Stereotipi nelle campagne online: come i creatori di contenuti possono riflettere la nostra società
L’8 marzo è passato ma il tema dell’inclusione e della diversità non sparisce con la festa dei diritti delle donne, stereotipi e “ismi” di vario genere sono ancora intorno a noi. Il mondo della comunicazione è da sempre un grande influencer dell’evoluzione sociale, in molti casi additato anche come perpetuatore di stereotipi di genere, valutazione che spesso ha coinvolto la comunicazione sui media tradizionali, televisione in primis.
Ma l’online è così scevro dagli antichi retaggi maschilisti, razzisti e omofobici? Gli stereotipi, attraversata la barriera del web, sono storia del passato? Una domanda che si è fatta anche Facebook che, con il Geena Davis Institute on Gender in Media, ha esaminato un campione di 1.022 annunci video globali di Facebook per valutare come le persone vengono rappresentate nelle campagne online. Lo studio si è basato su una combinazione di ricerche qualitative e quantitative raccolte negli ultimi due anni da 1.200 consumatori, 1.000 annunci video di Facebook e 1.200 studi sull'impatto del marchio negli Stati Uniti, nel Regno Unito e inBrasile.
"I media sono uno dei fattori più importanti che influenzano i nostri valori - ha dichiarato Geena Davis, attrice, fondatrice e presidentessa dell’istituto -. Gli inserzionisti e i creatori di contenuti hanno il potere di cambiare la vita, riflettendo la nostra società in continua evoluzione ed elevando le voci che spesso rimangono inascoltate". Al momento, sembra che ci sia ancora parecchio lavoro da fare, infatti, i risultati indicano che nella pubblicità online sono ancora presenti rappresentazioni limitanti e negative, con alcune campagne che ritraggono le persone in modi stereotipati.
L'analisi creativa ha rilevato i seguenti problemi di genere: le donne hanno 14,1 volte più probabilità degli uomini di essere mostrate in abiti rivelatori e 6,9 volte più probabilità di essere oggettivate visivamente o verbalmente. Gli uomini se la passano un pochino meglio, infatti, hanno 2,4 volte più probabilità delle donne di essere presentati come arrabbiati e 1,4 volte meno probabilità di essere mostrati felici.
L'analisi creativa ha rivelato, inoltre, che la sotto-rappresentazione è un problema anche nella pubblicità online, con alcuni gruppi spesso omessi dalle raffigurazioni. Infatti, le persone diversamente abili sono risultate gravemente sottorappresentate negli annunci online (presenti solo nell'1,1% degli annunci esaminati) così come i membri della comunità LGBTQ + (0,3%). Non va molto meglio dal punto di vista razziale: i latini e i neri americani, ad esempio, hanno 1,8 volte più probabilità degli americani bianchi di vedersi rappresentati in maniera negativa negli annunci online.
Tutte occasioni perse per i brand, infatti, il 71% dei consumatori intervistati si aspetta che i marchi promuovano la diversità e l'inclusione nei loro annunci web. Il 58% degli intervistati è più fedele ai marchi che sono diversi e inclusivi nella pubblicità online e il 59% preferisce acquistare da marchi che promuovono la diversità nei loro annunci.
Numeri che non lasciano grandi dubbi e allora qual è il problema? Secondo Facebook, bisognerebbe cercarlo nel backstage: troppo spesso è la mancanza di diversità all’interno dei team creativi e negli uffici marketing e direzionali a determinare comunicazioni stereotipate e mancanza di diversità, che rispecchiano semplicemente la realtà di chi li produce e non quella del target cui il brand si rivolge. Un problema da non sottovalutare e che esige ed esigerà nuove politiche interne alle aziende, per potere parlare ad una società ormai cambiata che sempre meno si rispecchierà in una comunicazione che rischia di essere sempre più egoriferita.