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I diritti delle donne disegnati da Anarkikka in «Smettetela di farci la festa»- Corriere.it

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

«Anarkikka è il nome del personaggio che ho creato ispirandomi a mia figlia Francesca, poi le persone hanno iniziato a chiamarmi così». C’è tutto nella storia di Stefania Spanò al secolo, appunto, Anarkikka: il suo legame forte con la figlia avuta in gioventù, essere sopravvissuta a una storia di violenza («non l’ho mai raccontata davvero», mi dice) e la perdita del lavoro che portò lei e il compagno, insieme da 26 anni, a rifugiarsi a Sperlonga, in una casa sperduta circondata dagli uliveti «dove potevamo ricominciare con meno di zero». Anarkikka«Smettetela di farci la festa»18 euroPeopleForse è proprio così, penso, che si diventa Anarkikka: vignettista, autrice di un blog su L’Espresso e del libro Smettetela di farci la festa, edito dalla casa editrice People – Tracce (Anarkikka ha anche illustrato il libro Stai Zitta di Michela Murgia).

Stefania Spanò è una donna forte, tenace, rimasta umile, che scopre il femminismo tardi: «Lo avevo studiato a scuola, per me era un movimento degli anni ’70 che aveva ottenuto molti diritti». Comprende solo dopo che quei diritti non sono acquisiti per sempre e che il femminismo, invece, lo è davvero per sempre. E quando la vita le impone di ricominciare «da meno di zero« ci pensa e decide di ripartire da lì: «Ho ripreso quello che mi piaceva fare, disegnare. E ho iniziato a parlare di violenza contro le donne, scoprendo di essere brava a usare le parole». I social network, all’inizio per lo più Facebook e Twitter, hanno fatto il resto: Stefania Spanò diventa Anarkikka, fumetto e inedita cronista, oltreché illustratrice, della violenza contro le donne, colei che «con le leggerezza di un battito d’ali sa planare sulle cose per poi inchiodarle al muro» (così Giulia Siviero la descrive nella prefazione del libro).

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Smettetela di farci la festa

Smettetela di farci la festa è soprattutto questo, un libro sui femminicidi e sulla violenza di genere raccontati con ironia e in punta di matita. Con i suoi disegni, Anarkikka parla a un pubblico più grande di episodi che rimarrebbero ancora relegati alla cronaca nera, li inserisce con sapienza nel fenomeno strutturale della violenza contro le donne, lo racconta; smaschera e denuncia la cultura patriarcale del possesso dell’uomo sulla donna, quel possesso che coinvolge e spesso uccide anche i figli e le figlie; soprattutto, dissacra il linguaggio usato dai media che non consente di svelare i meccanismi che sottostanno alla violenza contro le donne. Sono tantissime le vignette dedicate a questo fenomeno. Anarkikka mette a nudo e sferza il giornalismo in evidente difficoltà a raccontare il femminicidio, quello secondo cui gli assassini sono giganti buoni (il riferimento è il caso di Elisa Pomarelli), uomini che amano troppo, uomini delusi, uomini abbandonati, uomini visibilmente distrutti: «Ma solo «Un uomo che ha ucciso una donna» no eh?«, si chiede Anarkikka. E non dobbiamo abituarci a leggere che le donne sono state uccise da improbabili raptus, che Anarkikka corregge così: «Uccisa da un raptus UOMO«. L’ironia si fa poi sarcasmo quando la violenza inghiottisce anche i figli: «Non accettava di vivere senza la sua famiglia. erano la sua grande passione. sì, sterminata«. Non solo, nelle aule dei tribunali la linea difensiva per gli uomini violenti spesso è quella di rendere colpevoli le loro vittime, che in qualche modo se la sono meritata.

È una seconda violenza che si somma alla prima, e che Anarkikka intende smascherare: «Perché non ho denunciato. perché oltre a subire una violenza non volevo subire anche un processo«. e, in un’altra vignetta: «Alle donne che non denunciano non manca coraggio, manca il sostegno«. Di vignetta in vignetta, Anarkikka snocciola i numeri della violenza di genere: in Italia ogni tre giorni una donna è vittima di femminicidio, ogni quindici minuti è vittima di violenza, l’85% di questi reati sono commessi da partner, mariti o ex, 49.152 donne si sono rivolte ai centri antiviolenza nel 2017, 8 milioni e 816 mila donne nel corso della vita hanno subito molestie sessuali. Un fenomeno che viene disegnato e raccontato a tutto tondo: c’è spazio per il luogo comune secondo cui le donne se la cercano: «Se pensi che un paio di shorts giustifichino uno stupro, di troppo corto c’è solo il tuo cervello«, taglia corto l’autrice. E c’è spazio per la violenza contro le donne anziane, di cui si parla ancora troppo poco. Anarkikka disegna una inedita Cappuccetto Rosso: «Nonna, che occhio nero che hai. È per una caduta piccola mia«. Eppure, le nonne sono vere e proprie istituzioni indispensabili vista la mancanza di servizi a sostegno della maternità: «Mamma sarai nonna!« – «A tempo indeterminato, a progetto o a prestazione occasionale?«.

Tante vignette di Smettetela di farci la festa sono proprio dedicate ai temi della scarsa occupazione delle donne, all’economia della cura, al soffitto di cristallo e alla necessità delle quote di genere, ma anche all’insegnamento delle materie Stem per le ragazze. Memorabile la vignetta «I bambini sono un dono di dio. direi più un lascito…«, e quella «Le donne solleveranno il mondo!« – «Non vi basta che già lo portiamo sulle spalle?« E ancora, i temi dell’aborto, della obiezione di coscienza, del corpo delle donne, «A te mio corpo non vorrei dare peso», sulla pressione verso modelli irraggiungibili. Non manca poi uno sguardo oltre l’Italia: le donne di Kobane, la tratta delle donne in Nigeria, Romania, Albania e Bulgaria a scopo di sfruttamento sessuale. Vignette che ci parlano dei diritti umani, da cui Anarkikka è partita nel suo percorso di riscoperta di sé realizzando una mostra con Terre des hommes, e che l’ha spinta poi a intraprendere un viaggio con dodici donne alla volta della Siria violentata dall’Isis. Perché in fondo, e Anarkikka lo sa, i diritti delle donne sono diritti umani. Ho provato più volte, rileggendo Smettetela di farci la festa, a individuare dei capitoli e alla fine, non riuscendoci, glielo ho chiesto: «No, non ci sono capitoli, lo volevo così». E penso che Anarkikka abbia ragione: è difficile racchiudere la violenza di genere in capitoli definiti, in compartimenti stagni, perché è un fenomeno che si autoalimenta, una spirale da cui le donne – una volta entrate – faticano a uscire anche per questo. Smettetela di farci la festa è quindi una lettura per noi donne e anche per uomini, e un richiamo per gli uomini ad assumersi la responsabilità di un fenomeno che hanno creato. Perché come dice Anarkikka: «Di violenza non vorremmo morire, ma nemmeno vivere».

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24 aprile 2021 (modifica il 24 aprile 2021 | 07:45)

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