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Sabina Belli. Il problema non è il soffitto di cristallo, ma il pavimento appiccicoso

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

MM: Spesso la famiglia viene vista come un ostacolo all’affermazione professionale di una donna, è possibile valorizzare questo lato privato e farne un punto di forza invece che di debolezza?

SB: La famiglia dovrebbe essere un luogo di solidarietà, non un impedimento a seguire i propri sogni e la propria individualità, in nome di una cultura ferma nel tempo. Detto ciò, ci sono aspetti del management che si possono applicare ai figli e viceversa. Ad esempio, nel modo di comunicare bisogna trasmettere idee e obiettivi con autorevolezza. Da madre, così come da manager, bisogna adottare la leadership necessaria per dare linee di condotta, anche a costo di non essere super simpatica o popolare, rinunciando al consenso globale.

MM: Quando lei ha iniziato la carriera, negli anni Ottanta, era veramente il mondo descritto dal film cult “Una donna in carriera” (“Working Girl” di Mike Nichols, 1988)? Le è mai capitato di essere sottovalutata, come Melanie Griffith, per rimanere nella metafora cinematografica?

SB: Quando sono diventata Ceo in Pomellato e mi hanno dato l’ufficio presidenziale mi sono rivista nella scena finale del film: Melanie Griffith non può credere che la poltrona del “capo” sia la sua e va a sedersi al posto della segretaria. Mi sono sentita un po’ come in “Working girl”: non è un film aneddotico, credo che seppure in forma di commedia racconti la realtà. A più di trent’anni dall’uscita al cinema, ci sono mondi dove le donne sono molto sottorappresentate, come il tech e la politica. Pensiamo anche alla figura dell’antagonista, Sigourney Weaver, che nel suo ruolo di manager algida e prevaricatrice racconta come le donne possono essere le peggiori nemiche delle altre donne.

MM: Ora le cose sono cambiate? È diverso l’approccio al femminile nel mondo del business, in particolare nei grandi marchi?

SB: Ci sono ancora barriere culturali molto radicate. L’altro giorno ho accompagnato mia madre per una vaccinazione in un ospedale milanese. Quando dall’ambulatorio è uscita una giovane ragazza molto graziosa e ha detto di essere lei il medico ho visto sguardi sgomenti nelle signore in fila. Per loro era obbligatoriamente un’infermiera. Fa parte della nostra cultura, anche io devo ammettere di essere rimasta sorpresa, per quanto contenta. A livello di cultura aziendale, sono stati fatti passi in avanti: ora tutti i cacciatori di teste propongono un numero uguale di uomini e donne, mentre una volta, per certe posizioni, erano suggeriti solo maschi. Poi ci sono realtà come il gruppo Kering (di cui fa parte Pomellato, Ndr) molto avanti nelle politiche sulla parità di genere e di sostegno al welfare. Per esempio da noi è previsto un congedo paternità di 14 settimane e il 74% dei lavoratori sono donne. Anche nel comitato esecutivo siamo in 4 donne e 2 uomini.

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