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Razzismo, con la pandemia aumentano le discriminazioni in Europa: “l'afrofobia” colpisce di più le donne

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

ROMA - Se i cittadini europei sono provati da un anno di pandemia e di restrizioni, va molto peggio per chi ha un'origine africana o mediorientale. Colpa degli stereotipi, delle disuguaglianze e dell'eredità coloniale. Lo sostiene la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa, la bosniaca Dunja Mijatovic, che pubblica oggi un nuovo documento su afrofobia e discriminazione. Nei mesi scorsi la Commissaria ha incontrato i rappresentanti delle maggiori organizzazioni europee che combattono razzismo e pregiudizi. Ne emerge un quadro preoccupante.

Donne migranti e musulmane. “La pandemia ha mostrato e amplificato disuguaglianze già esistenti da tempo, ha messo in risalto tutta la debolezza delle istituzioni nella capacità di tutelare i gruppi a rischio”, si legge nel rapporto. Le più esposte sarebbero le donne di origine africana e le donne migranti che lavorano come domestiche, specialmente se musulmane. Ad esempio, in diversi casi presi in esame le strutture sanitarie hanno negato o ritardato gravemente l'accesso alle cure per queste donne. Inoltre, nei quartieri più poveri delle città d'Europa i migranti di origine africana sono stati spesso accusati di portare il Covid19 o altre malattie. Questo non può che accrescere i pregiudizi e facilitare gli abusi.

Il danno degli stereotipi. Tanto razzismo fonda le proprie radici in pregiudizi difficili da estirpare. Molto incidono ancora gli stereotipi sul colore e sull'origine etnica, sostiene un gruppo di esperti Onu che ha contribuito al documento. Questi stereotipi sono diffusi soprattutto dai media tradizionali e dai social, dalla propaganda politica e persino dagli apparati della Giustizia. I dispositivi di sicurezza che creano profili su base etnica la dimostrazione di questa tendenza. Nelle fasi di lockdown, ad esempio, la polizia è stata accusata spesso di usare maniere più forti nelle aree abitate da immigrati e nei centri per richiedenti asilo.

Solo la punta dell'iceberg. “La riforma della polizia è una questione che va affrontata da tempo in molti Paesi europei”, aveva già scritto l'anno scorso la Commissaria Mijatovic, dopo l'omicidio di George Floyd negli Stati uniti e le conseguenti proteste, anche in Europa. “I controlli e l'uso eccessivo della forza sono spesso solo la punta dell'iceberg del razzismo quotidiano che subiscono queste persone. La discriminazione è strutturale e ancora tiene milioni dei nostri concittadini, quelli appartenenti alle minoranze etniche, ai margini della società”.

Pochi dati e tanta disparità economica. Altro fattore negativo è la mancanza di strutture indipendenti che in ogni Paese registrino i casi di intolleranza e crimini d'odio, per poi confrontare i dati su scala europea. Ovviamente, senza informazioni dettagliate e certe poi è difficile assistere le vittime, sempre meno inclini a denunciare e a esporsi con le autorità. Il razzismo strutturale si manifesta soprattutto nelle disparità economiche e nell'accesso al lavoro. I diversi rapporti degli osservatori sui diritti umani concordano che le persone di origine africana hanno opportunità limitate per i lavori più qualificati, per il pubblico impiego e i servizi essenziali, come l'assistenza sanitaria, la scuola e la casa. Succede anche a chi ha un grado d'istruzione maggiore, lauree e master, ma deve ripiegare su lavori manuali e pagati meno.

Le colpe del colonialismo e il ruolo della scuola. “L'afrofobia è collegata alle strutture repressive del colonialismo e dello schiavismo transatlantico”, ribadisce la Commissaria, così come si era già pronunciato in passato il Parlamento europeo. Il 26 marzo del 2019 lo stesso Parlamento aveva adottato una “Risoluzione sui diritti fondamentali delle persone di discendenza africana in Europa”. Una data storica per molti, perché per la prima volta le alte istituzioni europee avevano riconosciuto pubblicamente che persiste il razzismo verso i discendenti africani. Tuttavia, nei Paesi membri ci sono ancora resistenze ad affrontare il passato coloniale e la partecipazione allo schiavismo.

Atti simbolici e scuse formali. Si fa troppo poco per ammettere quelle responsabilità con atti simbolici e scuse formali, come ad esempio ha fatto il governo belga due anni fa nei confronti del Congo, del Burundi e del Ruanda. Né sono previste forme di riparazione economica verso le ex colonie o verso i figli, i nipoti di quelle storie di segregazione e sfruttamento. Per questo motivo, nelle conclusioni del rapporto si raccomanda un'azione più incisiva nell'istruzione e nella formazione. La storia coloniale è una materia quasi inesistente nelle scuole di tutta l'Europa. I più giovani non hanno alcuna consapevolezza del legame tra lo schiavismo di allora e la discriminazione di oggi verso gli afrodiscendenti, i migranti e i rifugiati. Anzi, spesso sarebbero gli stessi testi scolastici a riprodurre certi stereotipi sull'Africa o sul colore della pelle.

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