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Un Primo maggio di Pane e Rose

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

E’ un primo maggio sospeso. Sospeso perché la porta si è aperta: con le vaccinazioni, le opportunità del Next Generation Eu, gli incontri del governo con sindacati e imprese, le mobilitazioni. Eppure la sensibilità dice anche altro: che come avviene coi colpi di vento la porta può tornare a sbattere o malauguratamente a chiudersi.

Se fossimo in quel film a non essere finito è il duello tra il buono (vaccino, scienza e volontari),  il cattivo (il virus e chi ci specula), e il brutto (il lavoro che manca). Sono 900.000 i posti bruciati dalla pandemia, con la precarietà che penalizza donne, giovani e uno sfruttamento diffuso nei campi, nei sottoscala, nelle consegne di Amazon o per badanti e tate sotto pagate.

Un tempo l’Italia ha retto anni drammatici anche grazie alle piazze, al diffondersi dei consigli di fabbrica, di quartiere, di scuola, civici. Con l’immaginazione degli studenti e la dirompenza liberatoria delle donne si mescolavano solidarietà e uguaglianza. Oggi siamo in un mondo nuovo, dominato dai social, un mondo globale, dove i lavori mutano in fretta e le tecnologie stupiscono per potenza. Si  reinventano le città e si riscopre l’ambiente. Eppure la prevaricazione dei diritti questo tempo continua a segnarlo e in profondità.

Super profitti e super sfruttamenti, illegalità e strozzinaggi. I colossi big tech pagano tasse irrisorie  anche dove guadagnano cifre stellari.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza sarà più fragile senza i bravi sindaci e senza l’auto-organizzazione dal “basso”, che poi per me è quanto di più “alto” vi sia. Qualcuno si chiede che autunno sarà.  La nostra lealtà al governo non è in discussione. Ma l’autonomia del PD è preziosissima per spostare le lancette verso la dignità. Non è facile con questo esecutivo d’eccezione riuscire nel coraggio di Biden, più carico fiscale ai veri ricchi per redistribuire risorse e chance di vita a chi oggi arranca. Però è possibile coltivare e condividere la promessa di una società più giusta  e umana per quando vincerà un centrosinistra largo e di svolta. Svolta anche nel modo di guardare il mondo.

L’altro ieri due istituzioni italiane, la Camera dei deputati e il Tribunale di Roma, hanno vissuto una giornata significativa. Si è ascoltata Svetlana Tikhanovskaya e si è avviato il processo perché giustizia sia fatta per Giulio Regeni.

Svetlana è una donna che assieme ad altre ha scelto la via più coraggiosa e pericolosa, la ribellione pacifica, mai violenta, a un regime dispotico, quello guidato da Alexander Lukashenko che, dopo i brogli alle elezioni, ha inasprito la repressione, incarcerato e perseguitato.

Nell’ottobre scorso con l’attuale ministro, Andrea Orlando, siamo riusciti a entrare a Minsk. Abbiamo potuto incontrare esponenti del movimento civile, persone scampate alla prigione, giornaliste licenziate, un popolo determinato a resistere che chiede di poter votare in libertà e vivere in pace e democrazia. Il governo ai massimi livelli deve incontrare la leader bielorussa ed essere, anche così, tra i paesi protagonisti di azioni diplomatiche, sanzioni mirate a dittatori e autocrati. Putin reagisce col divieto di ingresso al presidente David Sassoli e alla vicepresidente Vera Juvara, ma l’Europa, quella che vogliano, tiene alta sempre la bandiera dei diritti umani.

Intanto altre donne, Paola Regeni e Alessandra Ballerini, sono l’immagine di un’altra battaglia: quella per il diritto alla verità. Maurizio Ferrera e Franca D’Agostini al legame tra potere e verità hanno dedicato un libro dove spiegano perché quel primato forse diventa oggi il primo dei diritti. Il processo non restituirà la vita a Giulio, né toglierà un grammo di dolore a chi gli ha voluto e continua a volergli bene. Dirà, però, che deve esistere una giustizia, e questo mentre Patrick Zaki rimane in carcere e cresce il movimento perché gli sia data la cittadinanza italiana. 

Domenica scorsa Papa Francesco ha pregato per le ultime 130 vittime naufragate nel Mediterraneo. Ha dato voce a “persone, vite umane, che per due giorni hanno implorato invano aiuto”. Ha evocato il “momento della vergogna”. Più di trentamila donne, uomini, bambini, sono morti in quel tratto di mare negli ultimi vent’anni: una strage di innocenti che pesa sulle coscienze. 

Sempre domenica, nella ricorrenza del 25 Aprile, il Presidente Draghi ha usato frasi importanti nel rammentare come in quella pagina di storia non tutti gli italiani furono “brava gente” perché a volte “non scegliere” diventa un fatto “immorale”. Parole che colpiscono e dicono  qualcosa a proposito di moralità pubblica.

E allora per la politica, per noi e la sinistra il grande programma è riconoscere, dare valore e unire quella parte di italiane e italiani che vogliono davvero essere “brava gente”. Ma siccome viviamo un tempo in cui molto si è consumato, anche nelle parole, dobbiamo sapere che contano gli esempi e le coerenze. Quelle coerenze che debbono impedire di continuare a commerciare in armi e fregate militari con la dittatura egiziana o delegare alla Guardia Costiera libica perché riporti corpi stremati in campi di detenzione disumani. Quelle coerenze sono le stesse che debbono indignarci contro la povertà e le tante periferie di abbandoni e solitudini che magari ci abitano vicino.    

Ormai abbiamo imparato che i diritti camminano uniti tra popoli e persone: che si tratti di lavoro, scuola, salute, giustizia, della legge Zan o della possibilità di esprimere un voto libero. Questo, credo, intendesse Enrico Letta quando ha parlato del bisogno di non scindere i diritti dalla certezza di una busta paga a fondamento di una esistenza libera e dignitosa. Le giovani democratiche mi hanno spiegato che tutto questo si chiama intersezionalità, i neomovimenti la definiscono  convergenza delle lotte, io di utopia dei diritti umani, a partire dalle donne, e della dignità di tutti. Un dire diverso per un’unica lingua. Mercoledì sera in un incontro sul vademecum dei segretari dei circoli di Milano metropolitana,  a spiegarlo con parole semplici e belle, è stata una segretaria, Valentina De Porcellinis,“il Pane e le Rose”, ecco di cosa avremmo di nuovo bisogno” ha detto. Sì ancora di “Pane e Rose” ha bisogno questo nostro tempo del mondo nuovo.

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