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Il lavoro domestico in tempi di Covid: per le donne 15 ore in più

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

La pandemia non colpisce tutti allo stesso modo. E come al solito il conto più salato lo pagano le donne: più preoccupate e più danneggiate degli uomini per la perdita del proprio lavoro, e più appesantite in casa dai nuovi carichi per le attività domestiche. Le donne italiane partivano già molto svantaggiate: due terzi dei lavori domestici, compreso l’accudimento dei figli, era a loro carico, e solo un terzo sulle spalle degli uomini. Un lieve miglioramento rispetto agli anni Novanta, quando le donne si dovevano fare carico di più dell’80% di tutte le attività casalinghe, ma un rapporto di pesi lontanissimo da altre nazioni europee, come la Francia e la Germania, dove ci si avvicina alla parità. 

In questa zona grigia della discriminazione 24 ore su 24 si è inserito il ciclone del Covd-19. Ovvero tutti a casa, per più tempo, in una continua emergenza e con l’aggiunta dello smart working da portare a termine. Risultato: le donne italiane si sono ritrovate con altre 15 ore settimanali per accudire i figli, seguire le loro lezioni da remoto, pulire e gestire la casa. E gli uomini? Tutto come prima, alla faccia della parità di genere (goal numero 5 dell’Agenda Onu 2030 per Lo sviluppo sostenibile). 

I numeri del lavoro domestico, dei diversi carichi tra maschi e femmine, spiegano tante cose sullo spreco delle donne e su come, al netto di un mare di retorica, per un’autentica marcia verso la parità bisognerebbe partire proprio dalle mura di casa. Qualche anno fa Melinda Gates fece un calcolo accompagnato da una dichiarazione molto efficace: "Se tutte le donne che si occupano dei lavori domestici e dei familiari costituissero una nazione, la loro sarebbe la quarta economia più importante del mondo". Così in America è nata una letteratura, ispirata all’obiettivo 50-50, cioè a un’equa e paritaria distribuzione del lavoro domestico. A meno che, altro aspetto interessante di questa discussione, alle donne che svolgono in schiacciante prevalenza le attività di casa non venga riconosciuto anche uno stipendio. Pagato dal marito o dal compagno, non certo dallo Stato che non potrebbe mai farsi carico di una spesa simile. 

Siamo in Italia, dove, a proposito di sprechi al femminile, secondo la Banca d’Italia se le donne lavorassero di più avremmo una crescita del Pil di sette punti. E dobbiamo restare con i piedi per terra, provando a seguire una strada ragionevole per una redistribuzione del lavoro domestico. Le piste possono essere tre. Leggi e incentivi che spingano sul congedo parentale per i maschi, anche da parte delle aziende. Gli uomini devono imparare, anche per rispettare le ambizioni e e diritti delle donne, a stare più tempo a casa. Con i figli e con una scopa in mano, non solo a guardare la partita in televisione. La seconda leva riguarda proprio la pressione delle donne. E’ giusto spingere per la parità di genere, per contare di più nei circoli del potere, ma il femminismo di oggi ha cambiato alcuni dei suoi connotati. E se riconosciamo, come i dati dimostrano, che la discriminazione delle donne parte nelle nostre case, è da qui che deve iniziare una risposta declinata al femminile.

 

Infine, la formazione. Abbiamo perso anni per fare tornare nelle aule la materia dell’Educazione civica. Molte scuole e tanti insegnanti sono disorientati di fronte a questo cambiamento e non sanno come riempirlo di contenuti, che non  siano troppo generici e evanescenti. Un consiglio: diano uno sguardo ai piani di studio, dalle elementari ai licei, in paesi dell’Europa del Nord come la Finlandia. Qui l’economia domestica è materia di studio e di formazione. Un maschio impara già da piccolo a stirare, cucinare, fare la spesa. Senza alcuna differenza con le femmine. E state tranquilli che in età adulta non si sognerà di scansare il carico di lavoro che gli spetta. Anche in casa.

 

Nonsprecare.it

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