Le donne in nero di Varsavia
#CzarnyProtest, la "protesta nera" delle donne polacche contro la legge anti-abortoMigliaia in piazza contro il disegno di legge che vieta l'abortoDonne vestite di nero durante la manifestazioneUna donna manifesta contro la legge del governo che vieta l'abortoAttualmente, la legge in vigore, consente l’aborto solo in caso di stupro (entro la 12esima settimana), di malformazione del feto e quando la gravidanza può mettere in pericolo la vita della madre"Annunciamo la morte dei nostri diritti". È questo lo slogan di molte associazioni (femministe e non) che a Varsavia hanno dato il via alla #CzarnyProtest, la "protesta nera"Migliaia in piazza contro il disegno di legge che vieta l'aborto
Le donne in piazza contro la proposta di legge che vieta l'abortoIN PIAZZA attorno a me ci sono tutti: le donne e gli uomini, la destra come la sinistra, e anche chi si definirebbe apolitico. La nostra protesta di Varsavia non è solo contro la legge sull’aborto. Non ci si veste di nero per le nuove regole previste da una legge già molto restrittiva, ma per tutto quello che questo rappresenta: una serie di limitazioni disumane. Vestiamo il nero del lutto e della rabbia verso un Paese che, vietando l’aborto, condanna le donne. Questa è una mobilitazione contro il Pis, il partito ultraconservatore Diritto e Giustizia di Jaroslaw Kaczynski e della premier Beata Szydlo.Non siamo arrivati a questo punto senza un motivo. E come sempre, le ragioni sono da rintracciare nella Storia. Prima dell’89 ci vergognavamo del nostro passato, eppure alle donne il comunismo aveva dato la possibilità di lavorare, asili nei posti di lavoro e la libertà di abortire e quindi disporre del proprio corpo.Nel ’90, dagli uffici e dalle fabbriche le donne furono rispedite a casa. Quelle che continuarono a lavorare lo fecero con salari decisamente più bassi rispetto ai colleghi. Formalmente, esisteva anche una commissione per i Diritti delle donne, ma nel ’91 venne sciolta, durante la presidenza di Lech Walesa. Solidarnosc fu un movimento fondamentale per la Storia della Polonia, ma penalizzò le donne.Oggi, coperte di nero, sfilano donne che nel 1993 non c’erano o che erano troppo piccole per capire il significato di parole come femminismo, diritto o aborto. Le grandi proteste degli anni ’90 avevano dato alla Polonia una legge che legalizzava e, soprattutto, regolamentava l’interruzione di gravidanza. La lotta aveva dato alle donne polacche il diritto di abortire fino alla venticinquesima settimana solo in tre casi: pericolo di vita per la madre, stupro o grave malformazione del feto. Una lunga battaglia aveva portato a una magra vittoria.Con gli anni, le polacche ricche e con un alto livello d’istruzione hanno imparato come abortire illegalmente o andando in Paesi confinanti. Insomma, c’era il diritto, ma erano pochi i casi che vi rientravano. Il Parlamento di Varsavia ha parlato di eugenetica e ha discusso di arresto per le donne che decidono di interrompere la gravidanza e per i medici che le assistono.Questa legge è al centro del programma politico del Pis. Molti si chiederanno perché un Paese già abituato a una legge restrittiva abbia deciso adesso di lanciare un grido, o meglio: un ruggito internazionale. L’ha fatto perché questa nuova legge ha serie ripercussioni sulla salute e sulla dignità della donna.Tutto ciò che accade qui è responsabilità dei polacchi.L’Europa ha già deciso di non adottare risoluzioni di condanna e il Pis non ha paura. Ma noi non siamo l’Ungheria. Da noi l’opposizione esiste ed è forte. Nelle piazze di tutta la Polonia oggi le donne non manifestano per l’aborto, ma per difendere il diritto alla libera scelta.(testo raccolto da Micol Flammini)“VOGLIAMO SCEGLIERE”Almeno 30000 persone sono scese in piazza a Varsavia per unirsi alla protesta contro le leggi anti- aborto. In senso orario: il corteo riunito nella Plac Zamkowy a Varsavia, manifestanti vestite di nero, cartelli con la scritta: “ Voglio scegliere”, una ragazza solleva una gruccia, simbolo dell’aborto illegaleLA FEMMINISTA*Kinga Dunin, autrice di libri e saggi, scrive per Gazeta Wyborcza
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