Manca la politica, non le donne
Tema. L’assenza di donne nella rappresentanza del governo Draghi dei partiti di sinistra.
Svolgimento.
La politica della sinistra nasce alla fine dell’800 e poi si afferma lungo il ’900 dall’indignazione delle masse, intorno a grandi questioni che sono fondamentalmente volontà di superare le ingiustizie che si vivono. Sociali, civili, culturali. Cresce dal disagio, in modo orizzontale, a un certo punto quell’indignazione converge in movimenti, si organizza in ribellione, in volontà di riscatto, si dà delle forme di lotta, si rappresenta. I modi della rappresentazione si diventano poi rappresentanza.
La massa diventa consapevolezza, gruppi organizzati. I partiti di sinistra. E se non c’è questo rapporto continuo tra i grandi numeri del disagio, della discriminazione, dell’ingiustizia e la sua rappresentazione e la sua rappresentanza politica dentro un partito il meccanismo entra in crisi. E infatti sono, siamo entrati in crisi.
Le parole dell’indignazione sono semplici, perché non c’è bisogno di spiegare il disagio a chi lo vive e spesso le pronuncia chi quel disagio lo porta nella propria storia, e devono essere semplici perché si deve parlare al maggior numero di persone che soffrono quei problemi, offrire direzione, usare e agire soluzioni. Che possono formularsi in seno ai gruppi organizzati, o venire fuori da elaborazioni di rappresentanti che quei gruppi riconoscono come tali.
Chi rappresenta quei gruppi e quelle questioni non deve mai dimenticare la sua funzione storica e politica. Che è sanare le questioni per quelle persone. Offrendo prospettive di cambiamento profondo, non sempre facile, chiamale riforme, se vuoi.
È un cammino di elaborazione di soluzioni che anche se difficili, da qualche parte si sono raccontate, spiegate e condivise, in sintesi, dolorose quanto si vuole, purché rechino il segno delle persone, della loro partecipazione. Sono passata in questo ragionamento dalla sinistra alla rappresentanza politica, alla Democrazia rappresentativa, e a un particolare tipo di democrazia rappresentativa, quella partecipata. Alla differenza tra un riformismo dirigista e un riformismo partecipato. Ogni riforma, in quanto cambiamento, reca con sé mutamenti di assetti e con essi sacrifici.
“Esprimere il proprio parere sui doveri e i sacrifici, che gli vengono imposti; non essere costretto ad ubbidire senza essere stato ascoltato: ecco due diritti del cittadino, che trovano nella democrazia, come indica il suo nome stesso, la loro espressione” dice Pio XII nel 1945.
Questo doveva e poteva essere il Partito Democratico. Un luogo in cui le grandi questioni - messe in piazze reali o virtuali da movimenti organizzati, che hanno ragion d’essere nel volere cambiamenti di cose che non vanno, attraverso credibili forme di discussione e di partecipazione - avrebbe trovato rappresentazione e rappresentanza. È la leadership delle idee che organizza il fare collettivo, insomma, in una parola della politica.
In questo momento non c’è, anzi, da tempo il Pd amministra non il cambiamento – avendo fallito le forme della partecipazione nei pochi tentativi di riforme – ma l’esistente, il suo zoccolo duro di voti, che fanno riferimento a ceti che tutto sommato non hanno molto a cui ribellarsi, pensionati, impiegati, qualche intellettuale, parte del mondo accademico.
Gestisce l’esistente e non costruisce il futuro, per usare le parole di Macaluso. Aveva trovato comodamente identitario il definirsi europeisti, ma nel momento in cui tutti sono europeisti è sgretolato, è come rimanere nudi nella tundra di notte, se hai puntato solo su quello. Cercasi funzione storica.
C’è che, mentre la politica arranca nella gestione del presente, non programma il futuro e cerca di rimandare il momento in cui esploderà la crisi, sono cresciute intorno le stesse immense questioni sociali che cercano rappresentanza e che assumono la forma di diritti di cittadinanza non assicurati.
Questioni non trascurabili che mettono a rischio sul serio lo sviluppo della piena personalità umana. L’importanza dell’occuparsi di diritti essenziali negati non viene messa al centro della discussione secondo i passaggi che ho descritto sopra. Se non in modo formale. La dico meglio: l’assenza dei servizi essenziali, cioè il deficit di attenzione del tema dello Stato sociale come valore identitario della sinistra perché strettamente legato alla questione dei diritti e alla questione sociale, rivela non solo una grande debolezza dello Stato, e già sarebbe tanto, ma soprattutto l’assenza di un grande partito che la riconosca come tale, identitaria, necessaria, e su quella battaglia convogli idee e azione politica.
Anni e anni di assenza di Stato sociale e di servizi essenziali in larghe parti del Paese, combinandosi con altre debolezze, ha fatto però crescere la gravità delle tre grandi questioni italiane di questo tempo: quella territoriale, quella generazionale e quella di genere.
In questo momento se dovessi trovare l’interlocutore da rappresentare per dare politica e identità alla sinistra, o al Pd, se volte, lo visualizzerei in un’immagine: è donna, ha tra i 18 e i 28 anni ed è in Sicilia. Ha un diploma e forse una laurea. Forse ha già un bambino o una bambina e non hanno il nido, forse è più grandicello, e allora se va alla materna o alla primaria, all’una deve andare a prenderlo, perché non esiste il tempo pieno.
Ed ecco che le tre questioni si saldano con la quarta, disattesa, il diritto all’istruzione pari e di qualità. Quella mamma non ha un lavoro, non lo cerca nemmeno più. E come faccio coi bambini? Come lei, nella sua fascia d’età, sono 2 su 10. Nel resto d’Italia va meglio, sì, abbastanza, ma a seconda. Al Sud è davvero emergenza democratica, politica. Di cui, si badi bene, nessuno parla.
Se aiuto lei, se dò esito e soluzione al suo disagio e alla sua rabbia muta, con proposte concrete, nuove, efficaci, innovative nella sostanza, salvo il Paese. Perché significa che ho affrontato in qualche modo e insieme questione meridionale, generazionale e di genere. Le indignazioni di massa odierne.
Qualcosa però è accaduto e accade. Nel 2020 i numeri sono venuti fuori, e sono stati oggetto di passaparola e discussione, che queste grandi questioni politiche e democratiche che interrogano l’azione e l’identità della politica a sinistra sono diventate movimenti, tanti, grandi, che si sono sovrapposti ai tanti e grandi ma carsici e antichi movimenti delle donne già esistenti, che non passa giorno che le donne non ci ritroviamo in una call, in un appello, in una rete e che le reti cominciano a collegarsi e a ingrandirsi e a farsi ribellione, volontà di riscatto; comincia a darsi delle forme di lotta e qualcuna comincia a dire che ci vorrebbe un partito.
Questo non ha compreso pienamente il Pd, ma non lo hanno compreso nemmeno le donne del Pd. Perché quando è il momento di far saltare i tavoli, e il momento è questo, si parte in quarta ma si arriva a marcia indietro.
Comunque dentro o fuori un partito il processo quello è: convogliare in rappresentanti la rappresentanza delle questioni, dare esito alle ribellioni. Metterle nei tavoli della politica, non nei recinti delle riserve indiane, delle donne, dei giovani, perché non sono questioni delle donne e dei giovani. In questo momento sono le grandi questioni di ingiustizia sociale, le più urgenti, macroscopiche, gravi.
Possiamo farlo noi, le donne, scalando i partiti con la politica, con le mozioni, con la candidatura. Non nominali, non quote, non per conto di capibastone, ma direttamente. È difficile, lunga e faticosa la via, è più semplice e comodo essere nominate in quota. E non si deve mollare. Ma la quota, la logica spartitoria, senza rappresentazione e rappresentanza, si riduce a un burocratismo privo di necessità storica.
E oggi è il momento della passione politica, non dell’esitazione. È difficile e lunga anche in un partito nuovo, perché il problema non è solo superare logiche correntizie, o spartitorie, ma rappresentare e convergere in rappresentanti consenso, idee, gestione. In un momento in cui l’istituto della rappresentanza democratica non se la passa bene.
Manca la politica, non le donne.
Mi limito a quel che conosco meglio: nell’ultimo congresso c’era la candidatura di una donna nel Pd, nessuno e nessuna se n’è accorto, perché quella candidatura non aveva né rappresentazione né era rappresentanza. Ma le questioni fuori ci sono e son sempre più gravi. Alle donne il coraggio di portarle dentro un partito, che sia il Pd o sia un altro non lo so. Anche perché sui tavoli quasi tutti maschi della politica, la sinistra non sta mettendo nulla.