Erdogan, attacco senza precedenti ai diritti umani
Dalla notte del 17 marzo in 72 ore abbiamo assistito ad una scarica di fendenti allo stato di diritto e ai diritti umani fondamentali senza precedenti da quando il Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) è al potere in Turchia.
Dapprima, il 17 marzo, vi è stata la richiesta della messa al bando del terzo maggior partito del paese, il Partito democratico dei popoli (HDP), accompagnata da quella dell’interdizione di 687 suoi membri dall’esercizio dell’attività politica perché accusati di sostegno al terrorismo.
Poi, il 19 marzo, l’uscita, per decreto presidenziale, dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, ratificata dalla Turchia il 14 marzo del 2012 dopo averla sottoscritta l’11 maggio del 2011. Erano quelli altri tempi per l’AKP.
E in quella stessa notte è stato defenestrato il Governatore della Banca centrale Naci Ağbal. È la quarta volta in 20 mesi che Erdoğan sostituisce il presidente della massima istituzione che controlla la politica monetaria del paese per aver espresso una politica economica non in linea con la sua visione poco ortodossa dei bassi tassi di interesse, denominata dai critici “erdoğanomics”, secondo la quale gli alti tassi di interesse genererebbero inflazione. Come è noto, il leader turco intende esercitare il pieno controllo della Banca centrale.
Per questo motivo la Lira turca è di nuovo precipitata quasi ai minimi storici e ha registrato un crollo del 15%.
La cancellazione dall’ordinamento turco della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione della violenza contro le donne, che era vincolante per la Turchia, era da più di un anno al centro delle richieste dei circoli islamisti e dell’estrema destra che costituiscono lo zoccolo duro della base militante ed elettorale dell’AKP e del suo prezioso alleato, Devlet Bahçeli, presidente del Partito del movimento nazionalista (MHP), formazione politica dei Lupi Grigi, con basi ideologiche nell’estrema destra panturanica, xenofoba e antioccidentale.
Il richiamo all’uguaglianza di genere e la promozione dei diritti LGBTIQ presenti nella Convenzione di Istanbul erano da sempre indigesti per i conservatori turchi.
Erdoğan vuole rafforzare i suoi legami con i circoli islamici anche più radicali, prima che si tengano le elezioni previste per il 2023, ma che potrebbero essere anticipate a quest’anno.
L’elettorato piu liberal lo ha abbandonato ed ora è alle prese con una emorragia di consensi che pensa di arrestare cercando di attrarre a sé l’elettorato più conservatore.
Subito si è levata la protesta delle donne che hanno manifestato in diverse città della Turchia, come a Istanbul, Ankara, İzmir, Eskişehir, Çorum, Balıkesir, Diyarbakır, Konya, Denizli, e Şanlıurfa.
La più grande manifestazione è quella che si è tenuta su invito della piattaforma ″We Will Stop Femicide″ e del ″Consiglio delle Donne″, a Kadıköy, nella megalopoli sul Bosforo, con le seguenti parole d’ordine rivolte a Erdoğan: “Non puoi cancellare la nostra lotta di decenni. Non rinunceremo mai ai nostri diritti, li abbiamo conquistati lottando con i denti e con le unghie. Non ti permetteremo di condannarci a subire la violenza e l’omicidio”.
Domenica alle ore 21, le donne hanno dato vita, affacciate alle finestre e ai balconi, alla ″tencere ve tava çalmak″, cioè alla “battitura di pentole e padelle”.
Ma perché il presidente turco ha deciso di rinnegare un trattato internazionale che nel 2011 era un fiore all’occhiello della sua politica riformatrice di avvicinamento all’ordinamento dell’Unione europea? Il direttorato delle Comunicazioni presso la presidenza della Repubblica turca in un suo comunicato, di lunedì 22 marzo, esprime molto bene le motivazioni che sono alla base di questa decisione: “la Turchia si è ritirata dalla Convenzione di Istanbul perché il trattato internazionale considera l’omosessualità una condizione umana del tutto normale e ciò è incompatibile con i valori sociali e familiari della Turchia”.
In sintesi, il governo turco ritiene che la Convenzione di Istanbul incoraggi gli orientamenti non eterosessuali e che dunque minacci l’istituzione fondamentale della famiglia.
Anche la ministra della famiglia, Zehra Zümrüt, in un suo tweet, ha spiegato il motivo di questo ritiro: «A tutelare le donne ci sono già le leggi nazionali, a partire dalla nostra Costituzione. Il nostro sistema giudiziario è dinamico ed è abbastanza forte da implementare nuove leggi. La carta contro la violenza di genere non ci serve».
Ma i numeri dicono ben altro. Secondo un rapporto Bianet, il 38% delle donne turche ha subito violenza almeno una volta nella propria vita.
Nel solo mese di febbraio di quest’anno, 33 donne sono state uccise, vittime di violenza da parte dei loro partner. In totale sono 57 le donne vittime di violenza nel solo mese febbraio. Nel 2020, 284 donne sono state uccise dagli uomini.
Un rapporto di Sezgin Tanrıkulu, avvocato per i diritti umani e parlamentare del maggior partito d’opposizione, il Partito repubblicano del popolo (CHP), pubblicato in occasione della Giornata internazionale della donna dell′8 marzo, rileva che negli ultimi 18 anni, da quando l’AKP è al potere, 6.732 donne sono state uccise da uomini.
Erdoğan insiste sempre sul fatto che i valori occidentali sono valori importati e che non appartengono alla tradizione turca e che dovrebbero essere soppiantati da quelli locali e nazionali (Yerli ve Milli). Per questo sta smantellando stato di diritto e diritti umani.
I diritti di genere sono considerati dal presidente turco valori occidentali, importati e dunque non appartenenti alla tradizione turca.
La visione della nuova Turchia di cui parla tanto il capo dello stato consiste nel recupero dei valori locali e nazionali che secondo lui rappresenterebbero le radici dell’identità turco-islamica che la rivoluzione kemalista aveva represso, cancellato, introducendo appunto valori estranei.
E questa visione della nuova Turchia trova un humus molto presente in questo paese in cui è ancora radicata l’ideologia nazionalista e islamista plasmata dai partiti politici di destra fin dagli anni ’50, piena di risentimento conservatore/islamista che ora è alimentato dal partito di Erdoğan che vuole imporre appunto una nuova ideologia ufficiale.
Ma questo si scontra con l’altra metà della Turchia che è attenta ai valori universali dei diritti dell’uomo e che non ha intenzione di arrendersi.
Lo dimostra anche un sondaggio condotto da Metropoll nella scorsa estate che rivela che la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica turca, il 63%, è contraria all’uscita dalla Convenzione di Istanbul e che solo il 17% si dichiara favorevole.
Ma Erdoğan è convinto che possa recuperare i consensi perduti toccando le corde della identità nazionalista-islamista che gli aveva garantito fin qui il successo assieme alle correnti del conservatorismo-democratico e liberale che nella prima fase di vita dell’AKP erano molto presenti e influenti.
Ma ora queste correnti liberali lo hanno abbandonato e intanto la società turca si va sempre più trasformando ed emancipando e il Presidente sembra non essere più in grado di interpretare gli umori profondi del paese e le preoccupazioni più avvertite dai cittadini che sono quelle economiche e quelle per la democrazia, come dimostrano diverse inchieste.
Il capo dello Stato teme che l’agguerrito movimento LGBTIQ turco possa essere influenzato da quanto sta accadendo in diversi paesi d’Europa, con il riconoscimento delle coppie omosessuali e col matrimonio egualitario.
Recentemente il ministro dell’Interno Süleyman Soylu ha chiuso il prestigioso Club di studi LGBTIQ del Bosforo perché alcuni suoi membri avevano disegnato la bandiera arcobaleno sulla Kaaba, il luogo più sacro dell’Islam. Quattro di essi erano stati arrestati con l’accusa di “insulto ai valori religiosi”.
Soylu li aveva definiti “pervertiti” e la bandiera arcobaleno è diventata uno dei simboli della rivolta studentesca.
L’alleato di governo più prezioso per Erdoğan, Devlet Bahçeli, ha recentemente definito gli studenti ″terroristi e serpenti le cui teste devono essere schiacciate″.
E il Presidente turco li aveva a sua volta definiti ″vandali″ e ″provocatori″, ″giovani sciagurati″ che le mamme dovrebbero tenere d’occhio. “Non ascoltate le lesbiche!”, aveva consigliato Erdoğan alle donne del suo partito; le lesbiche sono ″donne incomplete″, aveva detto.
Sono lontani i tempi in cui il Presidente turco si esprimeva come un difensore dei diritti di genere con queste parole: “Anche gli omosessuali devono essere legalmente protetti nel quadro dei loro diritti e delle loro libertà”.
Ma questo Erdoğan appartiene a un’altra epoca.
Il presidente turco, che come è noto, dal 2018 non ha la maggioranza assoluta in Parlamento e dunque ha bisogno del suo prezioso alleato di estrema destra e gli ha offerto su un piatto d’argento la testa dell’HDP. Condizione questa, infatti, imposta al presidente turco dal leader di quello che è di fatto il partito dei Lupi Grigi.
Bahçeli ora sembra il “leader ombra” della Turchia, dopo aver “intrappolato” Erdoğan in un angolo con accanto gruppi di potere politico- affaristici, corrotti e vicini a ideologi dell’estremismo di destra-nazionalista, in un momento in cui il leader turco appare sempre più allo sbando, in piena difficoltà, soprattutto per la grave crisi economica che sta attraversando la Turchia.
Logorato e indebolito da diciotto anni di potere, il Presidente turco è anche alle prese con una faida interna al suo partito che ha vissuto già due scissioni con la fuoriuscita di leader storici e fondatori e non sembra più in grado di concepire e dettare una sua agenda e una sua strategia.
Ecco perché si affida oltre che al MHP anche al piccolo partito anti NATO, Vatan Partisi (Partito della Patria) e a circoli del nazionalismo estremo, a quelli islamisti e agli eurasisti che guardano alla Russia e alla Cina, tutte correnti, che seppur elettoralmente marginali, hanno non poca influenza nella società turca dal momento che, dopo il tentato golpe del 2016, sono tornate ad occupare posizioni di rilievo in particolare nelle Forze armate e controllano gangli vitali delle istituzioni del paese.
Erdoğan sembra convinto, col suo alleato Bahçeli, che potrà arrestare la sua emorragia di consensi coltivando l’elettorato di estrema destra nazionalista e quello dell’islamismo più radicale ed eliminando dalla scena politica ed elettorale il più insidioso partito d’opposizione, l’HDP.
In questo modo pensano di assicurare alla loro coalizione di governo il successo elettorale cercando di attirare nella loro Alleanza popolare anche il piccolo partito islamista, Saadet Partisi (Partito della Felicità) di Temel Karamollaoğlu che al momento è vicino quella dell’opposizione, cioè all’Alleanza della Nazione che è costituita dalla maggiore forza d’opposizione, il Partito repubblicano del popolo (CHP), e dal Partito Buono (İYİ Parti) di Meral Akşener, di centro-destra.
Per questo il presidente turco si starebbe preparando ad elezioni anticipate che, secondo molti osservatori, potrebbero essere annunciate tra non molto tempo. E intanto cambia i confini di quattro province dell’Anatolia, quelle di Diyarbakir, Ordu, Giresun e Muş, per modificare i collegi elettorali e riequilibrare l’elettorato a favore dell’AKP e del suo alleato MHP.
È una pratica questa che gli americani definiscono di Gerrymandering, manipolazione dei distretti.