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La battaglia per l'emancipazione delle donne in Egitto

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Nel 2011 piazza Tahrir al Cairo si riempiva di manifestanti, la maggior parte delle quali donne, che chiedevano libertà e democrazia per l'Egitto: erano donne coloro le quali denunciavano la detenzione degli oppositori, mariti e figli, erano donne coloro le quali invocavano maggiori diritti all'interno di un sistema sociale e culturale fortemente sessista, erano donne coloro le quali si erano organizzate per denunciare i soprusi e le angherie che l'universo femminile da sempre è costretto a subire in Egitto.

Oggi le cose sono cambiate poco: con il regime militare di al-Sisi, più laico del governo di Mohammed Morsi e dei Fratelli Musulmani, sono sempre le donne ad occuparsi di tutti questi aspetti della difficile vita sociale in Egitto. Non si tratta di un movimento propriamente “femminista”, tantomeno “l'emancipazione della donna” è invocata come la panacea di tutti i mali: si parla di verità e di dignità, di un cambiamento culturale necessario e che forse non avvenendo dopo la rivoluzione della primavera egiziana ha impedito alla stessa di svilupparsi in qualcosa di più evoluto: dopo le prime elezioni democratiche nella storia d'Egitto, svoltesi a metà 2012 e che portarono la Fratellanza Musulmana ai vertici della politica, un'ondata di violenza contro le donne che scendevano in piazza durante le manifestazioni anti-Morsi appesantì molto la spinta progressista portando l'Egitto ad essere indicato come il Paese peggiore per la vita femminile, almeno nel mondo arabo.

Il regime militare, spiccatamente laico e certamente avverso agli islamisti ed alla Fratellanza, non ha tuttavia soddisfatto le richieste sociali dell'universo femminile, congelando la situazione all'interno di un vero e proprio status quo. Oggi anche chi lavora per migliorare al condizione sociale delle donne egiziane rischia di finire nelle terribili maglie dell'antiterrorismo all'interno di un panorama di libertà ancor più ridotte che sotto il regime di Mubarak: “Noi non parliamo di diritti o di femminismo” dice Noora Flinkman della ONG HarassMap a Middle East Eye, “vogliamo un cambiamento basato sulla comunità sociale”.

Il movimento femminile però non si è fermato, nonostante la repressione e le mura culturali: molti progetti anti-violenza sono stati accettati ed anzi promossi dal governo militare ma la verità è che lo stato d'emergenza generale del Paese impedisce, di fatto, una vera libertà d'azione. Occuparsi di violenze e abusi, di delitti d'onore e dell'essere donna e single, di mutilazioni genitali femminili e di discriminazione, in Egitto, è ancora molto difficile. Diverse ONG organizzano workshop e incontri pubblici, si occupano di fare campagne di sensibilizzazioni verso le donne e verso gli uomini, ma il cambiamento implica del tempo se per tutta la vita queste persone sono state indottrinate sul proibito e si ritrovano in incontri pubblici dove possono “parlare di ciò che vogliono”.

Una delle piaghe più dilaganti nell'universo femminile sono le mutilazioni genitali femminili: secondo l'Unicef nonostante siano proibite il 91 per cento delle donne egiziane ha subito questa pratica, il 77 per cento per mano di un medico. Politiche sociali e leggi nazionali sono armi fondamentali per combattere tale pratica ma secondo molti non sono abbastanza a cancellare un retaggio culturale crudele e pericoloso per la vita stessa di chi subisce la mutilazione: iniziative come il teatro, grazie a un fondo delle Nazioni Unite recentemente è stato messo in scena, con grande successo, uno spettacolo proprio sulle mutilazioni genitali femminili, aiutano certamente il pubblico a meglio affrontare tali paradigmi culturali con meno traumi.

La Costituzione che i nuovi padri costituenti hanno cominciato a scrivere nel 2012 fu criticata da molti, tra cui Amnesty International, perché ignorava completamente i diritti delle donne. Nel testo del 2014, annunciato come “senza precedenti” dalla giunta militare, erano inclusi impegni per onorare le convenzioni internazionali (comprese quelle sui diritti delle donne e sui diritti umani), ma le quote rosa nella politica non sono state reintrodotte anche se nel gennaio 2016 89 donne sono subentrate nel Parlamento egiziano (il 14,9 per cento del totale dei seggi parlamentari). Tuttavia un approccio dall'alto al basso in materia di diritti delle donne, in un Paese dove la giunta militare è sempre più impopolare e il malcontento serpeggia silenzioso, non può produrre grandi effetti sulla società, che di riflesso continuerà a fare resistenza passiva, almeno sotto il profilo culturale.

Discriminazione e violenza sulle donne restano oggi una routine insopportabile: se è un parziale successo la collaborazione di polizia, giustizia e governo in materia di violazione dei diritti delle donne, una grave carenza sotto il profilo legislativo rappresenta ancora una lacuna incolmabile. Gli scarsissimi progressi fatti dal 2011 ad oggi ne sono l'esemplificazione perfetta. L'universo femminile egiziano si trova di fatto incastrato in una situazione di stallo dalla quale è difficile uscire sotto il regime militare, non fosse altro per il terrore e il malcontento che serpeggia nella società: il sostegno delle ONG internazionali ai diversi progetti locali, o ai diversi movimenti per i diritti delle donne, viene inoltre additato dalle autorità come “ingerenza straniera” e questo, di fatto, rappresenta un ulteriore elemento critico nell'affrontare questo tema.

Chi ne paga le spese, in silenzio e con abnegazione, sono sempre le donne: le stesse che denunciano soprusi e sparizioni, che protestano in modo vibrante per chiedere verità e libertà, che scendono in piazza al posto degli uomini contro le sparizioni forzate, la tortura e gli omicidi di Stato, che si riuniscono per parlare tra loro e capire come diventare artefici del proprio destino. Attaccare lo status quo in Egitto, in questo momento storico, significa necessariamente complicarsi la vita: le leggi antiterrorismo di fatto restringono non poco le già strettissime maglie della libertà individuale degli egiziani ma la diversità delle esperienze femminili, e degli obiettivi dei gruppi di donne, arricchisce e rinvigorisce tale battaglia.

L'unità dei vari movimenti femminili all'interno di un panorama socio-politico-culturale avverso è la vera forza della speranza per milioni di donne egiziane, che svolgono un'attività di gruppo muovendosi a cavallo tra lecito e illecito, quindi tra status-quo e nuovi orrori. Nonostante tutto però dal 2011 le donne continuano imperterrite a lavorare, riunirsi e includere per cambiare il Paese e migliorare le proprie condizioni di vita: un esempio che è anche una speranza.

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