Perù, trecentomila donne sterilizzate con l'inganno e la forza: lunedì il processo a due ex presidenti
Lo avevano chiamato “Piano di salute pubblica”, un nome che sapeva di moderno, che esprimeva efficienza. Lo Stato che finalmente si occupava del suo popolo e avviava una grande campagna di salute. In realtà nascondeva qualcosa di molto più profondo: l’avvio di una sterilizzazione di massa nei confronti delle donne più povere, contadine analfabete, arroccate nei paesini delle Ande dove si parlava solo quechua.
L’idea venne a Alberto Fujimori, il presidente-dittatore accolto come un eroe per avere finalmente sconfitto Sendero Luminoso e messo fine a un bagno di sangue da parte dei suoi fanatici militanti. Il progetto fu finanziato dall’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID) con 36 milioni di dollari e un contributo, decisamente inferiore, del Fondo per la Popolazione delle Nazioni Unite (UNFPA). Dopo la fuga precipitosa in Giappone di Fujimori, accusato di corruzione e violazione dei diritti umani, arrivò alla presidenza Alejandro Toledo. Rimase al potere dal 2001 al 2006 e anche lui, dopo una breve pausa, riprese il piano e lo applicò sulla popolazione maschile. Un vero abuso su una popolazione inerme.
Il caso lunedì prossimo approda finalmente in un’aula di giustizia. Fujimori e Toledo sono chiamati alla sbarra. Ma sarà difficile che si presentano. Il primo ha 83 anni e sconta ai domiciliari una condanna di 30; il secondo è rifugiato negli Usa dove pende una richiesta di estradizione per corruzione. Si è illegalmente impossessato, tra le tante cose, anche di un’antica corona incaica.
Scattato con entusiasmo e portato avanti da centinaia di medici, infermiere, operatori culturali il piano provocò un disastro che solo anni dopo è venuto alla luce. Si stima che, tra il 1990 e il 1999, almeno 314 mila donne furono sterilizzate senza il loro consenso, giocando sull’ignoranza, il timore, la fiducia; spesso costrette sotto minaccia, invogliate da promesse di denaro e cibo, arrivando a legare le più ribelli o sedando quelle che chiedevano informazioni procedendo a chiudere loro le tube sotto i ferri dei tavoli operatori.
Più che truffa il pomposo “Piano di salute pubblica” fu un’operazione di violenza pubblica. In nome di una pianificazione familiare che l’ingegnere di origini giapponesi aveva deciso di applicare alla stregua della Cina peggiore. Nella trappola finirono anche 27 mila uomini che subirono una vasectomia: un taglio netto ai canali del seme per evitare che mettessero ancora incinta le loro donne.
Possiamo solo immaginare cosa abbia comportato. Nella solitudine delle Ande, con il buio che piomba di colpo alle 6 del pomeriggio, dopo una giornata sui campi a tremila metri di altezza, senza tv e altre evasioni, il sesso rimane per migliaia di coppie l’unico momento di svago e di piacere. Ma anche questo fu soppresso per controllare gravidanze inaspettate: finivano per pesare su famiglie che avevano già fin troppe bocche da sfamare. Intenzione nobile, si dirà. In realtà questa moderna programmazione delle nascite si trasformò in un danno permanente. Fisico e psicologico.
Le decine di migliaia di povere contadine ignoravano cosa subivano. Si fidavano. Non avevano scelta. Lo Stato arrivava dove non era mai arrivato e le convinceva che questo era il modo di salvarsi dalla fame e dall’indigenza. Ma lo affermava in modo generico. Dava qualche consiglio, riforniva i villaggi di condom e qualche gel anticoncezionale. Puntava sulla soluzione più sicura, quella drastica. Tube legate alle donne, taglio del canale riproduttivo per gli uomini. I racconti e le testimonianze raccolti negli anni sono un film dell’orrore. Squartamenti, dolori, disfunzioni, serie controindicazioni. Corpi violentati e mutilati.
Solo anni più tardi le vittime avrebbero scoperto la verità. Si confidarono tra loro, qualcuna prese coraggio e raccontò alle ginecologhe dei consultori rurali le pratiche allucinanti che aveva subito. Nel 2017 scoppia lo scandalo. L’organizzazione femminista nota come Domus denuncia la vergogna al giudice Luis Landa con un primo rapporto dettagliato. Si spiega che il personale della cosiddetta AQV, acronimo di Anticoncepción Quirúrgica Voluntaria, non informò adeguatamente il processo di legamento delle tube a circa 211mila donne; a 25 mila non si disse chiaramente che l’intervento chirurgico era irreversibile. Insomma, erano diventate sterili e non avrebbero più potuto avere figli. L’associazione dei diritti umani guidata dall’avvocato Giulia Tamayo, Nada Personal, dimostrò un dettaglio ancora più vergognoso: per ogni intervento era previsto un bonus per i medici e per convincere della bontà dell’operazione si organizzarono dei “festival delle legature delle tube” nelle zone rurali e nelle sterminate baraccopoli, i Pueblos jovenes, che sorgevano ai margini delle grandi città come Lima.
Sugli effetti e le pratiche del “Piano di salute pubblica” ci sono state ben quattro indagini ma sono state tutte archiviate. La prima nel 2001, la seconda l’anno dopo. E ancora nel 2009 e nel 2011, con sentenze che rimandavano a ulteriori accertamenti, assolvendo sempre e comunque la responsabilità dei protagonisti. A ogni inchiesta aumentava il numero delle donne e degli uomini sterilizzati. Solo appunto quattro anni fa, grazie a una presa di coscienza delle vittime e al lavoro incessante delle ong e altre associazioni per le donne, la magistratura ha ricevuto 773 denunce contro il programma di pianificazione familiare. L’ultimo dato indica 254.455 operazioni chirurgiche forzate. Nessuno finora ha pagato. L’Oms, che si era “complimentata” con Fujimori per i risultati ottenuti, non è mai apparsa in alcuna inchiesta. L’unica a ribellarsi fu la Chiesa. Per motivi etici. Ma si guardò bene da denunciare la grande barbarie.