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Veirana (Cgil): “Giusto il patto sociale. Ma sui diritti dei più deboli non si tratta”

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Veirana (Cgil): “Giusto il patto sociale. Ma sui diritti dei più deboli non si tratta”

Genova – Sui diritti delle fasce più deboli non si tratta. Fulvia Veirana, da venerdì segretaria ligure della Cgil, lo dice chiaramente poche ore dopo la sua nomina: «Rappresento un sindacato che non si è mai sottratto al confronto, alla trattativa. Non siamo abituati a fare rivendicazioni, se non in nome dei lavoratori che rappresentiamo. Ma in questa fase è evidente che c’è una fascia di popolazione che soffre più del resto del Paese, ed è un atto di civiltà prendersene cura».

Segretaria, la sua nomina arriva nel pieno della pandemia e alla vigilia della formazione del nuovo governo. Che cosa la preoccupa di più in questi giorni?«Ho due preoccupazioni principali. Per prima cosa l’evoluzione della pandemia, poi la tenuta occupazionale. E siccome sono due realtà correlate, credo ci sia la fortissima necessità di accelerare la campagna vaccinale: anzitutto per la salute delle persone, ma anche perché - arginando gli effetti della pandemia - possiamo allentare quelle misure di contenimento che si stanno riflettendo sull’economia e sul lavoro. La situazione è molto grave: malgrado il blocco dei licenziamenti, l’Italia ha perso 444.000 posti di lavoro, di cui 101.000 solo a dicembre. Parliamo in massima parte di giovani under 35 e donne. I rischi per la salute, la perdita di reddito e il crollo dell’occupazione sono un mix sempre più difficile da tollerare».

La crisi ha travolto molti settori da sempre considerati deboli sotto il profilo delle tutele dei lavoratori. Come se ne esce?«È vero: mentre il manifatturiero sta recuperando parte della produzione, molti settori restano in fortissima difficoltà. Sono soprattutto quelli legati alle misure di contenimento: piccolo commercio, ristorazione, turismo, cultura, sport. La politica dei ristori e dei bonus hanno attutito solo parzialmente gli effetti della prima parte della crisi. Adesso serve una strategia di rilancio vero. Prima si contengono i rischi, prima gli effetti delle chiusure cessano e questi settori possono ripartire. Ma ci sono anche opportunità da cogliere: nel turismo, per esempio, grazie ai fondi europei si può iniziare a lavorare sulla destagionalizzazione. È una strada mai percorsa in passato: ora abbiamo la possibilità di provarci».

Parliamo di lavoratori della sanità. La pandemia ha messo in luce le criticità di un settore che lei conosce bene.

«Nella nostra regione il Covid si è accanito su una rete sanitaria già colpita da anni di disinvestimento. All’inizio della pandemia il sistema ligure è partito con 1.000 posti di lavoro in meno rispetto a quelli che avrebbe dovuto avere. Una situazione che ha costretto, proprio a causa della difficoltà organizzativa preesistente, a ritmi di lavoro forsennati e condizioni di lavoro molto difficili. Non c’erano nemmeno i dispositivi di protezione individuali: molti lavoratori si molti ammalati, alcuni hanno perso la vita. Sono cose che non possiamo dimenticare, nel confronto sulla riorganizzazione della rete sanitaria. Vanno fatti investimenti pesanti, sia sulla rete strutturale sia sull’aumento del personale. La pandemia ha già dimostrato quanta efficacia si recupera se i sistemi sono vicini alle persone, se si riesce ad evitare che i cittadini vadano all’ospedale. Dobbiamo riposizionare il sistema, dando ai lavoratori protezione, soldi e tutele. E un forte ripensamento sarà necessario anche sulle rsa: andranno rivisti sia i livelli di assistenza che la tutela del personale».

La Liguria è considerata una regione post-industriale, dove però il manifatturiero, soprattutto di grossa taglia, pesa ancora parecchio. L’Italia sta per firmare un contratto con l’Europa che porterà risorse molto importanti. Quali dovrebbero essere, secondo lei, le priorità per il nostro territorio e per la sua industria?«Anzitutto la Liguria dovrebbe iniziare a ragionare sul Recovery Plan. Abbiamo una dorsale industriale molto importante sia nella grande industria sia nelle filiere di media dimensione, con un numero di occupati elevato e un prodotto di grande qualità. Io credo sia necessario ragionare su come portare quelle filiere negli assi di sviluppo che l’Europa prevede. Abbiamo eccellenze che fanno capo sia a enti di ricerca che all’industria, nel digitale e nell’ambiente. Il punto è che il piano sarà esteso a livello nazionale: o la Liguria entra in questa discussione, o saremo tagliati fuori. È bene che al più presto tutti gli attori economici, sociali e istituzionali vengano coinvolti in una discussione che progetti il futuro della regione. Un futuro per i giovani, ma anche per le generazioni che, quando cesserà il blocco dei licenziamenti, dovranno convertirsi e trovare nuova occupazione. Ma dobbiamo sbrigarci, perché il tempo è quasi scaduto».

Abbiamo parlato di lavoro, ma non possiamo non ricordare le tante imprese che soffrono e rischiano la chiusura. Crede che questa situazione, unita alla volontà di Confindustria di rivedere la contrattazione nazionale, possa diventare pericolosa per i rapporti fra parti sociali?«Sì, vedo questo pericolo. La verità è che in una fase come questa tutti dovrebbero mettere da parte i totem ideologici, cogliendo l’invito del presidente Mattarella alla responsabilità. Nel nostro territorio il rapporto con Confindustria ha dato anche risultati importanti. Penso al tema, che abbiamo sollevato insieme, dei fondi del decreto Genova, che ci ha permesso di investire 23 milioni su aree di crisi non complessa per favorire sviluppo e occupazione».

In nome di questo patto sociale, la Cgil è disposta a rinunciare a qualche rivendicazione?«Guardi, la Cgil non fa rivendicazioni per sé: le fa per chi rappresenta. Anche chi non ha perso il lavoro, oggi patisce una perdita di reddito importante. Il concetto di solidarietà vuol dire prendersi cura di chi ha più bisogno: se si parte da questo principio, vedrà che saremo tutti d’accordo. La Cgil ha sempre contrattato, il tema è affrontare le discussioni liberi da condizionamenti. Non possiamo neanche più dirci che non ci sono le risorse: dobbiamo spenderle per aiutare chi è più fragile e deve recuperare una visione del futuro. Va riconquistata la coesione sociale, in modo che l’impresa possa fare l’impresa, ma soprattutto che le persone vivano in condizioni di dignità. L’aumento dei poveri è elevatissimo, l’ultimo studio della Caritas pubblica dati preoccupanti: c’è stato un aumento del 30% di nuovi poveri, e sono tutte persone che fino a poco fa un lavoro lo avevano. Ecco, io dico che un Paese civile, un Paese che vuole stare nei binari europei, deve preoccuparsi prima di tutto di dare soddisfazione a chi oggi è in difficoltà».

Sul reddito, insomma, non si tratta.«Torniamo a un vecchio concetto: c’è chi dispone dei mezzi di lavoro e chi no».

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