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8 marzo con la body positivity, per i diritti di tutt(e)i

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

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È arrivato come ogni anno l’8 marzo

– anche se è un 8 marzo sotto l’ombra del Coronavirus; ma tanto più è importante parlare di civiltà. È arrivato l’8 marzo a ricordarci, con la sua stessa esistenza quante cose ci siano da fare ancora: per la parità sul lavoro, in famiglia. E anche perché le donne non siano ridotte a un canone unico di bellezza; e perché tutti impariamo ad accettarci (magari perfino amarci) per quello che siamo, al di là delle pressioni sociali.

Body positivity

E’ su questo che si impegna il movimento della body positivity, e sui social media le giovani italiane che l’hanno abbracciato e fanno tendenza sono parecchie. Non dico quanti anni hanno – sebbene siano tutte giovani e determinate – non vi dico come sono fatte o da dove vengono. Non lo dico perché questo è un pezzo su come non si catalogano le persone; se volete lo scoprirete sui sociale e soprattutto su uno. “Instagram è un amplificatore, più dai energia buona più te ne torna indietro” dice Laura Brioschi, ‘curvy model’ con una linea di bikini e tanti progetti, fra cui Body Positive Catwalk, evento e associazione noprofit “per dare inclusività a tutti, donne, uomini, più grassi, più magri, di ogni etnia o orientamento sessuale. Il mio obbiettivo per i prossimi 12 mesi è creare sempre più eventi inclusivi: cose che ci ricordano che siamo tutti uguali”. Cioè siamo tutti diversi, e va bene così. “Per me è impellente far stare bene gli altri, con un abitino carino o con un messaggio che ricorda a chi mi legge che non bisogna ascoltare le lingue biforcute; e dicendolo lo ricordo anche a me stessa, e questo mi dà un grande senso di pace. E poi Instagram arriva in tutte le parti del mondo”.

“Per me è una filosofia di vita”

“Io uso anche altri social ovviamente ma su Facebook mi contattano soprattutto uomini che sembrano interessati solo al corpo” spiega Laura. “Twitter l’ho abbandonato subito, e con Tik Tok, le foto arrivano a tutti; è come mettermi alla gogna perché la mia fisicità è molto diversa dagli standard di bellezza. Con Instagram, grazie agli hashtag, riesci a indirizzarti verso le persone che ti sono simili, ma in ogni parte del mondo. Così si crea una community meravigliosa. Su Facebook già si parlava di curvy, ma è stato su Instagram che mi sono avvicinata alla body positivity. Per me ora è una filosofia di vita, di inclusività”.

“E’ stato proprio vedere corpi sempre diversi, formosi e non formosi, a creare questa cosa meravigliosa, questa apertura mentale, questa libertà, questa leggerezza che tutti dovremmo conoscere nella nostra vita, per essere senza pregiudizi verso se stesse e gli altri. Se lasciamo andare le percezioni negative, e ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo ad avere il corpo che abbiamo, un corpo che ci permette di fare tutto… allora la qualità della vita cambia radicalmente”.

“L’8 marzo per dare risalto alle lotte di tutto l’anno”

Corpi utili, e anche corpi orgogliosi. “La body positivity è innanzitutto un movimento politico e sociale” spiegano Chiara Meloni e Mara Mibelli, che con @belledifaccia (oltre 27mila follower, un progetto nato su Instagram che poi è diventato un’associazione impegnata contro grassofobia e body shaming) sfidano le convenzioni tutti i giorni. “Promuove l’idea che tutti i corpi – grassi, disabili, trans, non binari, neri – siano validi e che meritino rispetto e dignità come tutti quelli che rispettano gli standard di bellezza eurocentrici. Il movimento ha origine dalla Fat Liberation, nata dalla seconda ondata femminista degli anni 70 e creata da donne queer, ebree, nere e lesbiche”. Accettarsi e apprezzarsi è un diritto di tutti. E per l’8 marzo? “Non possiamo certo permetterci di lavorare un giorno all’anno. Noi, come Belle di Faccia, continueremo a sensibilizzare su questi temi; però crediamo che l’8 marzo sia un simbolo e una ricorrenza importantissima per dare rilevanza mediatica a tutte le lotte che portiamo avanti tutto l’anno”.

Anche loro insistono sul ruolo non solo degli altri sociale ma di Instagram: “non è tutto filtri e influencer che vendono prodotti dimagranti, ma è stata la prima piattaforma nella quale ci siamo imbattute in donne con corpi grassi che prendevano liberamente spazio senza chiedere scusa. Modelle plus size, oppure vere e proprie attiviste grasse che sfidavano i canoni e ci mostravano che si può avere una vita piena anche senza dimagrire e raggiungere la fantomatica “versione migliore” di te”.

“Non voglio che altri ragazzini si sentano persi”

Murielxo (pseudonimo di Muriel De Gennaro, lunghi capelli colorati, che sul suo profilo è seguita da 290mila follower e invita a “be real, be kind, be you” ), per il 2020 progetta di puntare molto di più sul social: “vorrei puntare molto più su Instagram, cercare di sdoganare alcune tematiche e sensibilizzare! È un social molto importante, arriva a tantissime persone, quindi voglio utilizzarlo per fare del bene”. Attivista LGBT e per la Body Positivity, spiega che i suoi progetti “prevedono sempre il racconto di una storia, mi piace ospitare sui miei social persone che hanno qualcosa da condividere: di solito si tratta di messaggi legati all’inclusività, quindi body shaming, lgbt+, discriminazioni in generale insomma. Quando lo spettatore si mette ad ascoltare la storia di una persona reale, riesce ad empatizzare e comprendere più facilmente. Per me” aggiunge, “la body positivity è  “l’arte del poter e voler fare”. Se vuoi una cosa… puoi ottenerla, a prescindere dalla tua taglia, dalla tua etnia, dalla tua disabilità. A me dicevano sempre “per fare successo su YouTube devi dimagrire” oppure “se vuoi trovare un ragazzo devi dimagrire”; invece no, non funziona così, io “devo” dimagrire se lo voglio per me stessa. Non per fare o ottenere qualcosa”.

Ha deciso di metterci la faccia “perché non voglio più che qualche ragazzino/e/* si senta come mi sentivo io da adolescente. Servono più rappresentazioni nei media, io da piccola mi sentivo persa, fra le celebrità che seguivo e a cui mi ispiravo non c’era nessuno che mi facesse sentire giusta. Adesso le cose stanno decisamente migliorando, anche proprio grazie a tutti i profili che stanno nascendo su Instagram”.

“Battersi per i diritti di tutti”

Più accettazione, più civiltà, più libertà per tutti. Irene Facheris, presidente dell’associazione Bossy, ha scritto Creiamo cultura insieme (Tlon) e recentemente Pillole di parità (Rizzoli), un testo che approfondisce l’esperienza delle rubrica omonima aperta nel 2016 su YouTube (150 puntate dalla mastectomia al veganesimo, da come si reagisce alle molestie al poliamore). Lancia un invito: tutte e tutti possiamo impegnarci. “Guardando le varie battaglie che vengono combattute anche sui social, si corre il rischio di rimanere degli orgogliosi spettatori. “Guarda che brava lei che sta parlando di grassofobia, che bel messaggio, è utile che ci siano persone così!”. E non ci si fa la domanda: sì ma io invece, cosa posso fare? Sembra che si possano combattere solo le battaglie che ci riguardano in prima persona, invece è centrale anche il ruolo degli alleati”.

E quindi, Irene dice,  “è importante che una persona magra si batta per i diritti delle persone grasse (o un etero per i diritti della comunità LGBTQ+, un uomo per i diritti delle donne…), perché quando ti occupi di un problema che non hai, nessuno può dirti che lo stai facendo solo per un tornaconto. Gli altri che ti guardano sono obbligati a rendersi conto che lo fai perché è giusto, non perché è utile a te; e questo può dare anche a loro la spinta a mettersi in gioco e fare cultura e attivismo, sui social così come nella vita vera, assieme ai propri amici”.

Quello sguardo interiore

Ma non c’è solo lo sguardo giudicante degli altri; c’è anche quello, pernicioso, che abbiamo interiorizzato. “Credo che sia prioritario” dice Laura Brioschi. “Perché se ci sentiamo in colpa di essere come siamo, se ci sentiamo sbagliati, quello sguardo esterno avrà un peso; se ci sentiamo bene con noi stessi, lo sguardo negativo degli altri ci farà quasi pena, perché quella persona è così cieca da non vedere la luce”.

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