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Questa storia della mancanza di donne

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Le soffiate prima, e le decisioni poi, relative alla composizione del Governo Draghi avevano posto come centrale la necessità che vi fosse un bilanciamento di genere tra ministre e ministri. Bilanciare significa distribuire equamente: 50 e 50. 

Nel cosiddetto “totoministri” erano apparsi nomi di politiche e “tecniche” di consolidata reputazione nazionale e internazionale oltre che chiara fama - a dimostrazione che quando si cerca si trova. Come spesso accade nella politica italiana, chi si era illuso che questo “super governo” potesse esser in effetti migliore in tutto e per tutto rispetto al precedente, talmente tanto da praticare una parità di genere non impossibile (anche perché recentemente applicata dal Governo Renzi) è rimasto deluso, anzi delusa. Si delusa, perché pare che agli uomini il problema non interessi o, se ci si confrontano, non ne colgono la portata, lo ritengono una questione femminile che emerge di tanto in tanto.

Che nel 2021 si sia ancora costretti a dover parlare di “diritti delle donne” o sentir evocare “quote rosa” o “questioni di merito” la dice lunga sulla qualità del dibattito culturale italiano, le offerte programmatiche dei partiti, le loro prassi e priorità di politiche. 

Si è costretti perché la costruzione del discorso pubblico resta saldamente affidata a penne di uomini, certo ci sono serie professioniste tanto in TV quanto nella carta stampata, ma rappresentano eccezioni che confermano la regola. Basta una lettura veloce dei maggiori quotidiani italiani per rendersi conto di quanto la composizioni dei temi da affrontare - e relative proposte - è tutta “pensata” e firmata da maschi. Un gioco circoscritto a uomini eterosessuali intorno ai sessant’anni, in cui nessuno dei partecipanti osa mettere in crisi decenni di pensiero (e posizioni) dominanti e se lo fa è per creare nuove fonti di accrescimento di notorietà, introiti o scatti di carriera (vedere alla voce “anti-casta”). 

E invece nessun tema è più centrale e quindi prioritario dell’inclusione di chiunque nella vita civile, politica, sociale, economica e culturale di un determinato territorio - nella fattispecie l’intero pianeta - un chiunque che in questo caso rappresenta oltre la metà del genere umano! 

E questo non perché lo dica io o esista una legge morale non scritta per cui occorre esser buoni o comprensivi o generosi nei confronti delle donne - o femministi perché va di moda - ma perché la civiltà contemporanea, quella in costruzione da quando si è deciso di passare dalla legge della forza alla forza delle legge, si fonda sul principio universale della “non discriminazione”. 

Si dirà che, almeno in Italia, non esistono leggi o politiche che escludono o maltrattano le donne impedendo loro di poter partecipare alla cosa pubblica o di studiare, intraprendere o esser attive nelle arti. Ci mancherebbe! Allo stesso tempo ci sono decine di studi e analisi - istituzionali e indipendenti - che denunciano ampie e sistematiche differenze di trattamento anche economico tra uomini e donne (se si tratta di persone omosessuali il tutto si aggrava ulteriormente) dovute alla cultura e la tradizione, se non alla religione che ne costringono le libertà di movimento nella scala sociale e affermazione personale.

Possibile che a fronte di ricerche che segnalano il più alto rendimento scolare femminile in tutte le materia, anche in quelle scientifiche dove sono scarsamente presenti, nelle successive carriere la presenza di donne scenda mediamente intorno al 30 percento? Certo ci sono eccezioni quantitative - da un paio d’anni le donne magistrato hanno superato gli uomini - ma non qualitative perché esse non ricoprono gli incarichi più importanti. E questo perché anche qui “da che mondo è mondo” gli uomini comandano.

Il problema è maggiormente presente o sentito a destra o sinistra? Secondo me il problema è presente dappertutto ma sentito maggiormente a sinistra. Se è a destra l’unico partito guidato da una donna, ma in pressoché totale solitudine, è vero che altrove alla retorica non son quasi mai seguiti i fatti. La sinistra italiana è a scarso tasso di progressismo liberale e con enormi lacune in termini di lotte per l’affermazione dei diritti, che non siano quelli dei lavoratori. Tranne che nel movimento radicale, che con le sue lotte per il divorzio e l’aborto, l’elezione della prima donna segretario e la composizione dei gruppi parlamentari ha dimostrato che l’uguaglianza è una prassi e non un’evocazione, a sinistra si sono ospitati movimenti di rivendicazione femminile e femminista come uno dei settori da inglobare, anche se timidamente, nelle proprie strategie politico-elettorali senza esserne però trasformati. A fronte di molteplici organizzazioni per i diritti delle donne e articolate rivendicazioni femministe da sinistra non è mai arrivato un radicale cambio di decisioni interne e istituzionali. Le delegazioni di PD e LeU, e per certi versi del M5S nel Governo Draghi lo confermano.

Non affronto qui il sessismo linguistico ma è utile tener presente il comando della lingua per descrivere il circostante o l’imputare soggettività o pluralità a un genere piuttosto che un altro. Anche qui è evidente che siamo di fronte a un problema: lo strumento più dinamico a disposizione dell’umanità, la lingua, resta prigioniero di tradizioni d’uso scollegate dalla realtà e difese col vilipendio nei confronti di chi le mette in dubbio - e basterebbe ricordare il trattamento mediatico riservato a Laura Boldrini quando ha declinato al femminile il lessico della politica per cogliere che le desinenze di genere contengono imposizioni gerarchiche che non possono o debbono esser messe in discussione.

Quindi? Quindi se le donne hanno dato ampia prova di sapersi organizzare e di farsi largo là dove non avevano spazio, magari lasciandosi attrarre da sirene ideologiche non permeabili dalle loro istanze, sta principalmente agli uomini assumersi la responsabilità politica di perseguire obiettivi di portata epocale e globale come quello dell’inclusione. Iniziare con l’includere strutturalmente il 50 percento della popolazione potrebbe essere un buon inizio.

 

 

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