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La rivoluzione delle donne islamiche parte dal chirurgo plastico | Giorgio Bartolomucci

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Con la chiusura dell'indagine interna svolta dal Ministero dei Beni culturali (nessun responsabile) sta lentamente scemando la polemica sulle statue coperte in Campidoglio durante la visita del presidente iraniano Hassan Rohani.

Tante, fin troppe le polemiche fra chi ha difeso il Cerimoniale e il dovuto rispetto a un ospite straniero e chi ha parlato di prostituzione culturale giustificata dagli interessi commerciali, e finanche di violazione grave dei principi di laicità e di sovranità nazionale italiana. Impossibile una sintesi fra le opposte posizioni, quindi limitiamoci a sorridere delle battute che i nostri comici più bravi continueranno a fare nei prossimi mesi.

Eppure ciò che è successo a Roma, e a fine anno in Germania - casi diversi ma profondamente collegati - sono episodi che possono servire ad approfondire un paio di aspetti relativi alle differenze esistenti, e probabilmente inconciliabili, fra la nostra storia e cultura e quella di altri mondi e religioni. Il primo punto è legato alla concezione del corpo in occidente e nel mondo islamico, il secondo ha a che fare con il ruolo della donna nelle due realtà, non solo in rapporto all'esercizio dei diritti fondamentali ma soprattutto della sessualità e del piacere. Temi complessi in cui per superficialità dei dibattiti si rischia di ridurre il tutto a una generica mancanza di diritti da parte delle donne nell'Islam, che diventa poi una ancor più generica istanza di liberazione sessuale, e quindi nell'auspicio di una rivoluzione rispetto alla tradizione.

Ciò è dovuto alla nostra convinzione che nei Paesi islamici, in cui la condizione femminile è storicamente molto diversa, la religione non riconosce ai diritti sessuali il valore di diritti fondamentali, primari di ogni individuo. Un principio che - è bene ricordare - valeva anche in Italia e in molti altri paesi occidentali, prima della cosiddetta rivoluzione femminista, che ha restituito alle donne il potere di respingere ogni ingerenza, una libertà assente nei paesi musulmani.

Malek Chebel nel suo volume, Le corps en Islam, (PUF, Paris 1994) scrive che nel Corano il corpo (giasad) non è mai assente né passivo, ed è capace di dare il meglio o il peggio di sé a seconda che prevalgano le passioni (nafs) originariamente pure (fitra) che gli conferiscono vitalità ma che nel corpo si corrompono. Alle passioni si oppongono il raziocinio ('aql) e le norme (per esempio il digiuno), che evidenziano i concetti di puro/impuro, lecito/illecito, alla base delle pratiche alimentari e sessuali dei musulmani. L'impurità corrisponde al disordine, dell'individuo e del mondo (fitna) cui la religione si propone di dare rimedio attraverso prescrizioni, leggi, norme e ritualità nella quale il corpo, è soggetto alla separazione netta fra carnale e spirituale.

Da ciò la denuncia dei musulmani che in Occidente la donna sia usata nella pornografia e per la pubblicità, sempre mezza nuda. Il corpo, quindi non solo è il mezzo ma è anche il fine di una fede che vede nel disfacimento dei costumi occidentali una minaccia a valori sempre più di difficile definizione. In altre parole, gran parte della disciplina richiesta al musulmano praticante consiste nel dominare il proprio corpo e i propri istinti. Un obbligo morale e sacralizzato che, è bene ricordare, dovrebbe resistere anche in chi si è trasferito in Europa, anche se con qualche deroga che fra poco vedremo.

Mantenersi puri nonostante il costante confronto con un mondo femminile che lancia agli uomini la sua sfida in nome di una raggiunta libertà del corpo e della propria sfera passionale e sessuale. Molti musulmani considerano ancora le donne come una costante tentazione ma anche un bene privato da coprire con abiti lunghi, ampi, e veli al fine di sottrarle agli sguardi di altri uomini. Oggi il velo è obbligatorio in Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar, Oman, Kuwait, Iran dove gli uomini rinunciano a questo diritto, o le donne non accettano la prescrizione coranica, perdono gran parte della reputazione e quindi diventano una possibile preda. Essere nubili è considerato un fatto negativo, ispira sfiducia. E qui arriviamo a parlare del concetto di autorità e di potere nei rapporti interpersonali, nella società, nella famiglia e, soprattutto nella coppia. Una riflessione che non può ignorare che negli ultimi decenni molti dei Paesi a prevalenza musulmana sono governati dai gruppi più conservatori, quando non apertamente integralisti.

La donna considerata ribelle, se sfugge all'autorità della famiglia, del marito, va sottoposta alle misure previste dalla legge islamica. Le differenze tra uomo e donna risiedono nei diritti e doveri dei due sessi, prescritti dalla valenza giuridica del Corano: hanno una posizione sociale inferiore nel diritto patrimoniale ereditario (il figlio maschio ha la parte di due femmine) e nel diritto matrimoniale (l'uomo può sposare fino a quattro mogli contemporaneamente). Ma il Corano parla anche di una subordinazione della donna all'uomo dovuta a fattori naturali, tipo un'intelligenza inferiore.

Può far sorridere allora che la religione musulmana non insista sulla castità e la continenza, e che a differenza del cattolicesimo ammetta anche il divorzio, perché il tutto è sempre a vantaggio dell'uomo, cui è tollerato l'adulterio e tra gli sciiti il mutah ("matrimonio temporaneo, che di fatto consente la prostituzione. Cosa vietata nel diritto sunnita, che però autorizza chi si trova in occidente per studi o per lavoro, a sposare donne di religione monoteista, con la segreta intenzione di separarsene alla fine del loro soggiorno. Il marito può divorziare in qualunque momento, basta che paghi gli alimenti; la donna può farlo solo se dimostra di essere stata malmenata.

In conclusione: dove la legge islamica si applica in modo stringente la donna è più maltrattata e discriminata e le si possono comminare pene che vanno dalle frustate, all'esilio fino alla lapidazione. Più volte si sente dire che molte donne islamiche indossano il velo, integrale o non, per una scelta di libertà contro il modello occidentale rifiutando le conquiste dell'emancipazione femminile. La verità è che la maggior parte indossa il niqab, hijab o altro perché costrette dalle famiglie, dagli uomini e dalla religione, oppure solo per impedire che gli uomini le guardino come oggetto sessuale.

Veniamo ora a segnalare che anche nel mondo musulmano qualche istanza di emancipazione e di affermazione dei diritti delle donne, in contrapposizione con la cultura maschilista e patriarcale, si muove, attraverso canali e modi poco appariscenti ma che nel tempo mineranno silenziosamente le basi delle convinzioni più conservatrici. Piccole conquiste che stanno alimentando alcune scelte autonome delle donne, non necessariamente di rottura rispetto alla tradizione islamica. Un esempio viene dalla chirurgia estetica. Nei paesi arabi e medio-orientali è business che non conosce crisi. Seni rifatti, liposuzioni, operazioni intime, trapianto di capelli. Sono sempre più numerose le donne, che ricorrono alla chirurgia plastica a prezzi stracciati. In Iran almeno il 30% delle ragazze si rifà il naso. Le pazienti non sono più solo della classe sociale privilegiata, ma sono soprattutto le studentesse che mettono da parte denaro per rifarsi il corpo, o signore velate che richiedono un lifting, o giovani impiegate che ottengono un prestito per una liposuzione.

Cosa prescrive a riguardo l'Islam? La religione non autorizza il ricorso alla chirurgia estetica ma nemmeno la proibisce e a riguardo ci sono state numerose fatwa pro o contro. Contro, perché se si ha un grosso naso è volontà di Dio; a favore perché la bellezza di una donna onesta non può dispiacergli. E le donne, soprattutto in Iran sembrano propendere per questa seconda interpretazione, utilizzandola a proprio favore, dando prova che il processo di autonomia delle donne nei riguardi delle prescrizioni Islamiche sarà sicuramente lungo e controverso, forse compiuto a piccoli passi (la libertà di guidare o di partecipare alla vita politica, svolgere lavori finora riservati agli uomini, ecc.) ma è una sfida che, mettendo in discussione comportamenti consolidati ed evidenziando le difficoltà maschili a gestire la propria vulnerabilità, dal bisturi del chirurgo estetico arriverà inevitabilmente anche al pieno riconoscimento di tutti i diritti, sessuali inclusi.

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