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oltre le proteste agiamo. Perché da simbolo diventi azione per affrontare (sul serio) la questione della parità di genere e dei diritti delle donne- Corriere.it

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Ci risiamo. Simboli o sostanza? Le immagini dell’incontro tra il presidente della Turchia e i vertici dell’Unione Europea scorrono davanti ai nostri occhi, amplificate dai social media: due uomini incravattati che sorridono, seduti su due poltroncine, mentre una signora siede da una parte, su un divano che pare abbastanza comodo. La signora in questione è la presidente della Commissione europea, la tedesca Ursula von der Leyen, mentre con Erdoğan sulle poltroncine vediamo il presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel. Sappiamo bene che l’Unione europea è un’organizzazione assai complicata, a metà tra una istituzione internazionale e uno Stato, per cui i suoi organi non corrispondono pienamente a quelli ai quali siamo abituati. Uno degli aspetti di specificità riguarda proprio la Commissione e il Consiglio. La Commissione è composta da 27 “commissari”, uno per ogni Stato membro, che si occupano di specifiche materie, lavora con continuità, giorno per giorno, col compito di proporre la legislazione, assicurane il rispetto e di rappresentare l’Unione sulla scena internazionale. Il Consiglio europeo riunisce i capi di Stato o di governo dei Paesi membri (ne fa parte anche il presidente della Commissione) e definisce i grandi indirizzi, riunendosi quattro volte all’anno, con gran pompa, foto di gruppo, sorrisi e saluti. Chi è il “presidente dell’Unione europea”? Se ne può individuare uno? Oppure si tratta di una organizzazione “bicefala”, con due teste, che pari sono? E cosa dice al riguardo il “protocollo”, ovvero quel complicato insieme di regole che disciplinano le “precedenze”, assegnando i posti (nelle cerimonie, a tavola, sugli aerei) in modo da riprodurre la gerarchia dei rapporti istituzionali?

Nel putiferio che è seguito all’incontro e alle immagini diffuse in tutto il mondo, ci si è affannati da parte degli organizzatori a sottolineare che il “protocollo” è stato rispettato. Anzi, che è stato concordato tra il Paese ospitante e quello ospitato, in questo caso l’Unione europea, come sempre accade. Né c’è ragione per dubitarne. Ciò non toglie che quelle immagini abbiano disturbato molti e molte, e certamente non solo per una questione legata all’assetto istituzionale europeo e alla complicata relazione tra i due presidenti. Piuttosto, quel che ha provocato una reazione è stata la plastica rappresentazione della marginalizzazione della componente femminile della società e della politica.

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Eccoli lì, come sempre, i due uomini al centro della scena, e la donna messa da una parte, anzi è già tanto che non sia a darsi da fare in cucina. Insomma, la scena è stata vista come un simbolo, ovvero un “segno che sta al posto di” qualcosa di più generale: dove questo “qualcosa” è la condizione di marginalità delle donne. In Turchia, certo, un Paese che da pochi giorni, proprio attraverso un atto – peraltro di dubbia legittimità - del suo presidente, ha ritirato l’adesione alla Convenzione europea contro la violenza sulle donne, un importante trattato internazionale, firmato proprio ad Istanbul, sempre più messo in discussione dai nuovi regimi illiberali. Ma anche in Europa, dove il cammino verso la parità di genere appare ancora lungo e complicato, come mostrano tutti gli indicatori e le stesse difficoltà a incorporare questo principio nel Next Generation UE (spesso citato come Recovery Plan), il piano per la ripresa dopo la pandemia, che traccia il futuro dell’Unione europea, di cui si sta discutendo in queste settimane.

E quindi? Non c’è niente di cui lamentarsi, perché il “protocollo” è stato rispettato? Oppure siamo di fronte all’ennesima marginalizzazione di una donna, persino di una delle più potenti del mondo, da stigmatizzare in tutti i modi, lanciando appelli e petizioni? Ancora una volta, viviamo la forza e l’ambiguità dei simboli. Abbiamo bisogno di momenti altamente significativi e di rottura, ai quali aggrapparci per attirare l’attenzione, ancor più in questo mondo disperso e frenetico, dove le notizie durano lo spazio di un soffio. Benissimo. Purché essi non restino meri pretesti per un fugace clamore, e consentano invece di illuminare la sostanza delle cose e di affrontarla nella sua realtà. Nel nostro caso: vogliamo affrontare la questione della parità di genere e dei diritti delle donne, in Turchia e in Europa? Ebbene, cogliamo anche questa occasione, ma facciamolo sul serio, con parole e con azioni, a partire dai rapporti con la Turchia di Erdoğan e dal Recovery Plan.

* Tania Groppi è professoressa ordinaria di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Siena, dove insegna anche Diritto comparato. Ha diretto e dirige progetti di ricerca, nazionali e internazionali, sulla giustizia costituzionale, la democrazia costituzionale, il dialogo tra le corti. Ha partecipato ad attività di Institution building, tra l’altro, in Iraq, Repubblica democratica del Congo, Tunisia. È autrice di diversi volumi tra cui «Menopeggio» (Il Mulino, 2020) e curatrice dei volumi «The Use of Foreign Precedents by Constitutional Judges»

9 aprile 2021 (modifica il 9 aprile 2021 | 11:08)

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