Una pandemia di violazioni dei diritti umani / Notizie / Home
Covid Covid e ancora Covid. Anche la 46° sessione del Consiglio ONU per i Diritti Umani ha aperto il 22 febbraio scorso i propri lavori a Ginevra mettendo in primo piano la pandemia che da un anno ha “immobilizzato” il mondo. È stato il Segretario Generale delle Nazioni Unite, il portoghese Antonio Guterres, a rilevare la connessione tra l’emergenza sanitaria e una maggiore violazione dei diritti umani. Affidando la sua riflessione scritta al Guardian, Guterres ha segnalato quanto durante questa emergenza, tutt’altro che risolta, le nostre società hanno inasprito i divari e le discriminazioni verso le persone più fragili, le stesse per le quali il sistema ONU ha creato dal secondo dopoguerra forme di tutela che purtroppo non hanno funzionato granché. Poveri, anziani, ma anche “non bianchi”, oggetto dell’odio di movimenti razzisti di supremazia bianca, e donne, quest’ultime ancora una volta vittime di abusi, violenze domestiche, sfruttamenti sessuali e matrimoni precoci. “Il virus è stato usato come pretesto in molti Paesi per reprimere il dissenso, criminalizzare le libertà e mettere a tacere le notizie” ha chiaramente rilevato Guterres.
Le iniquità oggi toccano anche il sistema di accesso ai vaccini, secondo Guterres. I circa 2,5 milioni di cittadini di più di 130 Stati non hanno avuto alcuna disponibilità di un vaccino contro il Covid-19 e solo 10 Paesi al mondo (quelli che rappresentano il 60% del PIL globale) hanno somministrato il 75% di tutti i vaccini Covid esistenti. Dunque un’ineguale tutela del diritto alla salute in questo anno di pandemia è confermato da un differente accesso alla primaria cura, quella data dalla protezione vaccinale. Logico corollario della crisi sanitaria mondiale è stato, infatti, un riacuirsi degli egoismi nazionali a cui oggi assistiamo come tifosi sul mercato degli accaparramenti delle dosi dei diversi tipi di vaccino disponibili, incuranti di chi su quella piazza non riesce neanche ad affacciarsi. Pochi giorni prima, un monito analogo era stato lanciato congiuntamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’UNICEF che richiamava a una strategia più equa di fornitura dei vaccini anti-Covid19 senza la quale difficilmente si andrà a sconfiggere la malattia. “O ci prendiamo cura del mondo nella sua globalità o le mutazioni del virus continueranno a toglierci la pace, ma la colpa sarà di una miopia irresponsabile e autolesionista”, ha avvertito a “casa nostra” Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas, che, intervenendo su Avvenire in merito alla distribuzione dei vaccini, ha ricordato che le due varianti oggi più temute del virus vengono proprio dai Paesi del sud del mondo, ossia dal Sudafrica e dal Brasile.
Nel mese di apertura della sua sessione (fino al 23 marzo), il Consiglio ONU per i Diritti Umani, ovvero il principale organo dell’ONU per la promozione e la protezione dei diritti umani a livello globale, andrà a discutere di numerose questioni non inerenti al Covid-19. Per questa ragione l’apertura dei lavori è stata salutata dai rappresentanti degli Stati membri eletti nell’organo prima di lasciare le attività nelle mani della diplomazia e dei tecnici inviati dai Paesi. Per l’Italia, eletta ancora una volta in Consiglio nel triennio 2019-2021, ha preso la parola il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in un videomessaggio inviato il 24 febbraio a Ginevra. Nei quasi 7 minuti di intervento registrato e letto su schermo, il ministro ha ricordato la priorità per il Paese di ottenere una moratoria mondiale della pena di morte, la lotta al lavoro minorale quando costituisce uno sfruttamento della persona, la necessaria tutela dei difensori dei diritti civili e dei giornalisti la cui incolumità è a rischio in molte aree del mondo. Di Maio ha poi richiamato l’Egitto al rispetto dei diritti umani ricordando la detenzione di Patrick Zaki e il brutale omicidio di Giulio Regeni, ed espresso preoccupazione per quanto sta accadendo in Libia, Bielorussia, Myanmar e Yemen. Anche la sfida ambientale oggetto della COP26 fissata nel novembre 2021 viene ricordata in un paio di passi del discorso. Le frasi di ampio respiro e i temi accuratamente scelti fanno quasi dimenticare l’assenza di un riferimento all’altalenante politica diplomatica dell’Italia proprio verso Il Cairo in questi 5 anni dalla morte di Giulio Regeni con una verità parziale ormai emersa ma senza dubbio alcuna giustizia per il brutale assassinio.
Fanno quasi dimenticare l’export di armi italiane impiegate per anni nel conflitto in Yemen fino alla revoca delle licenze di produzione e vendita giunta in maniera definitiva solo alla fine di questo gennaio. Fanno quasi dimenticare l’assenza ad oggi di alcuna politica ambientale dell’Italia. Fanno quasi dimenticare che la disuguaglianza di genere resta una realtà a cui sinora si è messo mano solo a parole e che l’Italia sconta la sua mancata crescita proprio sul gap salariale uomo-donna, sulla ripartizione sociale diseguale delle attività di cura di anziani e figli, sull’assenza di rappresentanza politica delle donne e ai vertici dei sistemi aziendali su cui anche il recente governo Draghi è incappato. Fanno quasi dimenticare che “forza e coraggio” mostrati dalle donne durante la pandemia, come ha ricordato Di Maio, sono stati scontati con la perdita di lavoro per 99.000 di loro, pari al 98% dei nuovi disoccupati. Lo fanno QUASI dimenticare.
Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Attualmente impegnata nel campo della cooperazione internazionale, è presidente della cooperativa EDU-care e collabora con altre realtà del Terzo Settore a livello di formazione, progettazione e comunicazione.