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La risoluzione 1325 dell’ONU Donne, Pace, Sicurezza e inquadramento storico e politico dello Yemen – Un approfondimento

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

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1. La risoluzione 1325 dell’ONU su Donne, Pace, Sicurezza.

2. L’inquadramento storico e politico dello Yemen nell’ambito del “Progetto Wilpf-Italia nel ventennale della risoluzione 1325: donne italiane e in rete contro la guerra” del meeting del 10 febbraio. Stralci del contributo contributo di Mario Bozzo (ex ambasciatore italiano nella Repubblica di Yemen) e sintesi delle domande e delle risposte nel dibattito


  1. La risoluzione 1325 dell’ONU su Donne, Pace, Sicurezza.

Il 31 Ottobre del 2000, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU votò all’unanimità la Risoluzione 1325 che per la prima volta, nella storia del mondo, esplicitò ciò che le guerre provocano sulla vita delle donne e valorizzò il contributo dato nell’avviare e consolidare percorsi di pace.

L’Onu riconobbe la “specificità del ruolo, dell’esperienza e dei bisogni delle donne” e sottolineò l’importanza e l’urgenza di riconoscerne, quindi d’includerne, le politiche di pace.

Il cosiddetto paradigma delle tre “P” – Prevenzione, Partecipazione e Protezione delle donne nei contesti di conflitto – non parla solo di come assicurarne le vite in percorsi e trattati internazionali, ma assume una prospettiva di genere evidenziando la sperequazione dell’impatto, a danno del femminile, dei conflitti armati, oltre al riconoscerne il ruolo nei percorsi di pacificazione.

La Risoluzione 1325 invita gli Stati aderenti a “…. ampliare il ruolo e il contributo delle donne non solo nelle operazioni sul campo, ma anche nei livelli decisionali; provvedere alla formazione di chiunque operi nel mantenimento della pace: sia per quanto riguarda la protezione, i diritti e le necessità specifiche delle donne che per quanto concerne l’importanza della loro partecipazione attiva in tutti i processi di mantenimento e consolidamento della pace; adottare, nel caso in cui gli Stati siano coinvolti in qualsiasi modo in un conflitto armato, misure specifiche volte alla protezione e al rispetto dei diritti umani delle donne e delle ragazze.”

Alla 1325, con relativa agenda Women, peace and security,sono seguite altre nove risoluzioni* che ribadiscono e ampliano questi concetti – 1889 (2009), 1960 (2010), 2106 (2013), 2122 (2013), 2242 (2015),2467 (2019) – tutte riportate sul sito dell’AIDOS, molto impegnativi per gli Stati e per chi li presiede.

Sul Sito del Senato della Repubblica Italiana si trova il testo curato dal Servizio Studi della Camera sull’attuazione della 1325 e relativo Piano d’azione nazionale.

Tenendo conto del principio costituzionale che “l’Italia ripudia la guerra” a fronte di “missioni di pace” e della fiorente industria bellica, il nostro Stato non solo deve rendere conto dell’attuazione della 1325, ma anche delle famose 3P (testualmente): le donne ed i fanciulli rappresentano i gruppi più colpiti dai conflitti armati; le donne svolgono un ruolo imprescindibile sia nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, sia nelle attività di ricostruzione della pace; gli Stati membri dell’Onu sono invitati ad assicurare una più ampia partecipazione delle donne a tutti i livelli decisionali, con particolare riferimento ai meccanismi di prevenzione, gestione e risoluzione del conflitto (Idem).

Doveroso sapere che gli obiettivi finali nell’ambito del Piano sono:

1. riduzione l’impatto dei conflitti su donne e minori e promozione della loro partecipazione efficace e trasformativa nei processi di prevenzione, mitigazione e risoluzione del conflitto, così come nei processi decisionali a tutti i livelli;

2. sensibilizzazione e rafforzamento delle strutture esistenti, con riguardo all’Agenda Donne, Pace e Sicurezza e questioni connesse.

Il Piano è elaborato da un gruppo di lavoro nazionale, interministeriale e partecipativo, aperto, guidato dal CIDU (Comitato interministeriale per i diritti umani) ed è un work in progress con 7 obiettivi di rafforzamento della 1325 (2000) e seguenti, tra i quali la protezione dei diritti umani delle donne e delle minori in aree di conflitto e post-conflitto; impegno nella comunicazione strategica anche utilizzando mass media; partecipazione italiana a eventi i più vari per la  divulgazione, l’approfondimento e l’attuazione dell’Agenda Donne, Pace e Sicurezza.

È previsto anche un monitoraggio e una valutazione con report annuale del CIDU.

Il Covid, ma non pensiamo solo quello, rischia di fare passare in sordina non la celebrazione ma la riflessione sulla Risoluzione 1325, il suo impatto e la sua applicazione.

Nell’ambito del “Progetto Wilpf-Italia nel ventennale della risoluzione 1325: donne italiane e in rete contro la guerra”, il 10 febbraio è avvenuto un meeting incentrato sul contributo di Mario Bozzo (ex ambasciatore italiano nella Repubblica di Yemen), sull’Inquadramento storico politico di quel Paese.

Ed è stata una lezione di storia utile ad accostare o approfondire la conoscenza di un luogo di grandissima importanza geo-politica, perciò nelle mire non solo dei suoi potenti vicini – Arabia Saudita e Oman – ma in gran parte desertico, scarso d’acqua potabile, e dipendente dall’importazione di beni anche primari via terra, attraverso il grande vuoto (il deserto) o le acque del Mar Rosso e del Golfo di Aden.

Posto strategicamente al fondo della penisola arabica, lo Yemen, con capitale San’a’Repubblica presidenziale entrata a far parte dell’Onu nel 1947, dove purtroppo della 1325 non c’è traccia. Nonostante le rappresentanze diplomatiche siano posti avanzati dei rispettivi Paesi, l’influsso, rispetto ai diritti umani delle donne e dell’infanzia e le prospettive di genere di cui la 1325 è ai massimi livelli diplomatici una rappresentazione, è quasi nullo, pur restando il nostro Paese, per il trascorso coloniale sulla sponda africana del Mar Rosso, come ha più volte sottolineato Mario Bozzo, un punto di riferimento per molti altri ambiti politici ed economici.

Impossibile estrapolare quello che accade alle donne e all’infanzia durante le guerre, e la natura stessa politico-economica, talvolta religiosa, dei conflitti dalle strategie politiche-economiche messe in atto nei vari paesi prima, durante e dopo le guerre. Non c’è un “momento migliore” che posticipi l’affrontare la tragedia umanitaria in Yemen che è soprattutto femminile, trasversalmente a ogni età.

Lo sguardo di genere, assunto dall’Onu con la 1325, guarda alla maggioranza dellapopolazione mondiale, passata in meno di un secolo dai 2 agli 8 miliardi previsti nel 2027, di cui la maggioranza sono appunto le donne. Lo siamo anche in Italia. 

Lo Yemen, straziato dalla guerra civile tra Nord e Sud e da conflitti esterni, preda di carestie, epidemie, problematiche di ogni tipo, quasi completamente dipendente per qualsiasi approvvigionamento da altri paesi, sta per scivolare, da stime ONU all’ultimo posto della classifica mondiale della povertà.

In una situazione in cui la guerra, ma anche la tradizione culturale, la legislazione in atto ispirata alla sharia, penalizzano e vittimizzano e schiavizzano adulte, ragazze e bambine, la 1325 è un miraggio come tante altre piattaforme internazionali molto firmate, anche dall’Italia e mai, o solo parzialmente, applicate. E non si tratta di aver avuto poco tempo o pochi mezzi.

Le prime conferenze mondiali sulle donne datano agli anni 90 del Novecento; le giornate internazionali indette dall’Onu su molti aspetti relativi alle violenze contro le donne e l’infanzia, la tratta, la discriminazione fino alla servaggio e alla schiavitù in ambito familiare e sociale, i matrimoni e le maternità precoci, l’analfabetismo, l’ostacolo alla scolarità…denunciano piaghe non derivanti da conflitti armati ma dagli assetti sociali e religiosi che le guerre ampliano a dismisura.

È già terribile essere una sposa-bambina per matrimonio combinato consumato anche in età prepubere da mariti adulti e anziani, e iniziare le gravidanze intorno ai 12 anni e avere anche il corpo mutilato dalle MGF, che persistono in Africa come in altri continenti, il nostro compreso. Essere tutto ciò e vivere una guerra civile, con la sharia, è certamente toccare tutte le corde della disperazione nell’indifferenza quasi generale. Solo alcune campagne di Ong umanitarie riguardano le spose-bambine e le MGF, due “tradizioni” opportunistiche, non fenomeni transitori o emergenze di guerra, ma controlli maschili sui corpi femminili tanto dure a morire quanto di gravissime conseguenze, per le vittime e per la loro discendenza. Due “tradizioni” ben conosciute dall’Italia anche prima del periodo “coloniale” e comunque ampiamente assunte, difese con il silenzio e la complicità, da tanti Italiani e altri europei nelle Colonie africane. Se non si vuole pensare alle vittime, si pensi agli effetti politico-economici che solo quelle due “tradizioni” hanno comportato e comporteranno.

La guerra delle armi, sempre narrata dal maschile e al maschile, sono di più facile condanna e rappresentazione.

La Giornata internazionale della Bambina e della Ragazza è stata indetta dall’Onu nel 2012, l’anno successivo alle manifestazioni di protesta di migliaia di yemenite che a San’a non avevano solo chiesto le dimissioni di Ali Abdullah Saleh ma denunciato la violenza sui loro corpi (MGF) e sui loro destini, la violenza di genere nelle case e nelle carceri, nei posti pubblici, costrette al velo che in molte hanno pubblicamente bruciato.

In quell’occasione, si aprì da parte di pochissim* una riflessione sul significato del rifiuto al velo – che è integrale – dato dalle yemenite nelle loro componenti, tra le quali quella di cultura beduina. Mai è stata riportata la parola scelta che disegna e sostanzia la libertà.

C’è una grande diversificazione, e non potrebbe essere altrimenti, nella visione delle yemenite del mondo e nei loro movimenti, che pur tra mille pericoli sussistono (come sempre) anche durante i conflitti perché appunto le rivendicazioni superano l’oggi e si proiettano nel futuro desiderato per loro e le loro figlie. Nel paese della Regina di Saba il Niqab e il Chador sono la norma come la prevaricazione sul femminile, la mancata rappresentanza, la limitazione del movimento, la morte per adulterio vero o presunto e, per la presa di parola paragonata a un’immoralità, l’emarginazione delle vedove e delle orfane, e tutto ciò che la narrazione mistificante e sminuente il femminile ha concepito e tramandato, compreso il fatto che nelle guerre le donne e la loro capacità riproduttiva sono bottino e chi vive riceve meno aiuti, meno cibo, meno cure, meno di tutto.

L’impossibilità della stampa straniera di entrare in Yemen, con alto rischiodi chi ci riesce, rende ancora più preziose la testimonianza della giornalista e documentarista Laura Silvia Battaglia di cui è consigliata la visione del film “Yemen nonostante la guerra” (2014).

Intervistata dalla stampa occidentale, ella ha sempre dichiarato che a fronte di mille parole, gli aiuti umanitari si sono dimezzati aggravando specialmente la situazione femminile e che qualsiasi soluzione politica non si possa dire efficace e duratura senza assumere il tema dei diritti umani, specie dell’infanzia e delle donne (es. intervista a Voci Globali).

L’aumento, precedente la guerra civile, delle donne in alcuni ruoli di responsabilità, specie nel settore sanitario e dell’aiuto umanitario, dell’insegnamento, non ha impedito che in un “….Paese infestato dalle milizie religiose, le donne siano dei fantasmi nella società (…) e che tutte le donne attiviste, politiche, artiste, musiciste o non rispondenti al cliché tradizionale di moglie/madre di potenziali difensori della patria o che si pongano come attori di cambiamento sociale in settori più critici, sono particolarmente avversate e rischiano di diventare target sia dei predicatori che delle milizie stesse.” (Battaglia)

“Non si puòparlare di futuro sostenibile” afferma la giornalista, “senza restituire piena dignità a yemeniti e yemenite; (…) pre-condizione di ogni vera pacificazione e sviluppo è il rispetto dei diritti umani, l’abolizione dei mercati illegali che dando valore economico alle persone ne attribuiscono uno altissimo all’infanzia (rubata) e alle giovani donne, specie nelle aree più depresse in cui maggiormente si mantiene la sharia.(…) la lotta all’analfabetismo accompagna quella per i diritti.”

I rapporti di Human Rights Watch e di Amnesty International sulloYemen confermano l’incremento smisurato di violenze sessiste, fino alla tortura e alla morte, contro donne che sono il nerbo della società in guerra per approvvigionamento del cibo e risposta alle necessità familiari.

“Come in tutte le guerre, il prezzo pagato dalle donne è il super-lavoro e i rischi di sicurezza, inerenti la mobilità in aree infestate da milizie”. Attrici del cambiamento sociale, le yemenite contano già martiri, ad esempio l’attivista, a Taiz, nel 2017, Amat al-Aleem al-Asbahi, impegnata nella ricerca e denuncia di coloro che hanno compiuto crimini contro l’umanità durante la guerra. 

LoYemeni Women’s Pact for Peace and Security, creato dall’Onu nel 2015, ha un comitato consultivo di 60 donne ma è chiaro che al momento la pressione principale può farsi solo dall’esterno ma sull’imput delle forze nel Paese.

Noi donne, annoderemo fili dorati intorno / ai grovigli della Storia.

Al chiaro di luna narreremo le nostreemozioni ai figli in crescita.

Trasmetteremo loro il furoredi chi non si arrende/

e, nelle notti odorose, raccoglieremo insieme / lucciole al canto dei grilli.

Noi donne, custodi della vita e dell’amore, / viandanti instancabili,

cospargeremo sulle zolle iridescenti / i semi della ‘Pace’e,

con le mani bagnate di rugiada, / indicheremo nella ‘bellezza’ e nella ‘cura’

il ʻtelos’ per una umanità rinnovata, Noi donne.

Rosa Amodei (Wilpf-Italia)


2. L’inquadramento storico e politico dello Yemen nell’ambito del “Progetto Wilpf-Italia nel ventennale della risoluzione 1325: donne italiane e in rete contro la guerra” del meeting del 10 febbraio. Stralci del contributo contributo di Mario Bozzo (ex ambasciatore italiano nella Repubblica di Yemen) e sintesi delle domande e delle risposte nel dibattito

Nb. Gli Stralci del discorso di Mario Bozzo, ex ambasciatore dell’Italia nella Repubblica di Yemen, sono in parte tratti dal resoconto di Patrizia Sterpetti per Wilp-Italia. La registrazione del meeting è presso Wilpf-Italia.

In apertura, M. Bozzo ha sottolineato la cancellazione, da parte del nuovo Presidente Biden, degli Houthi dalla lista dei terroristi e la sospensione della vendita di armi all’Arabia Saudita, commentando: “…al di là dell’impostazione di Biden i servizi segreti americani continueranno a fare il loro lavoro. Il Regno Unito, invece, ha aumentato le forniture d’armi.”

Ha poi tracciato il profilo storico del Paese nei passaggi salienti, per far capire origine e portata delle crisi in corso e definirne i protagonisti. Soggetti e dinamiche di cui si conosce poco e che sono importanti per le collettive o singole scelte politiche.

La conflittuale opposizione tra Nord e Sud, non ha motivazioni religiose ma storiche che si trascinano dall’VIII secolo, sfociando nella riunificazione di Yemen (1990) fallita e seguita dalla guerra civile vinta dal Nord (1994). La radice è nella rivolta popolare del 740/743 (d. C.) contro gli Omayyadi cacciati da Kufa (Iraq), sotto Zaid ben Ali Al Hussa (m. 740), e rifugiatisi nella Regione di Sa’dah, sotto San’a’, vivente Zaid ben Ali Al Hussa (m.740). Zaid apparteneva alla ṧῑ’a moderata che attribuisce all’imām solo la qualità di essere “rettamente guidato”, diversamente da quella media (duodecimana o imamita, iraniana) e dall’estrema che lo ritiene quasi un dio. Gli Zaiditi oggi esistono, come confessione, solo in Yemen e le loro scuole giuridiche sono vicine alla Sunna.

All’epoca, ricorda Bozzo, c’erano l’imamato, la regina di Saba e i regni storici dell’Arabia Felix con le sue città, religioni e codici giuridici. Il Nord mantenne sempre una certa autonomia, anche sotto gli Ottomani (XV- XVII sec.) il cui impero, “con la Modernità, occupava solo le città, dominando da lontano”. Si arriva a tempi più recenti con i protettorati Francesi e Inglesi in Giordania, Siria, Libano. Gli Inglesi, ad Aden (dal 1827). È stato fatto più volte notare il legame amichevole dell’Italia coloniale con le terre sul lato opposto del Mar Rosso. “L’Italia non ha esteso protettorati ma ha intessuto relazioni “di buon vicinato” con lo Yemen del Nord, con maggiore statualità.”

Un fare diplomatico che si è rivelato molto fruttuoso: “L’Italia per prima ha riconosciuto lo stato di Yemen (2 settembre 1926) e questo ha creato riconoscenza oltre i nostri meriti. “Il legame si è mantenuto nel tempo e “…lo Yemen deve all’Italia la sanità moderna, l’industria, gli aerei, le macchine.”

Lo sfaldamento dell’Impero Ottomano (Prima Guerra Mondiale), ha visto il Paese governato dall’Imam Yayha, con avanzamento del Sud e arretramento e un certo arroccamento della storica Regione di Sa’dah (Nord), rimasta arcaica e nomade, dove l’Imam rimase fino al 1962, mentre la presenza coloniale inglese, ad Aden (Sud), finì nel 1967.”

Durante i regimi baathisti dei Nasser (Egitto) e dei Gheddafi (Libia), il Generale Sallal, con un colpo di Stato, instaurò la Repubblica moderna, seguita da sette anni di guerra civile tra istanze monarchiche (Nord),e repubblicane (Sud), vincendo le seconde. Il paese fu riunificato ma il revanscismo di Sa’dah non s’attenuò. Per quello e altri motivi, il Nord continuò a sentirsi trascurato, emarginato; tutti gli investimenti andavano al Sud. Il diplomatico ha tenuto a sottolineare che la religione non c’entra con lo scoppio di altra guerra civile (1990-1994) in cui il Nord, la formazione rappresentata da Sa’dah, “…si è caratterizza anche da una certa irrazionalità.”

L’attentato alla cacciatorpediniera Cole (Usa) con 17 morti e 39 feriti (12 settembre 2000), segnò l’esordio di Al Qaeda contemporaneo al definirsi del profilo egemonico iraniano: Paese emarginato, auto-referente, non orientato a invadere territori ma a creare capisaldi politici e militari: gli Hezbollah in Libano, Hamas in Palestina, i partiti in Iraq.

In questo quadro, gli Houthi e la Regione di Sa’dah sono legati da fili indissolubili. “Non si tratta di una etnia. Gli Iraniani sono stati furbi, hanno fatto appello alla Ṧῑ’a, hanno creato moschee e madrase sciite, mentre c’era stata convivenza tra le moschee. Il Governo ha cercato di limitare l’influenza iraniana.”

Lo Yemen ha visto altre sei guerre tra il 2000 e il 2010 e se “… Le cosiddette primavere arabe (2010), erano etero-dirette, come sappiamo, quella in Yemen fu una spontanea levata di scudi contro il regime di Salah. (…) L’Italia, preoccupata per un similare disastro, in Somalia, coinvolse tutte le ambasciate dei Paesi dell’UE e del G8, a sostegno di Yemen e, in occasione della presidenza italiana del G7, ottenne che un paragrafo del documento conclusivo fosse dedicato a quel Paese (Trieste, giugno 2009). La primavera yemenita non colse impreparata la Comunità internazionale, neanche l’Arabia Saudita. Le parti in campo erano Salah, i partiti, le tribù e per tre/quattro anni il Paese ha saputo dialogare.

È stato ricordato l’incontro all’Università di Urbino, tra la Direzione Affari Politici (Mae), ed esponenti yemeniti tra cui la giornalista Tawakkul Karman, Premio Nobel Per la Pace 2011.

Fra il 2014 e il 2015 lo Yemen si è dotato di una Costituzione e di una Federazione a sei che avrebbe dovuto frenare l’indipendentismo del Nord dove in un contesto sempre emarginato e arretrato, gli Houthi presero il controllo, autonomamente, senza pressione iraniana, riuscendo a conquistare Aden. Raggiunsero lo straordinario risultato, mai conseguito in sei guerre, per il desiderio di vendetta di Ali Abdallah Salehche, pur destituito durante la primavera araba ma conservando immunità penale e controllo delle forze armate, si alleò con gli Houthi e aprì loro gli arsenali militari. Le guerre non erano finite.

La fuga di Mansur Hadi, vicepresidente di Saleh, in Arabia Saudita, avviò un altro conflitto che vide lo Yemen in una coalizione di 15 Paesi, i principali Pakistan ed Egitto che però ricevevano molti fondi dal nemico: l’Arabia Saudita. Presto l’Egitto si ritirò. Quella guerra, “senza gloria e senza misericordia” prevista per sei mesi e durata sette anni, disastrò il Paese. Sul fronte opposto, solo gli Emirati Arabi Uniti rimasero accanto all’Arabia Saudita che non vinse e non conquistò Hodeidah ma si rese responsabile della distruzione di un importante patrimonio.

La nuova influenza degli Emirati Arabi Uniti nel Sud yemenita, ostile agli Houthi, suscitò altre rivolte contro l’Arabia Saudita che puntava a una talassocrazia, com’era stata di Venezia, mentre gli Emirati finanziavano e costruivano porti strategici.

Riassumiamo alcune tra le domande e le risposte.

Sul futuro dello Yemen rispetto alla mediazione delle N. U. (Patrizia Sterpetti): “…certamente gli Houthi vorranno avere la loro influenza e lo scenario futuro potrebbe essere una Repubblica islamica nel Nord e un’altra, d’influenza degli Emirati Arabi Uniti, nel Sud. Gli Accordi di Abramo stretti con Israele in funzione anti-Iran potrebbero favorire la pace. Forse gli U.S.A. riusciranno a rappacificare l’area.

Sulla ripresa di dialogo tra Usa e Iran anche rispetto al nucleare (P. Sterpetti):“…il decennale progetto (2005-2015), coinvolgente Selex e Finmeccanica, riguardava radar costieri per soccorrere migranti giunti in Yemen dalla Somalia e dall’Eritrea. L’Italia, rinomata per le capitanerie di porto, vinta la gara, ha formato tecnici professionali e si è seduta nel gruppo consultivo, diretto da un Italiano, dove prima stavano solo Inglesi, Francesi e Statunitensi. Le azioni erano anti pirateria. Il programma fu tanto apprezzato che U.K. e U.S.A. vi si inserirono. (…) Per realizzarlo, abbiamo utilizzato il decreto sulle missioni. L’Italia può partecipare a missioni all’estero solo in operazioni di mantenimento della pace… abbiamo utilizzato quei fondi per finanziare la guardia costiera per la gestione dei flussi migratori e il soccorso ai profughi. Io sono un uomo di pace. Avevamo anche la missione archeologica italiana incaricata del restauro di settemila manoscritti antichi della moschea di San’ā’, ma la guerra ha bloccato tutto. Anche l’isola di Socotra, staccatasi dalla piattaforma africana, un vero deposito di biodiversità, era interessata da un progetto di sviluppo sostenibile… ma adesso gli Emirati Arabi Uniti ne faranno un polo turistico. Il rapporto tra Italia e Yemen è ormai storico; lo stretto di Bab El Manded era battuto da duemila navi all’anno di bandiera italiana. L’ambasciata italiana, come tutte, con la guerra è stata chiusa e la situazione è stata seguita da lontano. L’illusione è che con il ritorno della pace riprendano le relazioni.

Sui rapporti con lo Stato di Israele e con il Qatar (Laura Marcheselli): “… da un decennio l’Arabia Saudita ha ristabilito rapporti con Israele in funzione anti iraniana, senza darlo a vedere; ci sono contrasti con il Qatar; il Bahrein (dove gli Accordi di Abramo hanno sospeso le sanzioni), è diventato un luogo di svago per l’Arabia Saudita. Il Qatar ha fondato Al Jazeera che orienta la politica e si occupa e si pronuncia in senso opposto ai Sauditi: appoggia i Turchi, i Fratelli musulmani ed è contro Aftar. Per l’Arabia Saudita, l’appoggio degli U.S.A. è importante; resteranno alleati pur non ricevendo più armi per la guerra allo Yemen dove la costituzione federale a sei non sarà più possibile: gli Houthi sono una realtà che si è imposta. Insieme a un gruppo di colleghi diplomatici ho stilato delle raccomandazioni nel Doc campus master che vorremmo proporre.”

Sulle armi vendute dall’Italia all’Egitto e che si teme finiscano in Arabia Saudita, per la guerra in Yemen (P. Sterpetti): “…ne escludo la possibilità. L’Egitto mira al proprio rafforzamento militare e gli interessa soprattutto il Mediterraneo e lo stretto di Suez.

Sulla “condizione delle donne” nei prossimi sviluppi (Enrica Lomazzi): “…sembra che ci sia stato un regresso, il ritorno all’uso del velo, l’astrazione dal lavoro, dalla politica, dalla vita associativa. Si riuniranno vari partiti e bisognerà vedere chi vincerà e chi perderà le elezioni, se vinceranno gli Houthi ci sarà una repubblica islamica.”

Sul commento richiesto in merito ad Al Qaeda e all’Isis, rispetto alla guerra (P. Sterpetti): “…La coalizione ha usato Al Qaeda; i suoi uomini si sono stabiliti nello Yemen, ma i più pericolosi terroristi (di Al Qaeda) sono i sauditi e i pakistani che si sono rifugiati nell’est dello Yemen (desertico), dove il controllo del territorio è scarso. Per quanto riguarda l’Isis, sono coinvolti nella guerra in Siria e in Iraq ma agiscono meno nel territorio e fanno più attentati all’estero, meno in correlazione.”

Segnaliamo il lungo intervento di Ennio Cabiddu (per tre volte sindaco) in merito all’uso dell’argilla cotta nelle costruzioni di cui ha parlato in due conferenze internazionali. Un uso riconosciuto in sede UNESCO ma per Bozzo non consigliabile in Yemen.

Sulla presenza dei socialisti nel Sud di Yemen (Marinella Correggia): “… i socialisti sono spariti dappertutto. C’era il Partito Al Isla, il partito liberale, il partito socialista; adesso prevalgono gli autonomisti e il tema dell’indipendenza sugli antichi quadri socialisti. Si mira alla separazione, all’autonomia. Dal 1969 al 1990 c’era l’U.R.S.S. che appoggiava i partiti comunisti e socialisti, adesso tutto questo è stato assorbito dal separatismo.”

Mario Bozzo ha lamentato la mancanza di politica estera unitaria da parte della UE: “Abbiamo lasciato un vuoto in Africa mentre la Cina ha investito. (…) Le sanzioni all’Iran non servono a niente, le sanzioni non servono mai. (…) L’I.S.I.A.O. ha molti documenti. Purtroppo in Italia non valorizzano l’esperienza accumulata dal personale diplomatico. Il potere va per la sua strada, non gli interessa la conoscenza. Si è spostati da una sede all’altra secondo il bisogno. I Canadesi mandano i loro diplomatici in loco un anno prima per consentir loro di imparare la lingua.”

Molto critico anche verso il personale diplomatico femminile, cresciuto molto di numero dal ’78 (quando, all’inizio della sua vita diplomatica aveva due/tre colleghe) “… perché le donne hanno grandi capacità di mediazione” ma è “la selezione effettuata da un sistema micidiale” che non consente (spesso) alle persone migliori di emergere.”

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