Amnesty International: salvare la sposa bambina iraniana condannata a morte
Amnesty, accendendo i riflettori sulla storia di Zeinab, chiede non solo di applicare una giusta legge, sospendere la condanna a morte e iniziare un regolare processo, ma di mettere un freno alle continue vessazioni e discriminazioni sulle donne, dentro e fuori il matrimonio.
La storia della giovane curdo-iraniana non è infatti solo uno dei milioni di casi di spose bambine, ma è anche la testimonianza della mancanza dei diritti delle donne le cui voci, ancora in molti Paesi, rimangono isolate e inascoltate.
Durante l'ultima udienza la ragazza infatti, finalmente in presenza di un avvocato, aveva dato una versione diversa dell'omicidio, riporta Amnesty. Ad aver ucciso il marito sarebbe stato il fratello di quest'ultimo: il vero assassino che, in passato, l'aveva più volte violentata e l'aveva anche convinta ad assumersi la responsabilità del fatto, promettendole che l'avrebbe perdonata (secondo la legge islamica, i parenti di una vittima di omicidio possono perdonare l'assassino in cambio di un risarcimento). Queste dichiarazioni furono ignorate. Così, il 22 ottobre 2014, la seconda sezione del tribunale penale della provincia dell'Azerbaigian occidentale aveva condannato a morte Zeinab secondo il criterio della "pena equivalente". In seguito la sentenza era stata confermata dalla settima sezione della Corte suprema. I due tribunali non avevano tenuto conto delle linee guida contenute nel codice penale islamico del 2013: non avevano disposto una perizia medica per valutare "lo sviluppo mentale e la maturità" dell'imputata al momento del reato e non l'avevano informata che, come previsto dalla legge iraniana, avrebbe potuto chiedere un nuovo processo.
Il diritto internazionale, a cominciare dalla convenzione sui diritti dell'infanzia, vieta l'uso della pena di morte nei confronti di persone che hanno commesso un reato quando avevano meno di 18 anni. Da quanto riportato da Amnesty, nel codice penale iraniano sono praticamente assenti le garanzie previste dal diritto internazionale a favore degli imputati minorenni e anche la parziale garanzia che un condannato, per un reato commesso da minorenne, possa chiedere un nuovo processo viene spesso ignorata. Inoltre, la Repubblica islamica, in quanto Stato parte della convenzione sui diritti dell'infanzia e del patto internazionale sui diritti civili e politici, è giuridicamente vincolato a considerare minorenni le persone al di sotto dei 18 anni e ad assicurare che non vengano mai condannate a morte né all'ergastolo senza possibilità di rilascio anticipato.
Infine, sulla base della legge iraniana, le persone condannate alla "pena equivalente" non hanno il diritto di chiedere la grazia o la commutazione della pena, come invece previsto dall'articolo 6.4 del patto internazionale sui diritti civili e politici. Zeinab è stata condannata a morte proprio secondo il criterio della "pena equivalente" e la sua sorte sembrerebbe quindi segnata.
L'appello di Amesty suona forte e chiaro: un solo giorno per salvare Zeinab e dare anche speranza a tutte le donne vittime di violenza nel mondo.
Le statistiche Unicef del 2012
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