La Francia difende i diritti delle musulmane purché vestano come la Bardot
La Francia promuove i diritti delle donne musulmane... purché vestano come Brigitte Bardot. Kenneth Roth, infanticabile direttore di Human Rights Watch, la butta sul ridere, linkando sul suo profilo twitter un articolo di Foreign Policy sul rigurgito identitario esploso in Francia dopo gli attentati e le ordinanze emesse da molti sindaci della Costa Azzurra contro il burkini, il costume da bagno islamically-correct che il premier francese Valls ha definito nientemeno che «incompatibile con i valori della Francia». Le spiagge francesi non sono luoghi dove le donna possano coprire il corpo, divenuto quasi dopo gli attentati terroristici la bandiera identitaria e nazionale del ritrovato orgoglio laico e repubblicano della Francia. Per citare un post di Marine Le Pen pubblicato sul suo blog«le spiagge francesisono quelle di Bardot e Vadim», non già delle donne che scelgono di coprirsi, foss'anche per ragioni che hanno a che fare, più che con la religione, con la tradizione o con la pudicizia.
La prima vittima delle ordinanze dei sindaci delle località balneari francesi è stata una madre di orgini arabe di 34 anni, che vive a Tolosa con la famiglia, che era andata a prendere il sole proprio sulla riva della Promenade des Anglais di Nizza, teatro il 14 luglio scorso, durante la Festa della Repubblica, della strage compiuta da uno psicopatico franco-tunisino alla guida di un mezzo pesante.
Il racconto di questa donna - immortalata in spiaggia mentre viene invitata da una squadra di poliziotti a togliersi il vestito perché «non conforme alla morale e ai valori laici» - contiene qualcosa di surreale, anche perché, contrariamente a quanto scritto da tutti i quotidiani online, la donna non indossa affatto un burkini, ma un semplice vestito tradizionale a fiori che si chiama jihab (e che non è la divisa delle miliziane di Raqqa).
«Ero seduta con la mia famiglia, portavo un velo classico, un hijab a fiori. Tre poliziotti sono venuti verso di me, dicendo che non avevo una tenuta corretta. Non ero lì per fare provocazioni, non avevo intenzione di fare il bagno», ha raccontato Siam, che si dichiara pronta a fare ricorso contro la sanzione amministrativa che le hanno comminato i poliziotti, mentre un piccolo gruppo di persone la insultava, provocando a quanto raccontano le cronache il pianto inconsolabile della figlia piccola.
Non è difficile comunque prevedere - se l'ordinanza troverà una sua declinazione pratica diffusa - una lunga scia di ricorsi vittoriosi da parte degli avvocati delle presunte vittime, basati tutti sul perché un foulard colorato indossato da una donna francese che non abbia voglia in quel momento di togliersi i pantaloni sia compatibile coi i valori della Repubblica mentre un velo tradizionale - certamente meno alla moda - sarebbe un affronto ai valori laici della Francia.
I tragici attentati che hanno colpito il Paese, per di più compiuti da cittadini francesi, sembrano aver prodotto l'effetto collaterale dell'impazzimento culturale, quasi che qualsiasi sindaco o governo si senta giustificato a legiferare sul modo migliore di stare al mondo e financo come indossare i propri vestiti, quasi che tutto ciò abbia qualcosa a che fare con l'effettiva prevenzione degli attentati, quello sì un problema serissimo sul quale la Francia - col suo scarso coordinamento tra i servizi segreti - ha parecchio da legiferare. E del resto, per capire l'assurdità, basta guardare in faccia quella donna cotretta a togliersi il jihab. A molti sarà venuta in mente la madre o anche la vecchia nonna. Tutt'e due italianissime.
Leggi sul Guardian: Ho creato il burkini per dare la libertà alle donne, non per toglierla
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