Laura Boldrini: «L’integrazione? La si fa ascoltando chi arriva da fuori» - Cronaca
La globalizzazione non va subita, bensì capita e gestita. Occorre spostare l’attenzione al di là dei nostri steccati e orticelli. Bisogna gettare lo sguardo lontano. Laura Boldrini, dal marzo 2013 presidente della Camera dei Deputati e dal 1998 al 2012 portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, a guardare oltre ci prova da Pisa. Oggi, alle 15,30, nell’aula due del Polo Carmignani, in piazza dei Cavalieri, la terza carica dello Stato presenta il suo ultimo libro, dal titolo appunto “Lo sguardo lontano” (Einaudi).
Presidente Boldrini, cominciamo proprio dal libro. Ok, c’è da lanciare uno sguardo lontano, ma verso dove? Verso quali punti di riferimento? Non ce ne sono rimasti molti...«Nel mio libro mi riferisco essenzialmente alla politica, la mia vuole essere soprattutto un’esortazione alla politica, affinché vada oltre il quotidiano e si proietti alla ricerca di una visione futura sui temi più rilevanti. A cominciare dall’Europa. È ora che l’Italia si confronti con le grandi questioni. Bisogna trovare la capacità di misurarsi con un contesto globale ed essere più presenti in occasione delle scelte cruciali. Altrimenti, ci si chiude in noi stessi sempre di più, non si può continuare a concentrarsi solo sulle beghe domestiche».Parliamo di diritti civili: nei giorni scorsi, a Pisa, come il nostro giornale ha ampiamente documentato, uno studente dichiaratamente gay è stato invitato a prendere parte ad un dibattito sull’educazione sessuale organizzato nell’ambito dell’autogestione di un liceo. Nel corso del suo intervento, il giovane è stato deriso e insultato, è stato addirittura definito “malato”.
Quanto il nostro Paese è indietro rispetto a certe tematiche?«Il fatto che al giorno d’oggi un ragazzo omosessuale parli apertamente e pubblicamente del suo orientamento sessuale e per questo venga deriso e umiliato è veramente inaccettabile. Se accade è perché troppo spesso in questi anni non è stata adeguatamente stigmatizzata la grettezza di chi si permette tali comportamenti. Non ci può essere niente di goliardico in tutto ciò e in questo tipo di condotte. Tra le responsabilità che hanno adulti e professori c’è anche quella di prendere le distanze e condannare chi mette in atto azioni discriminatorie e omofobe. L’allenatore dell’Inter Mancini ha fatto più che bene a ribellarsi l’altra sera, prendendo le difese di chi viene colpevolizzato per un determinato orientamento sessuale. Al tempo stesso ritengo che non si possa continuare a sostenere che non è mai il tempo dei diritti civili e che prima vengono altre priorità. Così ci condanniamo a rimanere al palo».Sempre a Pisa, alcuni mesi fa, sono divampate roventi polemiche circa lo sgombero di un popoloso campo rom (quello della Bigattiera) alle porte della città. Non pretendo che si cali nella situazione locale e che di questa dia un giudizio, ma secondo lei quale deve essere l’approccio migliore e più indolore rispetto a questa problematica?«Ci può essere solo una soluzione, quella di evitare il degrado, perché nel degrado esce il peggio di tutti. E condannare i rom al degrado nei loro campi significa peggiorare anche la condizione di chi vive a poche centinaia di metri da loro. I rom sono da considerare esattamente come tutti gli altri e più li confiniamo nei campi più si sentono diversi. Se commettono reati devono risponderne di fronte alla giustizia. Come tutti. Occorre dunque pensare ad un superamento dei campi, prendendo in considerazione il loro inserimento in una normale abitazione. La loro marginalizzazione non aiuta nessuno. A questo proposito è importante anche vedere cosa succede negli altri Paesi, dove i rom sono molti di più. Da noi i rom sono 150mila e metà di loro sono per giunta italiani. Non sarebbe dunque così difficile inserirli nel tessuto sociale, come è avvenuto ad esempio in Spagna, in Andalusia, dove quelli che chiamano “gitani” sono ben 600mila e contribuiscono all’identità culturale di questa regione, attraverso il ballo, la musica e l’attività equestre».
Restiamo a parlare di integrazione. Lei arriva a Pisa in un momento in cui il dibattito in merito è animato e articolato. Si parla di un centro storico impoverito e denaturalizzato a causa della presenza di troppi market etnici e kebab e di un aumento della criminalità e della delinquenza causato principalmente dalla cresciuta pressione dell’immigrazione. Ultimamente, sono stati molteplici gli appelli al governo per avere sul territorio più organici delle forze dell’ordine. Ma la militarizzazione delle piazze non può essere la panacea di tutti i mali. Che ne pensa?«La penso anch’io così: militarizzando le piazze non si risolve granché. Per un clima più sicuro per tutti occorre prima di tutto limitare i rischi di tensione sociale e di degenerazione. Ad esempio, l’integrazione è un esercizio complicato ma indispensabile. E di certo non si può improvvisare. Come portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite mi sono confrontata con questi fenomeni per ben quindici anni e quindi ritengo di aver messo insieme una discreta esperienza. Penso che al centro di tutto ci debbano essere l’incontro diretto e l’ascolto dell’altro. Quando le persone del luogo ascoltano chi viene da fuori, fuggendo da una realtà sconvolgente, devastata dalla guerra, con sulle spalle un enorme carico di atrocità, tragedie familiari e sociali, abbassano le difese e diventano subito capaci di empatia. A quel punto scatta la solidarietà, che deve essere accompagnata logicamente dalle leggi sui percorsi d’integrazione. Mi vengono in mente ad esempio i cosiddetti “permessi di soggiorno a punti” sulla base dei vari livelli di apprendimento di lingua, educazione civica, eccetera. Lo Stato deve metterci adeguate risorse, promuovendo appositi corsi. Insomma, il percorso deve essere a doppio senso: ci vuole impegno da parte loro ma anche da parte nostra. E poi c’è il ruolo delle donne. Secondo me, bisogna puntarci di più. Non sempre, anzi quasi mai, nei Paesi da cui arrivano i migranti la donna svolge un ruolo aperto e primario come da noi. Quindi, comportamenti che a noi sembrano normali per loro acquisiscono un altro tipo di significato. Non diamo troppe cose per scontate, occorre parlare di più con loro ed evidenziare le nostre conquiste civili e sociali. Il rispetto dei diritti delle donne, ovviamente, per noi è irrinunciabile. Ed è un tema su cui dobbiamo fare in modo che ci seguano».
Lei è reduce dal Viaggio della Memoria al campo di sterminio ad Auschwitz in compagnia degli studenti e del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini. Un’esperienza che l’ha molto colpita. Pensa che la lezione della Shoah sia da ritenere ancora attuale? E non pensa che il negazionismo sia un fenomeno altrettanto attuale?«Purtroppo, devo dire che dalla Shoah non abbiamo imparato abbastanza. I genocidi della Cambogia, del Ruanda e i crimini dell’ex Jugoslavia sono lì a testimoniarlo e per il momento non hanno affatto contribuito a renderci più saggi e più lungimiranti. Cos’altro deve succedere perché capiamo? La presunzione di superiorità e la volontà di annientamento dell’altro sono sempre in agguato. L’ultranazionalismo cova sotto la cenere, il negazionismo non è affatto superato. Basta andare su Internet e verificare quanti sono i siti nazifascisti ancora presenti e quanti proseliti riescono tuttora a riscuotere. La penso esattamente come il nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quando dice che “bisogna avere cura della Repubblica”. Ha ragione, occorre stare attenti, perché i rigurgiti ci sono. Ecco perché è importante che insieme a me, alla ministra Giannini, alle sorelle sopravvissute ai campi di sterminio Andra e Tatiana Bucci (cittadine onorarie di Pisa, ndr) e ad uno altro sopravvissuto come Sami Modiano, ad Auschwitz ci fossero tanti studenti. Sono i giovani, i ragazzi, ad avere la responsabilità di custodire ciò che hanno ascoltato e di dare seguito agli insegnamenti ricevuti. Loro hanno fatto un patto coi sopravvissuti, quello di non stare mai più zitti, di ribellarsi di fronte alle ingiustizie e ai soprusi. A partire dalla scuola. Sa cosa le dico? Il bullismo lo ritengo un’altra declinazione della presunzione di superiorità. E per questo va combattuto».
Passiamo a qualcosa di ben più ameno. Torniamo a Pisa. Ha un ricordo che si porta dietro legato alla Torre Pendente?«Certo che ce l’ho. Ed è relativo alla mia infanzia, quando mi portarono da piccola a Pisa a vederla per la prima volta. Mi aveva colpito già sui libri, ma quando mi ci ritrovai fisicamente sotto ho ancora in mente il grande stupore. Non me l’aspettavo davvero così pendente, così inclinata, rimasi a bocca aperta e con gli occhi sbarrati».