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La Turchia legittima la violenza sulle donne, l'Europa deve intervenire

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Ci sono Stati che nel 2011 hanno firmato la Convenzione del Consiglio d’Europa contro la violenza sulle donne, la cosiddetta Convenzione di Istanbul, e non l’hanno mai ratificata. Ci sono Paesi come l’Italia che l’hanno firmata e successivamente ratificata – siamo stati tra i primi grazie anche alle sollecitazioni dei socialisti in parlamento – nonostante nel nostro Paese manchi ancora una politica organica di riferimento che garantisca diritti, piena protezione e tutela delle donne. Ci sono persino Paesi che l’hanno ratificata ma non l’hanno mai applicata, rendendola inefficace.

E poi c’è la Turchia. Il ritiro dalla Convenzione voluto da Erdogan è un fatto inaccettabile e pericoloso, una specie di “legalizzazione” della violenza. Una vera e propria regressione che ridimensiona in modo preoccupante la condizione delle donne sul piano dei diritti umani. Una decisione che ha portato migliaia di donne e uomini a riempire le piazze delle più importanti città turche, da Istanbul ad Ankara a Smirne. Nello scorso anno si sono registrati in Turchia oltre 300 femminicidi, 78 nel 2021 e oltre 200 donne sono morte in circostanze non chiare, il 38% delle donne è stato vittima di violenza eppure, quando abbiamo scritto all’ambasciatore turco in Italia, Murat Salim Esenlì, chiedendo di ricevere una delegazione socialista per poter ribadire che i valori della libertà e della democrazia non si possono sacrificare, il rappresentante del governo turco ci ha risposto con una lettera riservata – ignorando la richiesta di incontro – dove scriveva che «i diritti delle donne sono garantiti nella legislazione nazionale della Turchia con norme tra le più avanzate» e che «il ritiro della Turchia dalla Convenzione non deve essere interpretato come un passo indietro nella lotta alla violenza sulle donne». Aggiungendo, poi, che «alcuni elementi nel contenuto della Convenzione e varie pratiche hanno creato sensibilità nell’opinione pubblica e causato critiche in Turchia».

Una risposta che ci lascia basiti perché ci fa pensare che si sia chinato il capo di fronte alle pressioni di forze politiche autoritarie per motivi elettorali. Quando il rappresentante del governo turco sostiene che le leggi nazionali sono sufficienti a garantire la protezione delle donne, dimentica di dire, per citarne una, che l’ufficio del presidente Erdogan ha rilasciato dichiarazioni in cui denunciava la convenzione come il tentativo di un gruppo di persone di «normalizzare l’omosessualità, cosa incompatibile con i valori sociali e familiari della Turchia». Un doppio passo indietro, quindi, che include anche la tutela dei diritti della comunità Lgbt.

Abbiamo manifestato, con bandiere rosse e sciarpe viola, nei pressi dell’Ambasciata turca a Roma. Proprio mentre, durante le comunicazioni in aula al Senato sul prossimo vertice europeo, il Presidente Draghi esprimeva preoccupazioni che ci incoraggiano a proseguire questa battaglia di civiltà. L’Italia ha il dovere di intervenire guidando, in questo pezzo del Mediterraneo, la partita dei diritti civili. Lo dobbiamo fare per ragioni storiche, sociali ed economiche. Solleciteremo i socialisti europei verso azioni più incisive in Europa che portino la Turchia a rivedere la sua decisione. E perché intervenga contro l’escalation di violenza della repressione avviata da Erdogan verso i dissidenti e le minoranze. Da Bruxelles dovranno arrivare segnali più chiari. E se non è questo il momento perché l’Unione Europea batta un colpo, allora quando?

Enzo Maraio

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