Speranze frustrate che stanno frenando una transizione necessaria
Che cosa è accaduto, invece, da gennaio a oggi? Un decreto di marzo, di piccolo cabotaggio, ha affrontato la questione dei congedi per le madri con lavoro dipendente e con figli minorenni: ha sanato l’assurdità che costringeva le madri a prendere le ferie, ma remunera i congedi al 50% e la misura può essere utilizzata da pochi. Non parliamo delle partite Iva, che hanno avuto sino a ora minimi aiuti, figuriamoci per chi ha figli. Lo stesso, per il bonus baby sitter, che è previsto solo per categorie che devono lavorare “in presenza” o per le libere professioniste. Sono cento euro a settimana. A voi giudicare la congruità della manovra. Fino a oggi, finché dopo Pasqua non verranno riaperte in modo uniforme tutte le scuole, milioni di madri e padri sono stati a casa, in smart working e in grande difficoltà perché impossibilitati a svolgere con dignità la propria professione – pur sempre un lavoro, seppur da casa, con orari di lavoro da ufficio, se non peggio – conciliandola con la “non” professione della cura dei figli.
Recentemente il ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao ha affermato che il 60% delle famiglie non ha una connessione internet all’altezza. Sarà con il Recovery che miglioreremo, si spera, la penetrazione del digitale nelle nostre case, e sarà con lo stesso strumento che il lavoro delle donne raggiungerà la media europea del 62% di occupazione. Al momento, però, questo 60% di famiglie con poca connessione è indice del fatto che solo un terzo degli alunni è in grado di seguire – si fa per dire – la scuola in modalità Dad, o didattica a distanza.
Cosa avranno fatto, in questi quasi due anni persi, a casa, i restanti due terzi dei ragazzi? E cosa faranno i ragazzi delle scuole medie e superiori che ancora, dopo Pasqua, saranno costretti alla didattica digitale?
Eppure i giovani sono il nostro bene comune più prezioso. Insieme a chi ha fatto la “resistenza” con loro, i genitori. Le madri. Una resistenza costata i 100mila posti di lavoro alle donne, e al Paese il più basso tasso di natalità dal dopoguerra a oggi, come ha ben sottolineato questo giornale nei giorni scorsi con le analisi di Alessandro Rosina. Una ricerca Ipsos per WeWorld– un’organizzazione attiva in 27 Paesi, Italia inclusa, con progetti per garantire i diritti delle comunità più vulnerabili a partire da donne e bambini – ha certificato che il 60% delle donne con figli ha avuto un calo del 20% delle proprie entrate, mentre 3 donne su 10 (non occupate) con figli a causa del Covid hanno deciso di rinunciare alla ricerca di lavoro. Donne in stato di indigenza e povertà, come ha raccontato l’Istat. Ecco. Bisogna proprio cambiare punto di vista perché questi sacrifici non sono più sostenibili da chi ha fatto una scommessa gioiosa sul futuro. Sono passati 13 mesi dal primo lockdown: cosa è stato fatto per costruire un percorso di prospettiva economica per i più deboli – i bambini, i disabili, i nuovi poveri, le famiglie, le partite Iva, i liberi professionisti – che sono le categorie che più hanno pagato l’isolamento dal mondo?
In certi casi è vero, siamo il nostro lavoro. In altri casi, però, siamo i nostri figli. Guardiamo al Next Generation Eu anche in questo senso. Che sia una transizione sociale, che qualcuno ci mostri la strada per intraprenderla e che cominci ora.