Mutilazioni genitali femminili, la pratica brutale che distrugge l’esistenza di milioni di ragazze nel mondo
ROMA - Sono 200 milioni, in 30 Paesi del mondo, le donne che hanno subìto mutilazioni genitali, una pratica brutale che mette a repentaglio la loro salute fisica e psicologica, spesso la loro stessa vita: e in questo 2021 quattro milioni 160mila ragazze sono a rischio di subire la stessa sorte. La pratica è stata condannata da numerose risoluzioni dell’Onu, dall’Unione Europea e dell’Unione Africana; tra i 27 paesi africani in cui le mutilazioni genitali femminili sono diffuse, solo cinque non hanno ancora approvato una legge che le consideri reato: Liberia, Sierra Leone, Somalia, Ciad e Mali. Ma le mutilazioni genitali femminili (MGF) vengono praticate anche in alcuni paesi dell’America Latina e dell’Asia.
Bambine a rischio anche in Italia. Una barbarie che colpisce anche bambine e giovani donne migranti che vivono nel nostro territorio, che rischiano di esservi sottoposte quando tornano nel paese di origine per visitare i parenti. Secondo Actionaid, sarebbero tra 61.000 e 80.000 le donne presenti in Italia sottoposte durante l’infanzia alla mutilazione dei genitali: “Negli ultimi due anni abbiamo iniziato a lavorare con le comunità migranti in Italia originarie di paesi dove la pratica è ancora diffusa: le donne provenienti dalla Somalia presentano una prevalenza più alta (83,5%), seguite da Nigeria (79,4%), Burkina Faso (71,6%), Egitto (60,6%) ed Eritrea (52,1%)”. UNFPA, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, lancia l’allarme sul fatto che da qui al 2030 potrebbero essere perpetrati altri 15 milioni di mutilazioni, che si potrebbero impedire se non vi fosse la concomitanza della pandemia.
Mutilazioni devastanti dall'infanzia a 15 anni. Sebbene la MGF sia illegale nella UE, e alcuni stati membri la perseguano anche quando viene eseguita fuori dal paese, si stima che circa 600mila donne che vivono in Europa siano state vittime di questa pratica, e che altre 180mila siano a rischio in tredici paesi europei. “Le mutilazioni genitali femminili sono praticate principalmente su ragazze tra l’infanzia e i 15 anni. Le motivazioni sono collegate a una serie di ragioni culturali come la pressione sociale e la tradizione, insieme all’idea che sia una pratica sostenuta dalla religione e collegata a ideali di bellezza e purezza: ma in realtà la mutilazione genitale femminile precede la diffusione del cristianesimo e dell’islam e riflette profonde disuguaglianze tra i sessi”, sottolinea EIGE, istituto europeo per l’uguaglianza di genere. Le mutilazioni comportano dolore, emorragia, ritenzione urinaria, infezioni vaginali; i rapporti sessuali (impossibili fino alla defibulazione, compiuta dal marito per poter consumare il matrimonio) sono dolorosi e difficoltosi; al momento del parto il bambino deve attraversare tessuto cicatriziale non elastico; in diversi casi per la madre e il figlio c’è la morte.
Una pratica spesso “medicalizzata”. L’Organizzazione mondiale della sanità ha messo a punto pacchetti di aiuti per la prevenzione della MGF che prevedono la formazione specifica di infermiere ed ostetriche (sottolineando il dato allarmante che sempre più spesso, fino a una volta su quattro, queste pratiche rientrano tra i “servizi medici” forniti nelle comunità) : “L’accesso alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi può risultare ridotto durante i lockdown nazionali – osserva l’OMS. – Questo rischia di rendere bambine e ragazze più vulnerabili a questa forma estrema di discriminazione contro le donne”. “Una mutilazione inflitta da un medico è pur sempre una mutilazione – sottolinea il direttore esecutivo dell’UNICEF Henrietta Fore. – Professionisti della sanità che pratichino MGF violano il diritto fondamentale delle bambine all’integrità fisica e alla salute. Medicalizzare una pratica non la rende sicura, morale o difendibile”. Questo accade in paesi come l'Egitto e il Sudan, dove la MGF, peraltro vietata dalla legge, è praticata clandestinamente otto volte su dieci da personale medico.
E' una crisi dentro la crisi pandemica. Nella Giornata internazionale della tolleranza zero alle mutilazioni genitali femminili, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione e l’UNICEF sottolinea che la pandemia comporta per molti Paesi “una crisi dentro la crisi”, in materia di MGF; per questo l’ONU esorta la comunità internazionale a “reimmaginare un mondo che consenta a bambine e ragazze di avere voce in capitolo, diritto di scelta e controllo sulle proprie vite”. L’obiettivo dell’ONU è cancellare questa vera e propria violazione dei diritti umani entro il 2030: “Insieme potremo riuscirci, - ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. – Questo comporterà un effetto positivo a catena sull’avanzamento della salute, dell’istruzione e della condizione economica di ragazze e donne”.
Le iniziative nel nostro Paese. Per celebrare questa giornata istituzioni e associazioni promuovono varie iniziative. Da segnalare l’evento online organizzato da Unfpa e Unicef per accelerare gli investimenti e le azioni per porre fine al fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, in programma il 5 febbraio. È possibile iscriversi sul sito delle Nazioni Unite, nella pagina dedicata alla ricorrenza. In occasione della giornata Amref Health Africa presenta il nuovo progetto P-ACT di cui è capofila. Il progetto - finanziato dal Fondo asilo, migrazione e integrazione (FAMI) del ministero dell’interno - mira a prevenire e contrastare la violenza di genere rappresentata dalle MGF anche nelle città di Milano, Torino, Padova e Roma, territori di intervento di P-ACT. Le informazioni sul progetto sono disponibili sul sito dell’organizzazione, nella notizia dedicata.
Il progetto CHAIN di ActionAid. ActionAid partecipa alle celebrazioni, lanciando il progetto CHAIN, avviato lo scorso settembre con l’obiettivo di rafforzare in cinque paesi europei, fra cui l’Italia, la prevenzione, la protezione e il sostegno a donne e ragazze esposte al rischio di mutilazioni genitali femminili e matrimoni precoci e forzati. L’iniziativa, attraverso incontri di formazione e percorsi di consapevolezza sui diritti, vuole restituire un ruolo centrale alle comunità più esposte a violazioni per contrastare queste pratiche, dando voce a livello politico alle istanze e ai bisogni delle donne e delle ragazze colpite da queste due forme di violenza. Il progetto è cofinanziato dal Programma REC (Rights, equality, citizenship) - Diritti, uguaglianza, cittadinanza - dell’Unione Europea.