Israele tra parità di genere e libertà sessuali
12 gennaio 2016POLITICA
Le donne, la politica di “genere”, il Medioriente, le riforme internazionali e la visione politica dello stato israeliano. Ne parliamo con l’Ambasciatore Dan Haezrachy, Vice Capo Missione Diplomatica dell’Ambasciata di Israele a Roma.
Dai rapporti delle Nazioni Unite risulta che una donna su tre, al mondo, è stata picchiata, forzata ad avere rapporti sessuali, o ha comunque subito abusi almeno una volta nella sua vita. Tali statistiche devono ricordarci la portata di questo problema e le terribili conseguenze per la salute e il benessere individuale, così come per lo sviluppo sociale ed economico. Nel particolare contesto Mediorientale quale è la condizione contemporanea della donna nello stato di Israele?
Sin dalla sua creazione, Israele ha avuto bisogno di tutte le forze presenti nel Paese per sopravvivere e consolidarsi. In questo senso, le donne non solo hanno avuto un ruolo fondamentale all’interno delle famiglie, ma anche nella vita pubblica. Lo hanno avuto nella politica – pensiamo alla figura di Golda Meir – ma anche nell’esercito, un vero e proprio pilastro del Paese. Oggi abbiamo Generali donne e lo stesso capo del Sistema Penitenziario israeliano e’ una donna. Ancora: lo stesso sistema bancario israeliano vede numerose donne a capo di importanti banche, tanto che il Governatore della Banca Centrale di Israele è una donna (Karnit Flug). Le donne sono presenti in ogni settore economico (in primis quello medico) ed esiste una legge che vieta qualsiasi discriminazione per motivi legati al genere, soprattutto per quanto concerne sia l’impiego che la retribuzione lavorativa. Per questo, non solo in Medioriente ma anche in termini globali, Israele ha uno degli indici più elevati per quanto riguarda il “gender equality”.
Una bambina che nasce oggi dovrà avere la pazienza di aspettare 81 anni, prima di avere le stesse possibilità di un maschio di diventare amministratore di un’azienda. Per ambire a guidare un Paese, invece, ne dovrà attendere 50. Sono le statistiche allarmanti presentate durante la Giornata mondiale delle donne, e durante la riunione della Commission on the Status of Women. Come ha vissuto Israele la storia delle donne e quali riforme e atti in ambito transazionale pensa che la politica debba condurre e attuare?
La questione della parità di genere è fondamentale in Israele. Nonostante le caratteristiche naturali di Israele – di cui ho parlato in precedenza – tra il 2010 e il 2014, ad esempio, il Parlamento israeliano ha approvato oltre 50 diverse iniziative per promuovere il “gender equality”. Ovviamente, questo non significa che non c’è ancora del lavoro da fare. Ci tengo però a sottolinea che, in un settore fondamentale come quello della scienza e della tecnologia – centrale per l’economia israeliana – l’impiego di donne supera il 30%. In un altro settore rilevante per la vita democratica dello Stato – la giustizia – il 50% degli impiegati sono donne. Tra questi, il 25% dei giudici della Corte Suprema israeliana sono donne. Un risultato notevole, non solo per i drammatici standard Mediorientali, ma anche per quelli dello stesso Occidente. Aggiungo anche che, per compensare gli anni in cui è esistita una disparità di trattamento, lo Stato incentiva l’impiego delle donne. Nel settore pubblico, ad esempio – fatta salva la parità di esperienza e capacità - nel caso un posto di lavoro sia conteso tra un uomo e una donna, quasi sicuramente sarà la donna ad ottenere l’impego.
Recentemente l’Ambasciatore, già Ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi nell’esprimere il suo sostegno alla battaglia transnazionale del Partito Radicale, nell’affermazione dello stato di diritto, ha indicato delle priorità: «libertà religiosa, diritti della donna, diritti del fanciullo, educazione alla tolleranza e lotta all’estremismo dovrebbero essere i cinque principi trasformativi per orientare iniziative diplomatiche e multisettoriali nella promozione dello stato di diritto». I diritti delle donne rappresentano un elemento fondamentale nella promozione dei diritti umani. Secondo lei, l’Unione Europea e le Nazioni Unite come dovrebbero intervenire in ambito internazionale nell’affermazione dei diritti delle donne, in un mondo estremamente problematico quale quello rappresentato, pur con tutte le sue peculiarità, dal Medioriente?
I diritti da Lei citati sono fondamentali per l’affermazione dello Stato di Diritto. Una battaglia che vede l’Ambasciatore Terzi e il Partito Radicale in prima fila. Ritengo che sia fondamentale dare incentivi ai Paesi che dimostrino, seriamente, di progredire in questa direzione. Per quanto mi riguarda, non sono nella posizione di consigliare l’UE e l’ONU. Allo stesso tempo, però, come rappresentante di un Paese che condivide i valori e le normative delle organizzazioni da Lei menzionate, devo rilevare che molto spesso (purtroppo), Israele non gode di un trattamento imparziale. Ciò, sicuramente non favorisce lo sviluppo dello Stato di Diritto in Medioriente.
In tutto il mondo, soprattutto in Occidente, si dibatte sull’approccio e la metodologia di “genere” sull’attualità e l’azione politica dei governi. Alla famiglia tradizione si affiancano nuovi rapporti sociali caratterizzati da single con figli, unioni di fatto e coppie omosessuali. Da anni Israele ospita il Gay Pride nella vivace città di Tel Aviv, dove la manifestazione vede sempre una partecipazione massiccia e da alcuni anni gli organizzatori portano la festa anche nelle vie della capitale. Come sta affrontando Israele tale dibattito e quali azioni politiche sono in corso nel paese soprattutto per quanto riguarda i diritti Lgbti?
Israele è stato il primo Paese asiatico a riconoscere le convivenze tra persone dello stesso sesso, già nel lontano 1988. Anche se direttamente in Israele, le persone dello stesso sesso non possono sposarsi, il Paese riconosce i matrimoni tra persone dello stesso sesso, celebrati all’estero. Infine, dopo una decisione della Corte del 2008, le coppie dello stesso sesso possono anche adottare bambini. L’esercito stesso si è adattato alla società, garantendo ai soldati e alle soldatesse della Comunità Lgbti, il diritto/dovere di servire in sicurezza e senza rischiare discriminazioni. Nello stesso Ministero degli Esteri israeliano, diversi diplomatici sono parte della Comunità Lgbti, godendo degli stessi diritti dei dipendenti eterosessuali. Come Lei saprà, Tel Aviv è divenuta una delle “capitali mondiali” per la Comunità Lgbti, definita da tutti una vera e propria cittaà “gay friendly”. Ci tengo anche a ricordare che, nel 2014, proprio a Tel Aviv è stato anche eretto un Monumento in memoria delle vittime gay durante l’Olocausto. L’avanzamento dei diritti delle coppie Lgbti è un vanto per la democrazia israeliana e siamo fieri che, diverse volte, omosessuali di altri Paesi – anche del Medioriente – scelgano Israele come Paese dove chiedere asilo politico per sfuggire alle discriminazioni. L’ultimo caso è quello del poeta Payam Feili che, dopo essere scappato dall’Iran per approdare in Turchia, sta oggi compiendo i passi burocratici per vivere in maniera stabile in Israele.
Affrontando la tematica dell’educazione e dell’istruzione, come è affrontata la sessualità all’interno delle scuole pubbliche del Paese in rapporto alla storia delle donne e di genere?
Sin dalle scuole della prima infanzia, ai bimbi israeliani è insegnata la tolleranza. Non solo: viene loro insegnato ad avere consapevolezza dei loro diritti individuali. I bambini vengono quasi sempre inseriti in classi miste, ove viene loro insegnato il reciproco rispetto. Ci tengo a chiudere sottolineando che, come israeliano, non sono certo fiero del recente arresto di personalità politiche per motivi di abusi sessuali. Allo stesso tempo, considerando che in carcere è finito persino l’ex Presidente della Repubblica Moshe Katzav, queste vicende hanno dimostrato che il sistema funziona e che la giustizia israeliana non concede alcun margine di tolleranza a chi abusa delle donne e dei loro diritti.
(*) Componente del Consiglio direttivo di “Nessuno tocchi Caino”, membro della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (Lidu Onlus) e del Comitato Italiano Helsinki per i diritti umani