Le donne saudite lottano per la libertà
La ribellione delle donne saudite su Twitter
È quella di molte donne saudite, come Malak al-Shehri, la studentessa 20enne finita in carcere pochi giorni fa. La sua colpa? Aver pubblicato su Twitter foto in cui si mostra per le vie di Riad senza il lungo abito nero per legge obbligatorio in pubblico, ma con un vestito a fiori. Un’altra azione di rivolta, che suona inaudita in quel Paese ferocemente repressivo, è la recente campagna #IAmMyOwnGuardian (sono la guardiana di me stessa). Anch’essa è stata lanciata via Twitter, social molto diffuso in Arabia Saudita.
La petizione delle donne saudite per decidere da sole
«Vogliamo essere trattate da adulte» dice a Donna Moderna Aziza al-Yousef, una delle promotrici della petizione. Nel Paese governato da re Salman alle donne non è consentito guidare l’auto (quante possono permetterselo si affidano a un autista privato) né prendere l’aereo, iscriversi a scuola, lavorare, avere accesso alle cure mediche, aprire un conto in banca o affittare un appartamento senza il permesso di un “guardiano”: quest’ultimo è il padre, il marito o anche un figlio.
I video di ribellione delle donne saudite
In un video con cui gli attivisti americani di Human Rights Watch hanno sensibilizzato il mondo su questa violazione dei diritti umani si vede, per esempio, una chirurga saudita che in sala operatoria riceve un sms con l’invito a un convegno internazionale. Per partecipare deve prima chiedere il permesso al figlio, che sdraiato sul divano a giocare alla playstation, non le risponde affatto. Proprio per porre fine a tutto ciò Aziza al-Yousef è andata di persona, coperta con la tradizionale tunica nera, a consegnare le 15.000 firme a sostegno della campagna #IAmMyOwnGuardian alla corte reale di Riad. «Nessuno sa quando le nostre richieste otterranno risposta. Già nel 2009 e nel 2013 inviammo una lettera all’allora re Abdullah» dice. «Ma senza speranza non si vive».
Il sostegno dello sceicco alle ribellione delle donne saudite
Qualche piccolo segnale di speranza si registra. A dicembre dell’anno scorso ci sono state elezioni comunali in cui per la prima volta le donne potevano presentarsi sia come elettrici sia come candidate e in 20 sono state elette. Quest’anno è stata approvata una legge contro la violenza domestica. E di recente lo Sceicco Abdullah Al-Manea, membro del Consiglio saudita degli studiosi anziani, ha detto al quotidiano Okaz che «ogni saudita dovrebbe essere la guardiana di se stessa». La presa di coscienza dei diritti delle donne e il coraggio quindi crescono. Ma le sfide sono tante e la repressione, come dimostra l’arresto di Malak al-Shehri, continua.
Un libro sulla libertà delle donne saudite
Una donna in bici avvolta nell’abaya (il lungo abito nero) e scortata dal mahram (il guardiano, uno dei maschi di famiglia). È questa l’immagine in copertina di L’Arabia Saudita. Uno Stato islamico contro le donne e i diritti (Castelvecchi). «Immagine sarcastica perché là le donne non possono andare in giro da sole e, dal punto di vista legale, sono trattate tutta la vita come minorenni» dice Liisa Liimatainen, giornalista finlandese per anni inviata in Medio Oriente e autrice del libro. «Attraverso le voci di tanti attivisti che ho incontrato, racconto una monarchia repressiva, ma anche la società civile che sta nascendo. E scardino un mito: con il crollo del prezzo del petrolio e la grande crescita demografica l’Arabia Saudita non è più il Paese ricco che molti immaginano e il suo futuro è costellato di incognite».