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Il burqa, il burkini e le contraddizioni della Francia

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

La ferocia e il fanatismo, insite nel terrorismo islamico, impongono una risposta forte e a tutto campo. Si tratta di garantire sicurezza, difendere identità e tradizioni, rendere ancora più attraente il nostro modello di società democratica e aperta. Ma ferocia e fanatismo non devono suscitare né giustificare risposte irrazionali ed emotive, che generano confusione e ottengono risultati opposti a quelli auspicati.

Le polemiche e il clamore mediatico seguiti alla decisione di un sindaco francese di proibire il burkini in spiaggia rivelano una preoccupante difficoltà di mantenere i nervi saldi e un deficit culturale diffuso in relazione al mondo islamico e alle sue tradizioni. Adesso, improvvisamente, tutta l’Europa discute di burkini, ogni governo s’interroga sul senso della misura francese, le opinioni pubbliche analizzano i vari modelli d’integrazione. Come se burqa e burkini fossero la stessa cosa, come se il problema del comune senso del pudore (che varia nei secoli, in rapporto alle mode oltre che alle tradizioni religiose) fosse diventato improvvisamente più importante e decisivo dei conflitti, dell’immigrazione, dei problemi di accoglienza. Come se la sicurezza delle nostre città e le nostre identità culturali e religiose fossero più difendibili stabilendo la quantità di centimetri di stoffa che possono o non possono coprire una donna.

Vale la pena di ricordare che la norma francese che proibisce il burqa — diretta emanazione della più globale legge sulla laicità che distingue il modello repubblicano — pretende di difendere dignità e diritti delle donne e neutralità dello Stato rispetto a simboli religiosi ostentati, ma non pretende di regolare costumi, mode e tradizioni. Casomai, può essere interpretata anche come misura di ordine pubblico, nel senso che a nessuno e a nessuna dovrebbe essere concesso di nascondere volto (e quindi identità) in luoghi e spazi pubblici. In altre parole, equivale a proibire di salire su un autobus o entrare in una banca con un passamontagna o con un casco da motociclista.

Ma che cosa diremmo se a qualche sindaco venisse in mente di proibire una muta da sub o da windsurf, o un pareo multicolorato, che, considerando i centimetri di corpo coperto, equivalgono al burkini? È allora evidente che l’isteria collettiva che attanaglia in questo periodo la Francia sconvolta dagli attentati porta anche a reazioni e iniziative che non aiutano l’integrazione ma casomai suscitano reazioni di segno opposto. Tanto più che nessun sinda-co della Costa Azzurra si sognerebbe di proibire l’in-gresso negli hotel a cinque stelle di sceicchi con il loro seguito di mogli e concubine più o meno velate. Non van-no in spiaggia, ma entrano nelle gioiellerie e scendono da Rolls Royce con autisti in livrea.

Il clamore mediatico sul burkini non deve farci dimenticare che la Francia è in piena campagna elettorale per le elezioni presidenziali di primavera. Ogni argomento è facile preda di sondaggi e speculazioni. E l’argomento Islam è ovviamente il più prelibato. È il caso di elevare il dibattito, fare chiarezza, distinguere, non rischiare il provincialismo culturale nei confronti delle vicende francesi, che non sempre hanno dignità di principio universale.

Personalmente, osservando sulle spiagge i vu cumprà vestiti da capo a piedi aggirarsi fra distese di pance e sederi imbarazzanti, mi chiedo se non sia anche il caso d’interrogarsi sul comune senso dell’orrore.

20 agosto 2016 (modifica il 20 agosto 2016 | 21:16)

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