di un figlio, il 17 per cento nel caso di due figli e il 19 per cento nel caso di tre o più figli. L’analisi per classi di età mette in luce come la decisione di interrompere il lavoro riguardi sia le giovani sia le più anziane, con percentuali in alcuni casi più alte per le prime.

Un dato non poco rilevante e che incide fortemente sulla disparità di genere riguarda infine la condivisione dei carichi famigliari. Nonostante sia in diminuzione, permane infatti la tradizionale asimmetria nella ripartizione del lavoro famigliare, dove la percentuale del carico di lavoro famigliare svolto dalla donna (tra i 25 ed i 44 anni), sul totale del carico di lavoro famigliare della coppia in cui entrambi i componenti sono occupati, è pari al 67 per cento (relativo all’ultimo dato disponibile del biennio 2013-2014). Inoltre, è ancora la componente femminile a presentare una maggiore quota di sovraccarico tra impegni lavorativi e familiari: più della metà delle donne occupate, infatti, (54,1 per cento) svolge oltre 60 ore settimanali di lavoro retribuito e/o familiare, contro il 46,6 per cento della controparte maschile.

Buona “festa della donna” a tutte.

(Fonti: Istat, Eurostat, Parlamento Europeo, ONU Italia)

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