«Il divieto di burkini è razzismo di Stato»
Lo hanno vietato a Cannes, a Nizza e lungo la costa che porta ad Antibes. E anche la Cote d'Azure, che meno di 12 mesi fa accoglieva calorosamente il sovrano dell'Arabia Saudita - cruciale partner commerciale, offrendo a uso e consumo una spiaggia pubblica - ha deciso di proibire nello spazio pubblico l'uso del burkini.Il costume, ha spiegato Manuel Valls, primo ministro di un Paese che si descrive come il faro dei diritti dell'uomo, è incompatibile con i valori della République.MEZZA EUROPA DIBATTE SUL BURKINI. E mezza Europa, con tanti conflitti alle porte, ha speso giorni e fiumi di inchiostro a dibattere di come vada gestito pubblicamente l'abbigliamento della minoranza nella minoranza, le donne di fede musulmana, in un vortice confuso di appelli alla laicità, all'integrazione e ai diritti delle donne.Ma chi come Christine Delphy, cofondatrice con Simone de Beauvoir di Nouvelle Questions feministes, una delle più longeve riviste di riferimento del movimento femminista europeo, di donne si è occupata per una vita, si rifiuta persino di pensare che il premier francese abbia pronunciato parole simili.Il polverone mediatico sollevato sul burkini ricorda alla studiosa francese la legge sul velo del 2003. «Queste norme», spiega «hanno l'effetto opposto: ostacolano l'integrazione. Sono il segno di un razzismo di Stato che in Francia ha radici profonde».
- Christine Delphy, storico punto di riferimento del movimento femminista francese.
DOMANDA. Allora madame Delphy: il burkini è incompatibile con i valori della Repubblica?RISPOSTA. Ma davvero Valls lo ha detto? Siamo sempre più folli. Quali sono i valori della Repubblica?D. Ce lo dica lei.R. I valori della Repubblica dovrebbero essere gli stessi della convenzione europea sui diritti dell'uomo. La legga e vedrà che all'articolo 9 è spiegato che la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la pubblica sicurezza, la protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui.D. Va bene, ma non crede che la maggior parte delle donne che indossano il burkini lo faccia perlomeno per condizionamento famigliare e patriarcale. R. Certo, ma anche noi abbiamo condizionamenti sociali, famigliari, religiosi, di costume e dello sguardo maschile. In Italia per caso non è così?D. Difficile dirle di no. Angela Merkel ha detto che il burqa è un ostacolo all'integrazione della donna, su questo concorda?R. Certamente, il burqa è violenza sulla donna. Ma mi fa un po' ridere parlarne.D. Perché?R. In Francia c'è una legge lo vieta ma che viene raramente applicata.D. Come mai?R. È stata istituita una commissione e hanno scoperto che sono pochissime le donne che in Francia lo portano.D. Tanto rumore per nulla...R. Il risultato è che il caso è stato montato a tal punto da fare una meravigliosa pubblicità al burqa. Non so in Germania, ma in Francia non esiste nessun caso burqa. Le norme sul velo, simili a quelle sul burkini, invece, sono un discorso diverso.D. In cosa diverge?R. La norma che lo proibisce nelle scuole e negli uffici pubblici è un vero ostacolo all'integrazione. Ha discriminato una minoranza in tutto, sia a livello educativo sia sul lavoro. E anche qui il governo ha ottenuto l'effetto contrario: sono aumentate le donne che lo portano. D. Quindi c'è stata una risposta identitaria da parte delle musulmane.R. Certo, come succede spesso di fronte a una aggressione. La verità è che la République tratta i francesi di origine nordafricana come degli indigeni: con la legge del dominio coloniale, non come cittadini.D. Questo atteggiamento è aumentato dopo gli attentati?R. La Francia era razzista ben prima degli attentati. C'è un bellissimo libro, L'islam imaginaire (L'Islam immaginario) di Thomas Deltombe, che spiega come da 40 anni periodici e settimanali continuano a martellare con l'idea che l'Islam non sia compatibile con la democrazia.D. Una velata accusa anche per i circa 3 milioni di musulmani che abitano in Francia.R. È un vero e proprio razzismo di Stato.D. E cosa pensa delle femministe che si schierano contro velo e burkini in nome dei diritti delle donne?R. Anche le femministe non sono immuni al razzismo. E tendono a idealizzare incredibilmente la loro condizione di donne nel mondo occidentale comparandola con quelle del mondo musulmano.Intendiamoci, il velo è senz'altro un simbolo di oppressione. Ma dobbiamo riflettere anche se quello che indossiamo noi non sia condizionato. I tacchi sono un simbolo di condizionamento della donna o no?D. Non crede che il doversi coprire sia il simbolo plastico del fatto che le musulmane non possono esprimersi e mostrarsi nello spazio pubblico?R. Io credo che la complessità sia maggiore. A volte il velo è stato usato come simbolo di protesta politica contro una dittatura. È successo in Tunisia con Ben Ali nel 2010, dove il hijab era rivendicazione di libertà.D. Lei dice che in questo caso il velo, che è chiaramente un simbolo di derivazione religiosa, è stato usato come rivendicazione di libertà. Ma lei non crede che in generale le religioni condizionino e opprimano più le donne degli uomini?R. Certo, penso che la religione sia un sistema di oppressione della donna. Ma spesso è difficile distinguere gli elementi culturali da quelli religiosi. Nel mondo musulmano in generale, e tra le seconde generazioni in particolare, ci sono donne col velo molto meno legate alla religione di donne che non lo portano. Del resto in Francia il partito di Sarkozy ha vietato il velo e allo stesso tempo rivendica le radici cristiane dell'Europa. D. Noi però identifichiamo spesso la liberazione dalle imposizioni nell'abbigliamento con il movimento femminista.R. Ed è un errore, visto che negli ultimi cinquant'anni gli abiti femminili non sono cambiati poi tanto. D. Ha rapporti con i movimenti femministi mediorientali?R. Certo. A dicembre abbiamo pubblicato un numero della rivista francese Nouvelles questions feministes dedicata proprio al movimento del mondo arabo. Con contributi di donne dalla Tunisia, dalla Libia, dall'Egitto. E poi collaboriamo con gruppi di femministe musulmane in Francia: tra loro c'è il gruppo 'femminismo decoloniale'. E molte di loro portano il velo. Dire che il burkini o il velo siano il simbolo di un preciso universo simbolico è ridicolo. D. L'ennesima confusione dei piani? R. Non c'è una coerenza tra abbigliamento e attitudine mentale nella vita. Sono femministe, ma vogliono esserlo a modo loro.
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