La Gabbia, il Paragone non regge se a parlare di diritti delle donne sono gli uomini
Ieri sera a La Gabbia il tema dei diritti delle donne è stato ancora sventolato, per l’ennesima volta, come il vessillo delle democrazie occidentali che rispettano le donne, a fronte di un Islam che le opprime. Non che le società islamiche non siano oppressive nei confronti delle donne. Lo sono, eccome, ma si tratta di una questione che attraversa in maniera più o meno profonda, radicata o radicale, paesi e culture, senza confini geografici o culturali. Quanto alle antiche religioni patriarcali, quelle rivelate (il cristianesimo, l’islam e l’ebraismo) è cosa nota che non sono mai state amanti della libertà delle donne, e hanno sempre coltivato una ostile e ostinata misoginia e dettato gli angusti confini nei quali l’altra metà della popolazione doveva (o deve) declinare la propria vita.
Purtroppo Paragone e la redazione de La Gabbia non si sono accorti che avevano invitato solo uomini e Karima Molual, l’unica donna, era in collegamento, visibile da un schermo con un bizzarro effetto gineceo che ricordava quegli spazi riservati alle donne nelle chiese antiche, perché a celebrare messa c’erano in studio Peter Gomez, Alessandro Sallusti, Alessandro Meluzzi, Saif Eddine Abuabid, Giulietto Chiesa che hanno liquidato con poche battute, un tema che conoscono ben poco e che a dispetto dell’introduzione (la testimonianza di Amina data in moglie ad un cugino in Siria e vittima di vessazioni e violenze) non era affatto centrale nella trasmissione. Per fortuna.
Solo Lorenzo Marsili, tra gli ospiti che via via hanno partecipato, ha fatto notare che in qualunque emittente europea, non sarebbe stato possibile costruire una trasmissione facendo partecipare solouomini. In Italia no. Si può parlare anche di diritti delle donne senza dare voce alle donne e poi pretendere di dare lezioni all’Islam (Quando si dice avere la faccia come…).
I cerchi degli uomini sono una costante nella televisione italiana che riproduce stereotipi di genere a raffica (e rappresenta spesso le donne come oggetti sessuali come denunciò Lorella Zanardo) e crea un forte separatismo tra temi considerati maschili, attinenti al logos, e femminili, attinenti all’eros. Per citare un paio di esempi scovati nel recente passato televisivo: la puntata di Servizio Pubblico del 16 ottobre 2014. In studio c’erano Paolo Villaggio, Michele Santoro e cinque “angeli del fango” che avevano ripulito le strade dopo l’alluvione a Genova e anche se tra chi spalava fango c’erano state molte ragazze, nessuna di loro era stata invitata, nemmeno come residua quota rosa. Al di fuori di quell’androceo, messa persino fisicamente in disparte, Elisabetta Gualmini, docente di scienza politica all’università di Bologna, relegata al ruolo di testimone quasi silenziosa e discreta di quel dialogo esclusivamente maschile, anche se solitamente tra chi spala e chi muore per i disastri ambientali e la cattiva politica ci sono anche le donne.
E ancora Quello che non ho condotta da Fabio Fazio e Roberto Saviano il 14 maggio 2012 con una coralità di voci in stragran maggioranza maschili. I cerchi degli uomini, con le donne a parte e da parte, saranno ancora un elemento costante nella nostra televisione ma si eviterebbe il ridicolo se, una volta tanto, per dare lezioni di rispetto dei diritti delle donne, si invitassero negli studi televisivi anche le dirette interessate, scegliendo tra intellettuali femministe che sul tema sono abbastanza ferrate sul tema della negazione dei diritti di casa nostra. Gli spunti non mancano: per esempio quello della alta disoccupazione e della povertà delle donne, oppure il problema della mancata applicazione della 194 per la quale l’Italia è stata già condannata (e a breve si saprà che lo è stata di nuovo) dal Consiglio d’Europa. Oppure un problema attualissimo: quello dell’ostruzionismo delle farmacie che già rifiutano di dare senza ricetta la pillola dei 5 giorni dopo, o ancora il tema delle molestie sul lavoro. Potrebbero parlare, per esempio, del libro Toglimi le mani di dosso di Olga Ricci che ha denunciato la sindrome del sultano del direttore di un quotidiano che ama circondarsi di giovani giornaliste per ricattarle sessualmente, e ha tratteggiato egregiamente, lo spaccato della società italiana, ricordando che le molestie sul lavoro sono un fenomeno ancora in gran parte sommerso, trasversale agli ambienti di lavoro e reso ancora più feroce e cattivo dal precariato. Sarebbe davvero un bello spunto parlare seriamente e non strumentalmente dei diritti delle donne perché si misurerebbe il livello di democrazia del nostro Paese.
Ma in che misura, il giornalismo italiano, è interessato a verificare in quale democrazia vivono oggi uomini e donne?
@nadiesdaa