L’appello delle leader: “La pandemia sta riportando le donne indietro, bisogna investire per difendere diritti e lavoro”
Saara Kuugongelwa-Amadhila aveva 38 anni quando fece fare alla Namibia un passo storico: per la prima volta dall'indipendenza i conti del Paese andarono in attivo, con un avanzo di bilancio che interruppe la catena di bilanci in deficit che durava da 15 anni. Era il suo primo mandato da ministro delle Finanze, ne seguì un secondo. Oggi Kuugongelwa-Amadhila è primo ministro del suo Paese, eletta nel 2015, e si è trovata ad affrontare la seconda grande crisi della sua carriera, la pandemia di Covid. "Quando mi impegnai a ridurre il debito della Namibia molti erano scettici, pensavano che non ce l'avremmo fatta. Quando è iniziata la pandemia di Covid mi sono ricordata di quei momenti difficili e mi sono detta: con il supporto di tutta la comunità, con coraggio riusciremo a battere anche questa crisi", racconta durante l'incontro organizzato dal Global Summit of Women e dal Women20 - il gruppo di lavoro sulla parità di genere del G20 diretto da Linda Laura Sabbadini - dedicato alle leadership femminili.
Con lei la prima ministra di Aruba, Evelyn Weber-Croes e la ex presidente del Kosovo, Atifete Jahjaga, rappresentanti di una minoranza ancora molto esigua: le presidenti nel mondo sono ancora solo 11, 14 i primi ministri, nonostante le donne rappresentino più della metà della popolazione globale.
"Shecession": la pandemia ha colpito le donne più degli uomini
La pandemia ha avuto un impatto particolarmente significativo sul mondo femminile: "Questa è una "shecession" (recessione al femminile, ndr) è una crisi di cura. Abbiamo bisogno di donne leader. Sanno cosa è meglio fare. La quantità crea qualità", dice Linda Laura Sabbadini. "Se le donne non aumentano la loro presenza nei luoghi decisionali, la situazione dei nostri Paesi e soprattutto delle nostre democrazie può peggiorare".I dati raccontano la shecession: le Nazioni unite stimano che nel 2021 ci saranno 118 donne di età compresa tra 25 e 34 anni in povertà estrema per ogni 100 uomini della stessa età. In Europa e in Asia centrale, il 25% delle lavoratrici autonome ha perso il lavoro, rispetto al 21% degli uomini. L'Organizzazione internazionale del lavoro stima che circa 140 milioni di posti di lavoro a tempo pieno potrebbero andare persi a causa della pandemia, e che l'occupazione femminile è il 19% più a rischio rispetto a quella degli uomini. La pandemia ha fatto aumentare le violenze domestiche, il gap salariale, le difficoltà per le donne di far fronte ai lavori di cura.
"La crisi sanitaria e sociale rischia di farci fare dei passi indietro strutturali sui diritti delle donne, servono investimenti per tutelare il loro lavoro, i salari, la sicurezza", dice Evelyn Weber-Croes, l'avvocatessa esperta in tassazione che a novembre del 2017 è diventata la prima donna primo ministro di Aruba, l'isola dei Caraibi che fa parte del regno dei Paesi Bassi. L'economia di Aruba si fonda per l'80% sul turismo, la pandemia ha quasi azzerato le entrate del Paese.
Weber-Croes ha dovuto chiudere i confini a marzo dello scorso anno, ha messo in piedi una commissione di emergenza per gestire la crisi e un piano di stimolo all'economia. E' riuscita a riaprire le frontiere quattro mesi dopo e a negoziare un prestito con i Paesi Bassi. Il 20% della popolazione dell'isola ora è vaccinato, e la premier conta di arrivare al 30% entro un mese.
Dalla Namibia al Kosovo, l'appello delle leader: investire sulle donne
I casi di Taiwan, della Nuova Zelanda che sono usciti prima e meglio dalla pandemia, dice, dimostrano "che c'è bisogno di far crescere le leadership femminili, un obiettivo per cui mi sono battuta e continuerò a battermi". Aruba ha il 37% di parlamentari donne, la media mondiale è del 25%. In Namibia la percentuale è del 44%. "Abbiamo lavorato molto sull'equilibrio di genere, ogni ministro ha una vice donna e ogni ministra un vice uomo, le donne rappresentano il 39% dell'esecutivo", racconta Kuugongelwa-Amadhila che ha dovuto sospendere molti investimenti pubblici, costruzione di scuole, ospedali, reti idriche per dirottare i fondi sulla lotta alla pandemia. "Abbiamo sostenuto le famiglie, i lavoratori, le imprese. Questo farà crescere il nostro debito ma il primo dovere era salvare vite. Ci rimetteremo in corsa e riprenderemo a crescere". Sugli strumenti per rafforzare la leadership femminile Kuugongelwa-Amadhila ha le idee chiare: "Sono a favore delle quote. Non si tratta di cambiare il modo in cui gli uomini vedono le donne, ma il modo in cui noi vediamo noi stesse, dobbiamo imparare ad avere fiducia nelle nostre capacità", spiega.
"Bring more people to the table", portare più persone al tavolo delle decisioni è il motto di Atifete Jahjaga, che è stata presidente del Kosovo dal 2011 al 2016 quando il Paese stava ancora curando le ferite della guerra e ora lavora con la sua The Jahjaga Foundation proprio sull'inclusione di donne, giovani, minoranze. Anche il Kosovo come la Namibia e Aruba è un esempio positivo rispetto alla media mondiale, il 48% dei parlamentari è donna.
Ma la tendenza non è diffusa. Il ruolo delle donne nei processi decisionali è cresciuto, riflette Sabbadini, "ma siamo lontani dall'uguaglianza: il processo è molto lento. Al ritmo attuale, l'uguaglianza di genere tra i capi di governo non sarà raggiunta fino al 2150, altri 130 anni. Le donne oggi hanno circa il 21% cento delle posizioni ministeriali a livello globale, solo tre Paesi hanno il 50% o più di donne in parlamento e 22 sono guidati da una donna".