Argentina-Italia: percorsi del femminismo sull'aborto
“C’è un fronte di guerra in continuo movimento, in tutto il mondo, che si svolge sul corpo delle donne“, scrive PRC Federazione di Milano. All’incontro del 5 febbraio, coordinato da Mara Ghidorzi del gruppo donne PRC Milano (partito di rifondazione comunista) sul percorso per l’aborto, hanno partecipato Estela Díaz, ministra delle Donne, Politiche di Genere e Diversità, in Argentina, Daniela Fantini, ginecologa ed Eleonora Cirant, giornalista.
Estela Dìaz ha risposto ad alcune domande sul percorso svolto in Argentina e quali sono e saranno gli ostacoli da superare.Non solo. Si è parlato del bisogno di una rinnovata attenzione alle rivendicazioni dei diritti in Italia. Tra ostacoli alla distribuzione della Ru486, obiettori di coscienza nelle strutture ospedaliere, differenza di gestione tra regioni e attacchi da movimenti “anti-scelta”, il movimento femminista deve sempre rimanere sull’attenti. Ma cosa può imparare il movimento femminista italiano dall’esperienza argentina?
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In Argentina il movimento femminista si è focalizzato, negli ultimi 15 anni, sull’aborto. Estela Dìaz racconta come si sia strutturata, nel corso del tempo, un’alleanza tra settori diversissimi tra loro e il movimento. La campagna pro-aborto si è imposta così come lotta per un diritto umano, una lotta sociale. A partire dal 2005 si è creata una situazione politica e culturale capace di alimentare un movimento reazionario di un sistema conversatore. Complice un’epoca di ampliamento dei diritti come la riproduzione sessuale, contro la violenza sulle donne, il matrimonio egualitario e la diversità di genere. Il movimento femminista non smette di rafforzarsi neanche dopo le elezioni del 2015, che porta al governo neoliberisti conservatori.“Il movimento femminista ha avuto un cambiamento quantitativo e qualitativo – spiega la ministra Dìaz – è diventato un movimento di massa perché interpella politicamente tutta la società, non soltanto i diritti delle donne, ma in generale contro il neoliberalismo e quindi assume un’efficacia politica“.
Nel 2018 la marea verde (il verde scelto come colore della manifestazione femminista) incide profondamente nel rapporto tra giovani e politica e ciò permette nel 2019 la nascita di un governo orientato alle politiche di genere. Alberto Fernández, presidente dell’Argentina, si è impegnato a portare il dibattito sulla depenalizzazione dell’aborto al Congresso. Il 30 dicembre, dopo 15 anni di lotte, è approvata la legge per l’interruzione volontaria di gravidanza. “Ora la sfida è: l’attuazione a tutti i livelli“, dice Dìaz.
Italia: un percorso a ostacoli
In Italia, dopo più di quarant’anni, il maggior ostacolo all’interruzione di gravidanza è dato dalla “coscienza”. Per obiettore di coscienza si intende la possibilità di rifiutarsi dallo svolgere un dovere imposto dall’ordinamento giuridico. Ancora oggi i medici obiettori sono in numero elevato, in alcuni ospedali rappresentano il 100% del personale sanitario tra ginecologi, anestesisti e non medici (dati nell’articolo: “Aborto, ostacoli alla libera scelta“).
“È vero che c’è una legge, ma non ci sono sanzioni all’obiezione di coscienza“, spiega Daniela Fantini. In Italia, dice, dobbiamo sempre stare allerta, perché “i diritti non sono mai per sempre“. Accanto a problemi puramente tecnici, come abbiamo illustrato noi di BRAVE in numerosi articoli, esiste un radicato oscurantismo culturale sul tema “aborto“. Un esempio può essere la manifestazione che tutti i giorni, da due anni, si svolge davanti l’ospedale di Monza organizzata da gruppi anti-aborto. Due anni di continuo impegno per tentare di scoraggiare le donne con preghiere, video e volantini in cui vengono descritte come “assassine” di bambini. Non possiamo dimenticare neanche di citare il cimitero di feti (un altro articolo qui) e i cartelloni per le città.
In Argentina l’obiezione di coscienza è gestita direttamente nella legge e non da linee guida come nel nostro paese. Nella legge infatti è prevista una sanzione per l’ospedale che non presta il trattamento a un donna e il pagamento delle spese di trasferimento in una struttura in cui l’aborto è garantito. Dìaz spiega come questo lungo cammino di resistenza ha portato alla costruzione di risposte concrete. Ma, allo stesso tempo, mette in guardia il movimento:” Dobbiamo comunque stare attente, perché la destra continua a minacciarli (i diritti delle donne). Per questo guardiamo alla nostre sorelle europee“.
Argentina – Italia: percorsi per il futuro
Siamo in quel momento della vita sociale e politica nel quale viene richiesto uno sforzo in più. Non è solo il movimento femminista a dover consolidare un’alleanza con le decisioni politiche nazionali; c’è bisogno di una lotta comune per il mantenimento dei diritti. Per usare le parole di Mara Ghidorzi: “che il movimento non si sfaldi dietro a un diritto che si pensava assodato”. Il contesto politico non è chiaro, non è concreto per le categorie sociali in difficoltà, trascurate e minoritarie, non ha risposte per i problemi che le donne affrontano. Ma allora il movimento femminista cosa può fare?
“Noi donne abbiamo una forza potente: la capacità di denunciare le diseguaglianze nella società, ed è una cosa che dobbiamo continuare a fare, a lanciare vincoli di sorellanza. Il neoliberalismo ci vorrebbe sottomesse“. (Estela Dìaz – 5 febbraio)
Quello argentino è stato un percorso lungo 15 anni e in questi anni si è rafforzato in maniera trasversale, dal basso verso l’alto, coinvolgendo parti sociali con l’obiettivo non di una lotta di genere, ma una lotta per i diritti umani. L’intervista completa a Estale Dìaz:
PRC Federazione di Milano – “ES LEY aborto in Argentina”Seguiteci su:FacebookInstagramTwitterArticolo di Giorgia Bonamoneta.
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