Giacomina Castagnetti e una lotta che dura da 95 anni
REGGIO EMILIA. «A vent’anni la vita è oltre il ponte, oltre il ponte comincia l’amore», recita la canzone più struggente dedicata alla Resistenza, la meravigliosa “Oltre il ponte” scritta niente di meno che da Italo Calvino. E vent’anni scarsi li aveva anche Giacomina Castagnetti, quando l’Italia festeggiò la Liberazione, la fine di oltre vent’anni di dittature, di violenze concluse con la guerra civile, le leggi razziali, le uccisioni, le deportazioni.
Il 24 aprile 1945 la città di Reggio Emilia viene ufficialmente liberata, la risalita dall’Adriatico delle truppe alleate sancisce quella che ormai era realtà da diversi giorni. Donne e uomini che da anni combattevano, in montagna, in clandestinità, muovendosi quotidianamente fra persone pronte a ucciderle, arrivano a Reggio per ritrovarsi, rivedersi senza paura.
Tra loro c’è anche Giacomina Castagnetti, oggi una delle testimoni più amate e conosciute non solo nel Reggiano. Da decenni racconta le sue battaglie, quelle della sua famiglia, quelle proseguite a lungo anche dopo la guerra in altre forme, lavorando per i diritti delle donne, di chi lavora.
Una delle foto più celebri del ‘900 reggiano è tutta sua, è lei a guidare il trattore R60 – creato in autonomia dalle maestranze delle Officine Reggiane durante l’occupazione del 1950-’51 – nella famosissima immagine che ricorda quel momento così intenso. Al suo fianco, le altre donne consigliere comunali nel territorio provinciale in quel periodo. E non erano molte, neppure nel Partico Comunista.Questa è Giacomina: la figlia della famiglia antifascista vessata, la partigiana che nella casa di campagna ospita fuggiaschi e resistenti e porta messaggi in bici, la giovane che nel 1948 a Rubiera viene arrestata durante una manifestazione operaia per i diritti dei lavoratori, la prima consigliera comunale di San Martino in Rio, la guidatrice del trattore popolare. La donna che, negli anni ’50, gira tutto l’Appennino a piedi e in corriera, in missione per conto del sindacato e dell’Udi, l’Unione delle donne italiane.
Nel nuovo millennio Giacomina ha parlato di fronte a migliaia e migliaia di persone, giovani e adulti, in Italia come in Germania, al teatro Valli come nel giardino della sua casa a Castelnovo Monti, per i Viaggi della Memoria, per iniziative storiche, per i Sentieri Partigiani. Nel 2015 è tornata alle Officine Reggiane assieme a decine di street artists, per i 65 anni dall’Occupazione della fabbrica. In questo 2021, assieme al vecchio compagno di lotte Giglio Mazzi, ha preso parte a una diretta seguita in mezzo Paese, dalla sala del Tricolore, il simbolo della sua legge. «Dobbiamo parlare e raccontare noi che ci siamo, io voglio spiegare ai giovani cosa sia la guerra, quanto sia brutta, quanto sia stato brutto vivere sotto una dittatura. Oggi è difficile rendersene conto, chi ha vissuto quegli anni deve raccontarli», sorride, infaticabile, a 95 anni compiuti.
E di cose da dire ne ha, tante, tantissime. La storia di Giacomina è la storia dell’Italia. Inizia a Roncolo di Quattro Castella in una famiglia contadina, antifascista, poverissima. Non conosce il proprio papà, morto in un incidente tre mesi prima della sua nascita. Si chiamava Giacomo, la nona figlia, la “cichina”, porterà il suo nome. I fratelli più grandi la coccolano, per quanto possono, le idee antifasciste però si pagano, già da bimbi. Alle elementari, le viene negato l’uovo di Pasqua perché non indossa la divisa nera voluta da Mussolini. Dagli anni ’60, la sua famiglia per Pasqua la riempie di ovetti al cioccolato. Negli anni ’30, da mezzadri, finiscono al Castellazzo, al confine fra Reggio e San Martino in Rio. Quel vecchio casolare diventa, dopo il 1943, un nascondiglio sicuro per i partigiani, per i prigionieri in fuga, per lo scambio di messaggi e non solo. Giacomina, giovanissima, gira con la sua bici, porta informazioni, avvisa, finge di vivere una vita lontana dall’antifascismo per agire liberamente. Le rubano la bicicletta, rischia di essere aggredita, non sono mesi facili. Arriva il 25 aprile. La guerra è finita.
Le battaglie e l’impegno no. A partire dai diritti delle donne, che solo nel 1946, per il referendum monarchia-repubblica, possono andare a votare. È una delle animatrici dell’Udi, oltre che del Pci e della Cgil. Prima consigliera comunale femminile di San Martino, nel 1948 finisce in galera, per una protesta a Rubiera. Nel 1950 le Reggiane, e lei, figlia di contadini, viene chiamata a guidare il trattore R60. Poi la montagna, i giri infiniti, la sua famiglia, la sua casa. Senza mai smettere di raccontare e di combattere. —RIPRODUZIONE RISERVATA