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Turchia, in prigione per uno slogan. Vita nella paura di donne, curdi e gay- Corriere.it

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

9 aprile 2021 - 21:59

di Monica Ricci Sargentini

Havin Ozcan , 20 anni, appartenente alla comunità Lgbt

DALLA NOSTRA INVIATA ISTANBUL - Havin Ozcam ha 20 anni e tanta paura. È stato arrestato quattro volte negli ultimi tre mesi, l’ultima dieci giorni fa, ed ha ricevuto minacce di morte sui social da quando, lo scorso gennaio, ha preso parte alle manifestazioni contro la nomina del rettore dell’Università del Bosforo ad Istanbul, scelto direttamente dal presidente Erdogan. Ci aspetta in un angolo di Istiklal Caddesi, il famoso viale nel quartiere di Beyoğlu che sfocia in Piazza Taksim. Sopra la mascherina arcobaleno, due occhi dolci, un po’ spauriti. Si guarda intorno mentre ci conduce nella sede dell’Halkların Demokratik Kongresi, una rete sindacale vicina il partito filocurdo Hdp: «Qui mi sento al sicuro, ormai vivo come una persona braccata, oggi il mio obiettivo è non essere ucciso, per questo voglio lasciare il Paese».

Havin è nato a Denizli, una piccola città dell’Anatolia, da una famiglia curda con cui ha rotto i rapporti: «Mia madre è arrivata a puntarmi contro un coltello perché ero gay, mio fratello mi ha picchiato e per mio padre non esisto più. Se loro mi avessero appoggiato oggi sarei molto più forte». Arrivato a Istanbul per studiare economia, è accusato di incitamento alla sedizione e gli è stato confiscato il passaporto. «La polizia ci ha localizzato attraverso il mio account twitter @Havinlgbt, alle sei di mattina gli agenti hanno fatto irruzione in casa, ci hanno ammanettati dietro la schiena e ci hanno picchiati. Le cose che mi hanno detto non me le scorderò mai — spiega muovendo le mani nervosamente —, ci hanno minacciato di stupro, un poliziotto ci canzonava “come lo vuoi il manganello bagnato o asciutto?”. Volevo piangere ma non potevo».

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Ora il suo sogno è raggiungere un Paese accogliente: «Il Canada, l’Olanda o la Francia ma un giorno tornerò in patria, quando ci sarà la libertà».

Ma se c’è chi pensa di partire, c’è anche chi resta nonostante il clima sempre più soffocante che avvolge la Turchia in tema di diritti umani. A pochi passi da Gezi Park, dove nel 2013 si accese una delle proteste più potenti contro il governo di Erdogan, c’è la sede di Mor Çatı, una ong che da 30 anni si batte per i diritti delle donne offrendo loro una casa rifugio, l’unica non governativa in Turchia, e un centro di solidarietà che aiuta centinaia di turche ogni anno. Qui l’uscita dalla Convenzione di Istanbul, decisa da Erdogan lo scorso 20 marzo, è stata sentita come un colpo letale: «La Convenzione era la nostra rete di sicurezza nella lotta alla violenza contro le donne. Lo Stato, firmandola, si era impegnato ad agire — dice Elif Ege, 33 anni, che lavora a Mor Çatı dal 2019 — e noi potevamo reclamare la sua applicazione. Ora la difesa delle donne aggredite è più difficile. È come se avessero aperto la porta agli abusi». Selime Buyukgoze, 46 anni, fa volontariato nella fondazionale dal 2011: «Quando Erdogan ha firmato il decreto abbiamo ricevuto tantissime telefonate di donne che ci chiedevano: “Quindi ora è legale picchiarci?”. E abbiamo sentito dei poliziotti dire che non avevamo più appigli legali. Questa decisione ha rotto gli argini della violenza».

Lo sa bene Pelin Bu, una studentessa di 23 anni, che il 10 marzo è stata arrestata per aver partecipato alla marcia femminista dell’8 marzo a Istanbul. «Mi hanno incriminato, insieme ad altre 17 donne, per aver gridato “Corri Erdogan corri le donne stanno arrivando” e «Chi non salta è Tayyip». Slogan che sono stati usati nelle manifestazioni per anni ma che ora vengono considerati un insulto al presidente della repubblica. Io ero nello striscione che guidava il corteo, avevamo le mascherine ma sono riusciti lo stesso a riconoscerci. Hanno deciso che chi saltava era colpevole».

Femminista e deputata del partito filocurdo Hdp, Filiz Kerestecioglu è nella lista dei politici per cui la procura generale della Cassazione ha chiesto l’interdizione dall’attività politica per cinque anni. Un procedimento che, ora, ha subito una battuta d’arresto per vizi procedurali. Lei, 60 anni, giacchetta rosa, capelli ricci e un’aria combattiva, non sembra spaventata. «È dal 2015 che criminalizzano l’Hdp, hanno destituito i nostri sindaci, messo in galera in nostri leader, ora vogliono dissolvere il partito. Perseguono giornalisti, avvocati, chiunque dissenta. Ci chiamano terroristi ma noi non ci arrenderemo. Non ci possono togliere la speranza».

Avvocata, co-autrice del documentario «Le donne esistono» di cui ha scritto anche la musica, Kerestecioglu prepara la battaglia in Parlamento sulla Convenzione di Istanbul: «Erdogan non poteva decidere di uscire dal trattato, è la Grande Assemblea Nazionale che deve votare un atto del genere. Sono anni che noi donne combattiamo, continueremo a lottare e loro lo sanno».

9 aprile 2021 (modifica il 9 aprile 2021 | 22:13)

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