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Stipendio: parità salariale uomo-donna

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Legge sulla parità salariale in Italia: gender pay gap tra lavoratore uomo e lavoratrice donna.

Si sente spesso dire che le donne guadagnano meno degli uomini e che esiste un gender pay gap tra lavoratore uomo e lavoratrice donna. Dall’altro lato, è a tutti noto che i contratti collettivi non fanno distinzione di sesso, specie con riferimento alle norme sulla quantificazione della retribuzione e del cosiddetto “minimo sindacale”. Se si prende un Ccnl, l’entità dello stipendio non varia tra uomini e donne. Perché mai allora esiste questa differenza, tanto più se si considera che, in Italia, esiste una legge sulla parità salariale?

Il più delle volte, quando si dice che le donne guadagnano meno dei colleghi uomini ci si riferisce solo alle mansioni di dirigente, e quindi a una percentuale ben più ridotta rispetto alle altre categorie lavorative. Quindi, dire che più della metà delle donne ha uno stipendio più basso dei colleghi maschi significa riferirsi non a un numero assoluto di lavoratrici, ma solo a tale fetta. Il che riduce sensibilmente i numeri del fenomeno.

Vediamo allora come si atteggia la nostra legge sulla parità salariale uomo-donna e quali sono le norme che pongono il divieto di discriminazione dello stipendio.

Stipendio: legge sulla parità uomo-donna

Come a tutti noto, l’articolo 3 della Costituzione garantisce la parità dei diritti tra uomo e donna. L’articolo 37 della Costituzione stabilisce poi che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. 

In più, l’articolo 28 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198) vieta qualsiasi discriminazione, diretta e indiretta, concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale. Stabilisce poi che «I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne ed essere elaborati in modo da eliminare le discriminazioni».

Completa il quadro delle norme sulla parità uomo-donna sul lavoro l’artico 16 dello Statuto dei lavoratori in base al quale è vietata la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio, motivati da ragioni sindacali, politiche, religiose, razziali, per motivi di lingua o di sesso, di handicap, di età, basati sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.

Divieto di discriminazione stipendio uomo donna

Anche la Cassazione [1] ha stabilito che, a parità di lavoro, è illecito retribuire una donna in misura minore di un uomo. È possibile un trattamento differenziato tra i sessi soltanto nel caso di concreta diversità delle mansioni [2].

Chiaramente, il principio vale anche al contrario: commetterebbe quindi una discriminazione il datore di lavoro che dovesse pagare uno stipendio più elevato a una donna rispetto al collega uomo svolgente le medesime mansioni.

Tuttavia, non esiste una norma, in Italia, che stabilisca il principio di pari trattamento tra uomo e donna. Questo significa che nessuna legge obbliga il datore di lavoro a retribuire nella stessa maniera lavoratori che svolgono le stesse mansioni all’interno della stessa azienda ma, per giurisprudenza, va rispettata solo la retribuzione minima prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro. 

Se è vero quindi che non esiste un diritto soggettivo del lavoratore subordinato alla parità di trattamento, è al contrario possibile una situazione di disparità di trattamento. 

Detto in parole più semplici, la parità di trattamento tra uomo e donna – e quindi il divieto di discriminazione – sussiste solo con riferimento al minimo sindacale. Il datore però, una volta rispettato tale limite, è libero di pagare di più un uomo rispetto a una donna. Lo ha detto la Cassazione a Sezioni Unite [3], secondo cui il contratto collettivo ben può essere derogato se contiene condizioni più favorevoli al lavoratore. Si tratta però di un’ipotesi limite e raramente ricorrente: è assai difficile infatti che un’azienda corrisponda uno stipendio superiore rispetto al limite previsto dalla legge. 

Naturalmente, restano ferme tutte le altre norme sulla sicurezza del lavoro, rispetto del riposo e delle ferie, licenziamenti e tutti gli altri diritti dei lavoratori che non possono variare in base al sesso di questi.

Sempre la Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito – con riferimento alle disparità di trattamento che si verificano, ad opera del datore di lavoro, nel corso del rapporto – che l’attribuzione ingiustificata ad un lavoratore di un determinato beneficio non garantisce, anche agli altri lavoratori che si trovino nella stessa posizione, un diritto ad ottenere lo stesso beneficio, né può determinare l’insorgenza di un danno risarcibile. 


note

[1] Cass. sent. n. 2054/1980.

[2] Cass. sent. n. 209/1984.

[3] Cass. S.U. sent. n. 4570 del 17.5.1996.

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