«Stuprate e torturate dall’Isis In un anno rapite 5000 donne» - Esteri
«Tra il 2014 ed il 2015 in Iraq sono state rapite dall’Isis circa 5.000 donne, tutte appartenenti a minoranze etnico religiose, per lo più Yazidi, cristiane e sciite turcomanne». È la denuncia shock fatta da Suzan Aref, irachena del Kurdistan, fondatrice e direttrice di Women Empowerment Organization, consigliere per il fondo globale per le donne, coordinatrice per lo sviluppo del piano di azione nazionale iracheno per la risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu 1325, pioniera delle battaglie per i diritti delle donne nel suo Paese.
Presidente Aref, il Kurdistan iracheno, la sua regione, è interessato da conflitti e guerre, sia per la guerra civile in Siria sia per la presenza dell'Isis. Qual è la condizione delle donne oggi in Iraq?
«L’Iraq sta vivendo un momento difficile che inevitabilmente si ripercuote sui civili e soprattutto sulle donne. Gruppi armati di matrice terroristica diffondono paura e seminano insicurezza. Moltissimi iracheni sono stati costretti a lasciare le loro case, a emigrare in Europa. Ma a pagare il prezzo più alto di tutta questa violenza ed instabilità sono le donne».
Ci spieghi meglio...
«Le donne sono le prime vittime della violenze. Vengono rapite, stuprate e torturate. Siamo il bersaglio principale dell’Isis. Molte non escono più di casa, hanno interrotto gli studi, non fanno più vita pubblica. Il tasso di analfabetismo tra le donne (di età compresa tra 15-24 anni) è salito in Iraq ad oltre l'80 per cento. Tra il 2014 ed il 2015 sono state rapite circa 5.000 donne, perlopiù Yazidi, cristiane e sciite turcomanne. Per non parlare dell’aumento delle gravidanze forzate dovute agli stupri. Molte ragazze giovanissime poi, età media 20 anni, restano vedove e si ritrovano a ricoprire il ruolo di capofamiglia».
E nel Kurdistan iracheno?
«La mia regione è diventata un rifugio sicuro. Sono arrivati moltissimi profughi. 250.000 siriani sono venuti da noi quando il conflitto nella loro terra si è acutizzato. Dopo la presa di Mosul poi si è impennato il numero degli sfollati interni. Sono circa 2,6 milioni. Più della metà sono donne e bambini».
Sono numeri enormi...
«Sì. E il governo del KRI ha davvero grandi difficoltà a fronteggiarli. Quello che però vorrei sottolineare è che il contrasto alla violenza di genere deve avere un punto centrale nell’affrontare quest’emergenza. Fino ad oggi donne e ragazze sono state trascurate, mentre più si inasprisce la crisi, più aumentano i rischi di violenza sulle donne».
Lei ha fondato nel 2004 la Women Empowerment Organization per assistere le donne vittime di violenza e discriminazione. Come agisce e quali sono gli obiettivi della sua organizzazione?
«In un Paese come il mio, in cui la condizione delle donne è già estremamente debole, questa ondata di violenza barbarica ed indiscriminata ha peggiorato la situazione. L’Isis usa la violenza sessuale come strumento di terrore. Soprattutto nei confronti delle donne appartenenti a minoranze etniche e religiose. WEO lavora per prevenire e contrastare la violenza di genere fornendo anche consulenza sociale, psicologica e legale alle vittime. Accanto a questo abbiamo lavorato per attivare dei corsi di formazione e dei workshop per promuovere i diritti e la tutela delle donne».
Lei è coordinatrice del National Action Plan per l'implementazione della risoluzione 1325. Quali gli obiettivi?
«Gli obiettivi che il piano d’azione si pone sono la parità tra uomini e donne, l’equità dei ruoli e la giustizia sociale. A questo poi si vanno ad aggiungere gli obiettivi di WEO che spaziano dall’aumento, cospicuo, delle donne nelle posizioni decisionali, all’adeguamento della nostra legislazione nazionale sui diritti delle donne agli standard internazionali, al rafforzamento della condizione della donna con un approccio che si basa sul rispetto dei diritti umani, alla costruzione di rifugi sicuri per le donne vittime di violenza».
Un'altra piaga diffusa è quella dei matrimoni precoci...
«I dati su questo tema sono allarmanti. Già prima della crisi il 21% delle ragazze tra i 15 ed i 19 anni si sposava ed il 5,5% delle bambine sotto i 15 anni veniva data in moglie. Queste percentuali sono destinate a crescere, perché troppo spesso tra gli sfollati il matrimonio viene visto come un mezzo per proteggere le ragazze giovani. Fermare tutto questo è complicato ma ci stiamo muovendo per divulgare al massimo le funeste conseguenze dei matrimoni precoci dando risalto anche alle significative barriere giudiziarie, religiose e legali che già esistono».
In Iraq fino al 2003 si contavano 1.500.000 di cristiani. Oggi, dopo quella che da molti viene definita una persecuzione etnica compiuta dall'Isis, ne restano circa 200.000. Qual è la situazione delle minoranze e come è possibile fermare questa strage?
«La persecuzione contro le minoranze è un crimine di guerra, lo ha confermato anche il Segretario generale dell’Onu. Il futuro delle minoranze irachene è strettamente legato alla stabilizzazione e alla libertà del Paese».
La guerra in Siria ha provocato distruzione e morte ma anche un flusso migratorio di dimensioni epocali che l'Europa fa fatica a fronteggiare. Cosa dovrebbe fare la comunità internazionale per garantire una migliore accoglienza dei rifugiati e per impedire i «viaggi della morte»?
«I siriani che hanno chiesto asilo per lo più in Libano, in Turchia ed in Unione Europea sono quasi un milione. Credo che l’apertura di percorsi sicuri per i rifugiati sia una delle soluzioni da percorrere. Questo permetterebbe loro di riunirsi con parenti e familiari. Altrettanto importante è il reinsediamento dei rifugiati più vulnerabili, quelli che sono sopravvissuti alle torture e le persone con gravi problemi di salute».
L'Isis resta una minaccia globale. Come pensa si possa sconfiggere quello che viene considerato il nemico della pace, della democrazia e della libertà?
«L’Isis può - e dovrà - essere sconfitto militarmente da una coalizione internazionale, ma una pace duratura richiede altri tre ingredienti fondamentali: sconfiggere i pregiudizi, assistere i governi più deboli e sostenere lo sviluppo dei diritti umani».
L'azione dei peshmerga è stata determinante per contrastare l'avanzata dell'Isis. Fra essi, le donne hanno svolto un ruolo importante...
«Le donne soldato sono state fondamentali nella controffensiva curda quando l’Isis nell’agosto del 2014 ha iniziato ad attaccare la minoranza Yazidi nel Sinjar. I combattenti Isis le temono molto. Credono infatti che se è una donna ad ucciderli sul campo di battaglia non andranno in Paradiso».
Cosa sogna per il futuro dell’Iraq?
«Sogno un Iraq democratico e civile in cui tutti possano vivere in pace a prescindere dalle differenze etniche o religiose. Un Iraq in cui i diritti umani vengano rispettati, in cui tutte le persone abbiano accesso alla giustizia, in cui l’uguaglianza di genere sia pienamente raggiunta ed in cui le donne possano contribuire attivamente al processo di pace del Paese. Insieme a questo spero che il Kurdistan possa ottenere l’indipendenza e che tutti i suoi diritti siano garantiti da un’entità politica riconosciuta».