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«Senza consenso il sesso è stupro»: Amnesty si batte per una nuova legge

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Ad agosto dell’anno scorso, sulla spiaggia, in provincia di Livorno, una ragazza è stata stuprata. Erano in sei. Quattro ragazzi sono indagati. Due no perché quando hanno obbligato la ragazza al sesso orale lei non ha detto no. È rimasta in silenzio. Terrorizzata. Sperando che la violenza di gruppo finisse il prima possibile. Per la legge italiana, oggi, se una donna, una persona non dice espressamente no a un rapporto sessuale non è vittima di stupro.

La norma rispecchia un sentire molto diffuso. Ancora nel 2019 –ci dice l’Istat – il 39% degli italiani crede che «una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se lo vuole». È anche per questo che Amnesty international Italia ha lanciato la campagna #iolochiedo, per modificare la legge sullo stupro.

Oggi la violenza sessuale, in Italia, è regolamentata dall’articolo 609bis del codice penale che è stato ritoccato appena 25 anni. È solo dal 1996 che in Italia lo stupro è un reato contro la persona e non contro la morale. Però – denuncia Emanuele Russo, presidente di Amnesty International Italia – la norma è formulata male. Non tiene conto del diritto della donna (e delle persone) a esprimere un consenso esplicito, chiaro, al rapporto sessuale. Come prevede la Convenzione di Istanbul, il codice internazionale di riferimento sul contrasto alla violenza di genere.

Russo, perché Amnesty vuole cambiare la legge sullo stupro in Italia?

«Noi partiamo dal concetto che il “sesso senza consenso” sia stupro sempre e comunque. Anche se può sembrare un concetto semplice, in Italia il codice penale fa riferimento a una definizione di stupro basata esclusivamente su “uso della violenza, forza, minaccia dell’uso della forza e coercizione”. Non c’è riferimento al principio di consenso come previsto dall’articolo 36 della Convenzione di Istanbul che abbiamo ratificato e ci siamo impegnati a rispettare. L’articolo 36 recita: “...Il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto...”».

Perché si fatica a far cambiare la legge?

«In realtà l’Italia avrebbe già deciso di adeguare la propria legislazione sullo stupro alla Convenzione di Istanbul: ma non lo ha ancora fatto, malgrado abbia ratificato questo atto nel 2013. Perciò con la campagna #iolochiedo stiamo ragionando in termini di una pressione sull’Italia, affinché sia coerente con se stessa: non c’è bisogno di batterci perché il Paese introduca il principio nel proprio ordinamento. Lo ha già deciso. Il punto è: perché non lo ha ancora fatto?».

Appunto: perché? Amnesty è riuscita a far cambiare la legge sullo stupro a Spagna, Danimarca, Paesi Bassi.

«Se la legge ancora non è stata cambiata la spiegazione è che stiamo ragionando di un Paese che ha un problema culturale nei confronti delle donne, un problema di tipo sistemico, non di tipo legislativo, da affrontare alla radice perché altrimenti non si può pensare che le cose migliorino. Questo è anche il motivo per cui abbiamo deciso di organizzare una campagna e non di limitarci e non a svolgere attività di lobby sulle istituzioni».

Quali azioni avete messo in piedi a sostegno della campagna?

«La campagna, lanciata l’8 luglio 2020, resa complicata dalla pandemia, punta sul dialogo con le istituzioni. In particolare con la commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio. Quello che facciamo è ricordare alle istituzioni che la Convenzione di Istanbul è vincolante: dal punto di vista internazionale noi siamo inadempienti. L’Italia a livello internazionale si è già impegnata ad applicare il principio dell’obbligo del consenso per i rapporti sessuali, ma è in ritardo. Quando parliamo di rivedere la norma, è chiaro che non ci limitiamo solo al principio dell’uso di minaccia e della forza. Non è necessario chiedere la prova di una resistenza verbale o fisica. Il punto centrale è il consenso inteso come “incontro di due volontà, fare qualcosa insieme”. Quindi anche su questo è necessario un cambio di prospettiva.

Non c’è stato questo cambio culturale?

«No. Ancora oggi quando una persona viene violata nella sua intimità deve giustificarsi. Non a caso abbiamo organizzato la campagna “Come eri vestita” per censurare chi colpevolizza le donne stuprate per il loro abbigliamento. Sappiamo benissimo che molto spesso tutti chiedono alla donna “come eri vestita” quando sei stata molestata o violentata: come se indossare un vestito piuttosto che un altro possa fornire un’attenuante all’aggressore».

A chiederlo, però, spesso sono perfino avvocati, magistrati o forze dell’ordine.

«Da un punto di vista istituzionale ci trova di fronte a istituzioni inadempienti, da un punto di vista culturale ci si trova di fronte a una realtà impreparata o con strumenti culturali inadeguati per fronteggiare la violenza fisica, lo stupro o qualsiasi reato legato alla sfera della sessualità».

Istituzioni impreparate. Un’affermazione forte.

«Se le nostre istituzioni fossero preparate, alla ratifica della convenzione di Istanbul avrebbero fatto seguire un adeguamento della normativa sullo stupro. Come Amnesty lottiamo per arrivare a una società che pone al centro delle relazioni il principio del consenso, criminalizza tutto ciò che è fatto contro questo principio. Invece ci troviamo nella condizione contraria».

In quale condizione ci troviamo in Italia?

«Siamo in un Paese che assegna in una discoteca a un tavolino il nome di “Centro stupri”; un Paese nel quale quando si verificano gli stupri di gruppo c’è ancora chi parla di ragazzata. Noi come uomini dobbiamo fare un grande cambiamento. Anche quelli di noi cresciuti all’interno di una cultura dei diritti umani hanno ricevuto in uno o più momenti della loro vita messaggi che aiutano al mantenimento di questo clima di non rispetto delle donne. E finché non ci troveremo in una situazione in cui la responsabilità di questo clima non viene assunta dai maschi, non riusciremo a cambiare. Quando è iniziata la fine dell’Apartheid in Sudafrica? Quando i bianchi hanno iniziato a marciare con i neri. Finché i maschi non inizieranno a capire di essere la parte fondamentale del problema, saremo sempre in ritardo sulle soluzioni».

Non c’è stato un miglioramento negli ultimi anni?

«Con il lockdown abbiamo assistito a un aumento della violenza domestica. Se da un lato questo dato purtroppo non stupisce, dall’altro ci dà la misura della drammaticità del problema. Le statistiche europee che ci dicono che una donna su 20 di età pari o superiore a 15 anni è stata stuprata: sono circa nove milioni di donne. Le stesse statistiche ci dicono che una donna su dieci sempre di età maggiore di 15 anni ha subito qualche forma di violenza sessuale. Ora tenendo conto che altre statistiche ci dicono che oltre l’80% delle violenze viene agita non da persone estranee, ma da persone del nucleo familiare e per lo più dal proprio partner, se ne deduce che il luogo più pericoloso per la donna è la propria casa. Quindi dopo un anno vissuto in lockdown abbiamo condannato milioni di donne del nostro Paese e dell’Unione europea a stare nel luogo più pericolo in cui vivere». —

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