La storia dei sandali platform di Prada preferiti da Miuccia
È il settembre del 1996. Nelle capitali della moda, New York, Londra, Milano e Parigi si tengono le sfilate primavera-estate dedicate all’anno successivo. I défilés sono la prova finale per gli stilisti, il riassunto di mesi di lavoro trascorsi a pensare e creare vestiti e accessori che sei mesi dopo riempiranno le boutique dei marchi, rappresentandoli. E a volte capita, sebbene sempre più raramente, che tra un’uscita e l’altra in passerella si noti un dettaglio, un capo, una borsa o una scarpa destinato a diventare iconico, entrando di lì a poco nella storia della moda. Quell’inizio d’autunno, quando ancora il freddo non prende il sopravvento sull’estate, Miuccia Prada realizza una collezione molto femminile, enfatizzata da abiti, sia corti che lunghi fino alle caviglie, ispirati all’universo della lingerie. Del resto la creativa apprezza da sempre il taglio bias, una versione più sofisticata di quello che oggi viene definito slip dress. Ma non sono unicamente i vestiti ad attirare l’attenzione. Ai piedi delle modelle, da Kate Moss a Stella Tennant passando per Amber Valletta (quest’ultima poserà poi per la campagna pubblicitaria, ritratta dalla macchina fotografica di Glen Lunchford) appaiono i sandali platform di Prada che fanno parte ancora oggi del mondo della maison.
Come la maggior parte delle altre calzature della maison milanese, si contraddistinguono per un gioco di pesi: la zeppa è spessa, non troppo alta ma sufficiente a slanciare la figura, mentre i cinturini sono sottili, leggeri. Questo modus operandi è una costante chez Prada. E deriva dal retaggio familiare e culturale di Mrs. Miuccia, “Miu Miu” per gli amici (da qui la scelta di chiamare l’altro brand del gruppo così). Nata Maria Bianchi il 10 maggio del 1949 in una famiglia alto-borghese di Milano, figlia di Luigi Bianchi, uomo d’affari, e Luisa Prada, erede dell’azienda Fratelli Prada produttrice di valigie, borse e bauli, Miuccia Prada cresce da un lato in una vita dal sapore proustiano, dall’altro conosce il cinema, l’arte e la letteratura; viaggia e si batte per i diritti delle donne, manifestando in piazza vestita Yves Saint Laurent, tra i pochi colleghi che ha sempre dichiarato di amare. I due mondi - la tradizione e la rivoluzione - compaiono in ogni collezione e in tutti i dettagli. Sin dalla prima sfilata, tanto detestata da una certa stampa poco avvezza alle novità. È il marzo del 1988, il brand debutta con il prêt-à-porter. In passerella sfilano donne dal look sobrio, elegante e disinvolto. Ogni creazione è una risposta di stile alle proposte viste fino a quel momento da parte di designer come Versace o Jean-Paul Gaultier. E le scarpe di Prada giocano un ruolo fondamentale: sono basse, maschili e robuste. Segnano il passo di quelle realizzate negli anni successivi, come l’iconicomodello zeppa.Nel 1996 viene proposto nella versione black, un classico ancora oggi, e in velluto rosso. Quest’ultimo lo indosserà Miuccia Prada qualche settimana dopo, in ottobre, a New York, quando è ospite dei VH-1 Fashion and Music Awards.
Per capire l’universo (anti)borghese di Prada, quindi com’è nata questa calzatura e, in generale, in quale modo vengono imbastite tutte le collezioni della maison, già detentrice di altri pezzi cult, aka il famoso zaino in nylon, senza logo nella prima versione, basta una frase della designer, in cui fa riferimento alla sua infanzia: “Non mi era permesso niente di frivolo. Ricordo di aver fatto il diavolo a quattro perché volevo delle scarpe rosa. Sono cresciuta desiderandole follemente”. Questo sogno oggi è ampiamente realizzato, anche in altri colori, forme e sfumature; a esso giustappone nuance classiche, nero e marrone, spesso accostate a tinte più audaci.
Il peso dei sandali platform di Prada del '96, il loro “stridere” quando vengono abbinati a look leggeri e morbidi, e il loro essere ricorrenti in altre sfilate, dove talvolta vengono indossati con calze pesanti e reinterpretati in versione Mary Jane, è il senso apicale del vocabolario Prada, identificabile da altre créations come la gonna al ginocchio, le pieghe a coltello (o separate), le linee dritte o ad A. Et voilà. Del resto la moda è uno specchio, riflette ciò che si è e vuole essere. È uno spazio-limite in qui le fragilità, le ambizioni e il carattere di ognuno emergono e si manifestano nella società. “La moda”, secondo Prada, “è un territorio pericoloso perché parla di noi; è molto intima, parla del corpo a anche dell’intelletto, della carne, della psicologia; dice così tanto a proposito di ciò che vuole diventare un essere umano”. E così una donna, dalla testa ai piedi.
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