Se 25mila irlandesi vi sembran pochi
Se c’è un paese europeo nel quale i diritti all’autodeterminazione delle persone vengono vissuti in modo del tutto schizofrenico, quello è l’Irlanda. Lo scorso anno, un referendum popolare ha introdotto la possibilità del matrimonio per le coppie omosessuali mentre alle donne, dal 1983, è proibito scegliere se e quando diventare madri, perfino in casi di stupro o gravi anomalie fetali. L’ottavo emendamento della Costituzione equipara infatti i diritti del feto a quelli della donna e punisce l’aborto con 14 anni di carcere. Contro questo inossidabile residuo di una storia oscurantista, sabato 24 settembre a Dublino, 25 mila persone, donne e uomini, soprattutto giovani e giovanissimi – una cifra enorme per la città irlandese – hanno dato vita a una splendida manifestazione. Siamo nel 2016, è ora di cambiare, hanno detto. E nel muro irlandese contro i diritti delle donne potrebbe finalmente cominciare ad aprirsi qualche crepa
di Laura Fano
Sabato 24 settembre più di 25.000 persone hanno marciato per le strade di Dublino chiedendo l’eliminazione dell’ottavo emendamento dalla Costituzione. L’ottavo emendamento, introdotto nel 1983, equipara i diritti del feto a quelli della donna, proibendo l’aborto in qualunque caso, con l’unica eccezione del rischio per la vita della gestante. In tutti gli altri casi, tra cui incesto, stupro e gravi anomalie fetali, l’aborto è vietato, e punibile con 14 anni di carcere.
25.000 persone possono sembrare poche in paesi grandi e abituati a manifestazioni di massa, ma sono tantissime per l’Irlanda, dove la popolazione totale è di soli 5 milioni di abitanti. L’ultima marcia per l’aborto aveva portato in piazza 10.000 persone.Questa volta ce ne erano almeno il doppio, nonostante la pioggia incessante e lo sciopero totale degli autobus. La folla era immensa, troppa per gli spazi generalmente utilizzati a Dublino per le manifestazioni. Il punto di partenza, una piccola piazza totalmente inadeguata per l’ampiezza della moltitudine, era così pieno che passare da una parte all’altra risultava impossibile. Il percorso della manifestazione era lungo, tuttavia quando la testa del corteo è arrivata al punto finale, la coda era ancora lontanissima. In quella piazza ci si chiedeva perché i discorsi non iniziassero, per poi accorgersi che gli oratori stavano già parlando ma la folla era talmente tanta che era impossibile sentire la loro voce anche con i microfoni.
Era una folla prevalentemente giovane e giovanissima. Ventenni ed anche adolescenti che non si riconoscono nel loro paese, l’unico al mondo ad avere un emendamento del genere nella costituzione. Ma accanto a loro c’era ogni segmento della società. Donne che avevano combattuto decenni fa contro l’introduzione dell’emendamento ma che a quel tempo erano state accolte con uova e violenza. Donne di ogni età, tantissimi uomini, famiglie intere, membri dei sindacati, dei partiti più radicali, artisti, collettivi di studenti, medici e ostetriche. E molti esponenti della comunità LGBT, i cui cartelli recitavano: “Lo scorso anno avete permesso ai gay di scegliere, ora tocca alle donne”, riferendosi al referendum popolare che, nel 2015, ha introdotto la possibilità di contrarre matrimonio per le coppie omosessuali.
Nonostante questa folla immensa, il primo ministro si è rifiutato di commentare. Il telegiornale quella sera ne ha parlato, ovviamente. Ma ha parlato di ‘qualche migliaia’ di persone, mostrando immagini della manifestazione accanto a quelle delle associazioni pro-vita che sostengono che l’emendamento abbia salvato 100.000 vite umane, dando l’impressione che le forze in gioco fossero uguali. In realtà, in tutto il percorso della manifestazione, abbiamo incontrato solo tre persone all’angolo delle strade principali che ci invitavano a pentirci e a scegliere Gesù.
Vedere cosi tanta gente per strada comunicava sicuramente un senso di ottimismo. Tuttavia, temo che il tempo in cui le manifestazioni di massa riuscivano a far cambiare rotta alle politiche governative sia passato. Mistificando la realtà attraverso mezzi di comunicazione compiacenti è diventato molto facile per i governi ignorare la volontà popolare. Soprattutto perché qui in Irlanda la decisione di indire un referendum costituzionale spetta al parlamento – a maggioranza antiabortista – se ritiene che ce ne sia l’urgenza.
Una decisione totalmente soggettiva e facilmente aggirabile. Il governo, per prendere tempo, ha affermato che sottoporrà la questione ad un’assemblea cittadina composta da 100 persone estratte a caso da una società di sondaggi, un procedimento poco democratico e trasparente. In risposta a questa decisione, i manifestanti hanno postato foto della folla sui social network specificando che quella e solo quella deve essere considerata la vera assemblea cittadina. Inoltre, ciò che temono le associazioni che lottano per il diritto all’aborto è che se anche un referendum fosse indetto, si tratterebbe di un cambiamento all’emendamento e non della sua eliminazione. Un cambiamento che potrebbe introdurre la possibilità di abortire solo nei casi di stupro, incesto e gravi malformazioni, ma non una reale possibilità di autodeterminazione e controllo del proprio corpo e dei propri diritti riproduttivi per tutte le donne irlandesi. Un cartello di un manifestante diceva semplicemente: “It’s 2016, for fuck’s sake”. Esatto, ora di cambiare.