Così Eleanor Roosevelt inventò la figura della First Lady
Eleanor Roosevelt è stata una militante di partito, un’esponente dei gruppi di riforma sociale e dei movimenti pacifisti, la prima first lady a conquistare visibilità pubblica con un’agenda politica spesso più a sinistra di quella del marito – su temi come i diritti civili, la condizione dei lavoratori, i diritti delle donne, la questione dei rifugiati, le politiche contro la povertà – la prima a tenere una rubrica quotidiana che, nel momento di maggiore espansione, venne pubblicata su più di 300 quotidiani statunitensi, la prima first lady a intervenire in rubriche radiofoniche e televisive, la prima a compiere, da sola, i cosiddetti goodwill tour, viaggi, apparentemente privati, che in realtà rispondevano a importanti obiettivi diplomatici.
Fu la prima First Lady ad assumere un incarico ufficiale – quello svolto presso lo Office of Civil Defense negli anni ’40 – e la prima ad essere iscritta a un sindacato (il Newspaper Guild).
Dopo il 1945 poi la sua fama si estese, con la nomina a membro della delegazione americana alla prima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e con quella a presidente della Commissione per i diritti umani che ebbe l’incarico di redigere la Dichiarazione universale approvata nel dicembre 1948.
Dopo la fine del suo mandato, nel 1952, Eleanor, oltre alle sue attività giornalistiche e radio-televisive, continuò a lavorare nella American Association for the United Nations e all’interno dell’ala liberal del partito democratico, partecipando attivamente alle campagne presidenziali di Adlai Stevenson negli anni Cinquanta e dando un contributo decisivo all’elezione di John F. Kennedy nel 1960. Fino alla sua morte Eleanor fu presente attivamente e sempre con ruolo di protagonista nel dibattito pubblico del paese.
Tanto è vero che Adlai Stevenson, proprio nei giorni della malattia della ex first lady, aveva inviato al comitato di valutazione la candidatura di Eleanor al premio Nobel per la pace.
Al centro di questo volume non vi è tanto la complessa e poliedrica vita di Eleanor Roosevelt quanto il suo impegno politico, soprattutto nell’ambito del liberalismo progressista statunitense, pur analizzato all’interno di una prospettiva di lungo periodo in grado di evidenziare gli aspetti di continuità e discontinuità del suo operato.
La storica Allida Black, colei che ha avviato la monumentale impresa di raccolta delle fonti e degli scritti di Eleanor Roosevelt, ha incoraggiato a considerarla come «un prisma» attraverso cui analizzare quelli che sono stati i temi al centro del dibattito politico statunitense; una metafora questa usata poi anche da altri studiosi.
La molteplicità dei temi affrontati da Eleanor Roosevelt nel corso del suo lungo impegno pubblico effettivamente la rende un punto di osservazione privilegiato per indagare quello spazio intermedio e permeabile fra l’azione politica e l’attivismo sociale, fra livello istituzionale e azione grassroot, fra riflessione teorica e definizione del discorso pubblico.
Tuttavia, più che un prisma, Eleanor Roosevelt rappresenta un case study interessante per leggere quello che è stato definito come «political thinking», vale a dire quell’insieme di pratiche e di «thought-practices» che costituiscono la base empirica della riflessione teorica.
Eleanor Roosevelt non era certo una pensatrice ma una donna che, trovandosi al “margine del centro”, se così si può dire, e allo stesso tempo all’interno di movimenti che lottavano per entrare nello spazio politico mainstream, si dimostrò capace di comprendere i meccanismi del potere, di saperli usare ed estendere, afferrandone limiti e obblighi e in questo modo contribuendo alla ridefinizione di concetti e categorie politiche.
A partire dalle sue esperienze nei movimenti di riforma delle donne, Eleanor, rifiutandosi di essere solo gli “occhi e le orecchie del presidente”, attribuì un nuovo significato a quel ruolo/non ruolo costituito dalla figura di First Lady, ampliandone gli spazi di azione, creando un network alternativo a quello del presidente, introducendo modalità e linguaggi propri del movimento delle donne, usando sapientemente i rapporti con la stampa e intrecciandoli con i metodi e i linguaggi tradizionali della politica partitica.
Tuttavia lo stile con cui Eleanor diede forma alla figura della First Lady fornisce anche una chiave di lettura importante per decodificare il modo in cui, soprattutto negli anni del New Deal, l’istituto stesso della presidenza stava modificando codici, linguaggi e modalità di azione.
Nel 1962 il giornalista inglese Alistair Cooke scrisse che Eleanor era colei che «aveva creato il 32° presidente degli Stati Uniti», implicitamente avvalorando l’interpretazione che ne è stata data successivamente, come colei che si era messa a disposizione della carriera del marito, pur dentro un progressivo ampliamento delle sue attività e dei suoi obiettivi.
Forse non è stato abbastanza valutato come l’attivismo di Eleanor Roosevelt non solo evidenziava il crescente ruolo delle cosiddette “coppie presidenziali”, aprendovi uno spazio per dispiegare paradossalmente l’autonomia femminile pur dentro i vincoli del “contratto sessuale”, ma interveniva anche significativamente sulle dinamiche di trasformazione e legittimazione dell’istituzione presidenziale e dei processi di costruzione del consenso.
da “Eleanor Roosevelt. Una biografia politica”, di Raffaella Baritono, Il Mulino, 2021 pagine 600, euro 35