Nei consultori laziali i diritti delle donne vengono prima dell'obiezione di coscienza
Le convinzioni etiche o religiose di un professionista sanitario non possono negare la libertà di un'altra persona di esercitare un proprio diritto tutelato dalla legge, questo è quanto affermato dalla sentenza del Tar che ha respinto il ricorso portato avanti dal Movimento per la vita e dalle associazioni dei medici cattolici contro l'iniziativa della regione. La delibera del presidente Zingaretti impone da ormai due anni agli obiettori di coscienza l'obbligo di fornire tutti i certificati necessari ad abortire, nonché la prescrizione di contraccettivi. I movimenti di ispirazione cattolica sostenevano che il ruolo dei consultori fosse innanzitutto quello di evitare l'interruzione di gravidanza, rifiutando qualsiasi tipo di assistenza ad essa connessa.
La sentenza del Tar
Il Tar del #lazio ha ritenuto infondato il ricorso, ribadendo quanto già stabilito dalla legge sull'#aborto del 1978: sebbene gli obiettori possano rifiutare di eseguire un aborto non sono esonerati dal fornire l'assistenza precedente e successiva all'intervento, pena l'abuso di ufficio. A questo proposito metodi e farmaci contraccettivi non possono essere considerati abortivi e allo stesso modo è dovere di ogni medico, a prescindere dalla sue idee, certificare lo stato di gravidanza. Per legge pertanto non è ammissibile che chi opera in un consultorio si rifiuti di prescrivere la cosiddetta pillola del giorno dopo, così come non può negare i documenti necessari a richiedere l'interruzione della gravidanza. La sentenza mette in evidenza come la libertà di alcuni medici di definirsi obiettori non possa rendere impossibile la libertà che le donne hanno di abortire.
I limiti di applicazione della legge 194
Il risultato del referendum abrogativo che nel 1981 confermò la legge sull'aborto sembrò essere il sintomo di una società moderna e laica che finalmente riconosceva il diritto delle donne di autodeterminarsi. Ciò nonostante quel presunto progresso sociale più di trent'anni dopo resta spesso solo sulla carta e non trova riscontro nella realtà, rendendo vana la sua conquista. Se fino al 1975 abortire in Italia era ancora un reato penale e l'unica alternativa era la clandestinità, con la legge 194 venne riconosciuto il diritto all'aborto in strutture pubbliche; eppure ancora oggi esercitare questo diritto è tutt'altro che facile. Secondo i dati del Ministero della Salute, il 70% dei ginecologici in Italia si rifiuta di effettuare interruzioni di gravidanza, addirittura l'80% nel Lazio, rendendo di fatto inapplicabile la legge in buona parte del territorio nazionale. Dovrebbe essere superfluo sottolineare quanto possa essere sofferta la decisione di abortire; a questo tuttavia si aggiunge in molti casi un contesto sanitario nel quale le donne che fanno questa scelta vengono colpevolizzate e costrette a spostarsi da una struttura all'altra alla ricerca disperata di qualcuno disposto ad aiutarle come dovrebbe. Del resto anche soltanto procurarsi una pillola per la contraccezione d'emergenza a volte è molto più complicato di quanto la legge garantisca. La volontà di difendere la vita in quanto sacra può davvero escludere la difesa della vita di queste donne? Si tratta della tutela della loro salute e della loro libertà di scelta. In questo senso quello del Lazio dovrebbe diventare un modello a livello nazionale. "Un cammino impegnativo sul quale vogliamo proseguire per restituire dignità ai consultori e per tutelare la salute delle donne" ha dichiarato il presidente Zingaretti. #Obiezione di coscienza