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[Equità Di Genere] Donne e mercato del lavoro: networking ed empowerment come leva strategica di sviluppo

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

DONNE E MERCATO DEL LAVORO: LA GENESI NEL XX SECOLO

La sfida che ci impegna e che sempre più ci metterà alla prova è: governare la complessità. L’economia e il mercato del lavoro sono cambiati e vivono una dinamica evoluzione che comporta mutamenti sociali accompagnati da sussulti e scossoni.

L’ingresso delle donne nel mondo del lavoro in misura massiccia fu conseguenza di una esigenza bellica; lo “sforzo bellico” richiedeva un incremento della produzione industriale e di un significativo numero di unità di personale sanitario che era possibile conseguire solo ricorrendo alla forza lavoro delle donne. Gli uomini erano al fronte e le donne uscirono dall’ambito domestico. Terminate le ostilità, gli uomini dismisero le uniformi per riprendere le loro occupazioni da civili. Successe, però, qualcosa di inaspettato: non tutte le donne furono disponibili ad abbandonare il lavoro per rientrare nei ranghi di una vita familiare da trascorrere dedicandosi esclusivamente ai carichi di cura parentali.

Dal dopoguerra ad oggi le donne hanno conquistato spazi nel settore privato e pubblico. Risale al 1960 la storica sentenza emessa dai giudici della Corte Costituzionale conseguente al ricorso promosso da Rosanna Oliva avverso la decisione di esclusione dal concorso alla carriera prefettizia. La sentenza n.33 della Suprema Corte riconosce alle donne l’esercizio di diritti e potestà politiche correlate alla carriera pubblica. Su iniziativa di dieci parlamentari donne, tre anni più tardi, l’Assemblea legislativa abrogava la ormai datata legge risalente al 1919 riconoscendo il diritto di accesso per le donne a tutte le carriere con la sola esclusione delle forze armate. L’ultimo baluardo della segregazione di genere, la carriera militare, cade allo spirare del XX secolo, nel 1999. Quattordici anni dopo, nel 2013, la prima donna nella storia delle forze armate riceve il grado di generale nell’arma dei Carabinieri.

Il nuovo millennio si apre con una modifica costituzionale, nel 2001 l’art. 117 della Costituzione viene riformulato: “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”. Dopo ventiquattro mesi è la volta dell’articolo 51 dove si fa menzione di azioni in applicazione del principio di pari opportunità. Le norme si mettono al passo con i tempi anche in sede europea e a cascata negli stati membri. In Italia è avvenuto con la legge 903/1977 sulla parità tra uomini e donne in materia di lavoro (discende dalla direttiva del Consiglio 76/207/CEE febbraio 1976) che all’art 1 non si presta ad equivoci: “È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività a tutti i livelli della gerarchia professionale anche [...] in modo indiretto [...] a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l’appartenenza all’uno o all’altro sesso”.

Se non poteva esserci discriminazione nell’accesso al mercato del lavoro la logica conseguenza avrebbe dovuto essere un adeguamento della terminologia ad una mutata condizione sociale, economica e culturale. Fu così che all’indomani dell’entrata in vigore della legge si parlò di utilizzo linguistico del maschile neutro, un’invenzione poco credibile poiché nella lingua italiana, diversamente da altri idiomi, non esiste il genere neutro. Si tentò di ripiegare sulla definizione di maschile inclusivo, intendendo con tale locuzione che il genere maschile ricomprendesse anche le donne che svolgevano lo stesso lavoro degli uomini: architetti, avvocati, medici, magistrati etc. Prima ancora che la lingua parlata era il linguaggio istituzionale a non far distinzioni.

L’aver affrontato la questione semantica significava riconoscere la presenza delle donne nel mercato del lavoro non più come omologate a un modello maschile ma come portatrici di una identità differente, e un adeguamento linguistico a una mutata realtà socio-economica era necessario. L’argomento fu trattato con metodo e rigore da Alma Sabatini alla fine degli anni Ottanta ne il Sessismo della lingua italiana, studio promosso dalla Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ispirato dal programma di Governo presentato alla Camera il 9 agosto 1983. Nel testo si legge: “La lingua italiana, come molte altre, è basata su un principio androcentrico: l’uomo è il parametro intorno a cui ruota e si organizza l’universo linguistico”. Successivamente entrò in vigore la Direttiva 23 maggio 2007 - Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche – emanata per dare attuazione alla Direttiva 2006/54/CE del Parlamento e del Consiglio europeo “[le amministrazioni pubbliche devono] utilizzare in tutti i documenti di lavoro ( relazioni, circolari, decreti, regolamenti etc) un linguaggio non discriminatorio come, ad esempio, usare il più possibile sostantivi o nomi collettivi che includano persone dei due generi (es. persone anziché uomini, lavoratori e lavoratrici anziché lavoratori)”.

Ci si domanda, dunque: esistono lavori da uomo e lavori da donna? Sempre più tende ad affermarsi, nella pratica, il superamento della dicotomia che vede il confinamento della forza lavoro femminile in alcuni segmenti del mercato del lavoro: insegnamento, sanità – solo raramente in ruoli apicali – cura della persona, pubblico impiego con funzioni amministrative. Sempre più spesso le donne scelgono carriere, professioni e mestieri considerati maschili. Negli ultimi dodici anni la programmazione UE ha fissato traguardi per l’innalzamento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per il superamento del divario del differenziale salariale. Gli strumenti di programmazione con cui ci misuriamo attualmente sono la Strategia per la parità di genere 2020-2025 - varata a marzo dello scorso anno della Commissione Europea - e la programmazione in corso del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In quest’ultimo dovrebbe essere prevista la certificazione di genere, per il settore pubblico e le imprese private, con l’obbligo della trasparenza delle retribuzioni. Pochi giorni fa la direttrice del settore welfare e statiche sociali dell’ISTAT, Cristina Freguja, in una intervista auspicava l’adozione di misure di ampio respiro, coordinate tra loro per una campagna di sensibilizzazione e formazione obbligatoria relativa alla necessità del superamento degli stereotipi di genere “per gli insegnanti, i media, le agenzie pubblicitarie e, in generale, per tutti gli attori che possono essere veicolo di pregiudizi, stereotipi e rappresentazioni della donna schiacciate sui ruoli tradizionali”.

DONNE E MERCATO DEL LAVORO: LA PERSISTENZA DEL BISOGNO DI UN RINFORZO POSITIVO. L’EMPOWERMENT È LEVA STRATEGICA

Il bisogno di conferme nella sfera lavorativa è un fenomeno che riguarda molte donne. Sentirsi dire: “Brava!” è ancora bisogno implicito. Acquisire sicurezza richiede una riflessione sulla consapevolezza del proprio bagaglio di conoscenze/competenze/abilità e sulla necessaria distinzione tra identità personale e identità professionale. La coincidenza, mediante automatica sovrapposizione di queste due identità, annichilisce le potenzialità dando luogo a scompensi che degenerano in depressione e paura in caso di perdita del lavoro e susseguente ricerca occupazionale in un diverso settore economico. Identificarsi con il proprio lavoro in un mercato, come quello italiano che presenta le caratteristiche di rigidità, segregazione, precarietà e differenziale salariale, conduce allo scivolamento verso la sclerotizzazione della capacità di visione e cambiamento.

È necessario ribaltare la prospettiva: non più la ricerca del rinforzo positivo esterno ma il raggiungimento della consapevolezza del proprio valore. Propedeutici al raggiungimento di tale consapevolezza sono il confronto e la decisione di dedicare del tempo ai propri progetti di empowerment andando al superamento del senso di colpa che la società contemporanea ancora pone sulle spalle delle donne: i carichi di cura familiare. Troppo spesso le occasioni di incontro non vengono colte perché vissute come sottrazione di tempo dedicato all’accudimento parentale. Il tempo che esula da quello lavorativo remunerato è destinato, per patto sociale (?), ai carichi di cura e quello da investire nella creazione di relazioni utili, in prospettiva, alla crescita professionale e l’avanzamento di carriera è percepito come “tempo libero” e - pertanto - estraneo alla funzione produttiva. L’empowerment è, ancora per molte donne, cosa da conseguire nel tempo lavorativo e non al di fuori di questo in cui ci si spoglia della funzione produttiva per assumere quella ri-produttiva che attiene alla sfera domestica, in cui non v’è spazio per nulla al di fuori dell’accudimento.

I congedi parentali e le finestre di tempo ricavate dalla contrattazione di secondo livello sono importanti così come i congedi per studio e formazione ma, ancor più importante, è il cambiamento culturale riguardo all’idea di famiglia con ruoli ascrittivi e immutabili in cui la donna sacrifica ambizioni, carriera e traguardi personali. Il sacrificio è conseguenza di una stigmatizzazione: carriera e ambizione sono atteggiamenti egoisti in contrasto con la fisiologica attitudine alla maternità. Un uomo ambizioso è un esempio positivo, una donna ambiziosa non lo è, per lei questo vocabolo si carica di connotazione negativa. Un uomo che ambisce a una posizione di potere è modello di determinazione, una donna che faccia altrettanto è bollata come ostinata e assetata di protagonismo e/o rivalsa. Il rapporto tra le donne e il potere nel mondo del lavoro passa, necessariamente, attraverso l’empowerment. È grazie a questo che si costruisce quel percorso di crescita che appare meno impossibile quando indicato da modelli di ispirazione, modelli positivi di donne che aprono la strada testimoniando la propria esperienza, raccontando successi e fallimenti, incoraggiando e in alcuni casi spingendosi ad assumere il ruolo di mentor per altre donne.

Quel che l’empowermnet insegna e deve portar con sé è il superamento della dimensione delle aspettative. È necessario liberarsi dalla trappola dell’insicurezza che spinge a non esplicitare le proprie richieste. Non dichiarare i termini di un rapporto lavorativo nella convinzione che altri apprezzeranno il nostro operato premiandoci nei tempi e modi in cui riteniamo - in assenza di qualsiasi pattuizione - giusto attenderci, non può che condurre a una corrosiva delusione. Sentirsi parte debole e perdente nella negoziazione innesca una pericolosa e frustrante spirale verso il basso. È necessario comprendere la necessità di abbandonare le aspettative a favore delle scelte. Le donne hanno bisogno di scegliere di investire su loro stesse per migliorare il proprio percorso professionale attraverso l’acquisizione di strumenti, l’accrescimento di consapevolezza sugli ambiti da rafforzare e sulla costruzione di un sistema relazionale ampio attraverso la partecipazione a reti strutturate. L’empowerment è materia da inserire nei contratti di lavoro e nella contrattazione di secondo livello ma, soprattutto, è scelta personale. Il modello socio-culturale si orienta, sempre più, verso un mercato del lavoro in cui le donne affermano aspirazioni, attitudini e talento, tutti aspetti che necessitano di tempo da dedicare alla propria crescita.

UNA RISPOSTA AGLI STEREOTIPI NEL MERCATO DEL LAVORO: ENTERPRISINGIRLS UN NETWORK LABORATORIO CHE VALORIZZA CREATIVITÀ E CULTURA ATTRAVERSO L’EMPOWERMENT. UN NUOVO SCENARIO PER LE IMPRESE, LE LIBERE PROFESSIONI E IL TERZO SETTORE

“Fatta l’Italia bisognerà fare gli italiani”. Prendiamo a prestito la celebre frase di Massimo D’Azeglio per mutuarla in “Fatto il mercato del lavoro bisognerà fare i lavoratori e le lavoratrici”, intendendo porre in altri termini la domanda: esiste una economia maschile e una femminile? Al quesito ha risposto sette anni fa un gruppo di imprenditrici, libere professioniste e donne del Terzo settore creando un network nazionale: EnterprisinGirls. Un laboratorio di empowerment volto a coltivare la crescita, personale e professionale, attraverso il lavoro in rete. L’associazione, che è stata riconosciuta best practice dalla piattaforma WEgate aperta alle associazioni di imprenditrici di trentadue Paesi, lanciata dalla Commissione Europea, lavora per promuovere il talento nel mondo del lavoro attraverso la condivisione di idee, progetti e attività.

Si è partiti dall’analisi di contesto individuando due gap che riguardano la presenza delle donne nel mondo del lavoro su cui intervenire: la condivisione in squadra e la creazione di relazioni come leva per lo sviluppo di sinergie e opportunità professionali e di carriera. Il lavoro di squadra appartiene al modello culturale e pedagogico anglosassone, è una modalità avulsa allo scenario italiano in cui si è allevati in uno spirito individualistico e fortemente competitivo. I brocardi, che svolgono la funzione di cristallizzazione dei comportamenti utili all’affermazione e il consolidamento di modelli sociali, soccorrono per meglio comprendere: “Chi fa da sé fa per tre”. In queste parole è racchiuso lo spirito che disincentiva la condivisione presentandola come un rallentamento del conseguimento dell’obiettivo prefissato, a cui si aggiunge, implicitamente, il rischio che la propria idea possa esser rubata. Lavorare con altre persone richiede maggior tempo e genera complicazioni relative alla gestione dei ruoli, la chiarificazione delle aspettative, la calendarizzazione delle attività, la suddivisione delle responsabilità, etc.

La condivisione comporta complessità. Ma è da questa, dalla condivisione, che nascono i progetti ambiziosi che producono – come in un processo biologico – una immediata duplicazione degli obiettivi: la realizzazione di un’idea e la possibilità di accrescere il proprio patrimonio di conoscenze e abilità relazionali. A lavorare in rete si impara ed è importante farlo perché l’economia e il mercato del lavoro sono sempre più proiettati verso l’adozione del network come modello organizzativo. L’economia è orientata alla creazione e gestione di modelli complessi. Ma come ci si comporta in una rete, come ci si integra in un modello complesso? È necessario acquisire competenze e abilità relazionali. Gli uomini le hanno sviluppate e affinate da tempo. Essi hanno compreso che la creazione di relazioni si traduce in opportunità di lavoro e di carriera. Le donne, arrivate dopo nel mercato del lavoro, devono recuperare il ritardo accumulato, liberandosi dai sensi di colpa in cui la società tende a indurle rispetto alla gestione della risorsa tempo.

Il lavoro di empowerment - trasversale a tutte le attività di EnterprisinGirls – è strategico soprattutto in settori che si caratterizzano per dinamismo e fragilità: l’impresa culturale e quella creativa. Realtà ampie che ricomprendono produzione di beni e servizi la cui crescita è legata al cambiamento del paradigma socio-economico. È in corso una transizione verso una società in cui il consumo di attività culturali veicolate da professionalità creative aumenta sia nel mercato domestico che in quello estero. Il mondo virtuale, la digitalizzazione e la gamification offrono strumenti per una fruizione che non conosce barriere fisiche. Le donne trovano in questo ambito uno spazio che unisce impegno lavorativo e passioni personali scontrandosi, però, con un limite: le conoscenze tecnologiche.

Il coding e lo sviluppo di prodotti ad alto tasso di innovazione richiedono una formazione alla quale le ultime generazioni, le ragazze di oggi, stanno avvicinandosi. Loro avranno domani il know how che manca, adesso, alle loro madri. La risposta che EnterprisinGirls conferma ogni giorno è: non esistono lavori da uomo e lavori da donna perché non esiste una economia maschile e una femminile, esiste un diverso approccio al lavoro che è il vero valore. Le donne non sono solo interessate al raggiungimento dell’obiettivo ma anche al come questo si raggiunge. Le soft skills intervengono ad arricchire le relazioni e aumentare il valore delle attività. L’impresa creativa e quella culturale si propongono l’obiettivo di condividere delle esperienze, si va oltre il livello della divulgazione puntando al coinvolgimento. L’elemento vincente è lo sviluppo del pensiero creativo come pensiero laterale: la cultura viene proposta come avventura che coinvolga i sensi stimolando un approccio critico e personale. La creatività si dispiega per generare effetto moltiplicatore attraverso attività lavorative innovative. I creativi e le imprese culturali propongono servizi immateriali per un pubblico ricettivo all’offerta, condizioni queste - dell’intangibilità e di un target interessato - da cui deriva una complessità nel posizionamento di mercato.

Vendere il lavoro creativo e i servizi culturali non è facile quanto vendere un prodotto tangibile con una funzione consolidata che, spesso, porta con sé valori intrinseci quali l’appartenenza a una tribù, status symbol, rafforzamento identitario. Il lavoro creativo e il settore dei servizi culturali, individuabile come segmento economico in crescita, sono tra quelli ad alta volatilità contrattuale: contratti precari e rigidità di mercato. Caratteristiche, queste ultime, che contraddistinguono l’occupazione femminile: precarietà e frammentazione contrattuale che si traducono in irregolarità contributiva con conseguente, insufficiente o minima, costruzione di tutele e maturazione di trattamento pensionistico. Se questa è la fotografia della realtà perché le donne scelgono di lavorare come creative o nelle imprese culturali? Perché a parità di condizioni precarie scelgono di seguire i propri interessi, valorizzare le competenze e sviluppare conoscenze e abilità. Le donne scelgono questo settore perché hanno iniziato, anche sostenute dalle madri, a cogliere l’opportunità di investire su loro stesse seguendo le proprie passioni. Il sentiero è tracciato, ci siamo messe in cammino.

EnterprisinGirls lo ha fatto sette anni fa sviluppando un modello replicabile: un metodo di lavoro on line e off line sviluppato seguendo la logica bottom up. Il network è un modello sviluppato per rispondere alle esigenze specifiche del contesto italiano, non calato dall’alto secondo un aggiustamento di matrice top down. Il tessuto produttivo della nostra economia - e la maggioranza delle imprese femminili - è caratterizzato dalla micro dimensione. Realtà produttive non strutturate sprovviste delle risorse necessarie ad acquistare servizi strategici: comunicazione, marketing, branding, promozione, posizionamento di mercato e acquisizione di soft skills. Dalla diagnostica aziendale si traggono le informazioni utili a costruire e calibrare attività per promuovere, la singola o più associate, offrendo un sistema di competenze a condizioni accessibili. Una rete che fornisce servizi di consulenza strategica, organizza percorsi di empowerment, stimola il confronto generazionale e partecipa al dibattito di cambiamento culturale sulle tematiche di genere dialogando con scuole, università, istituzioni, soggetti privati e altre reti.

Attraverso una piattaforma ad accesso riservato le associate possono usufruire di molteplici servizi: monitoraggio dei bandi, format per presentare la propria attività, formulare offerte, scaricare materiale formativo e scambiarsi informazioni. Altrettanto importante è individuare e proporre modelli positivi di ispirazione, donne che hanno testimoniato - in carriere spesso costruite in ambiti lavorativi ritenuti maschili - la “differenza” dell’agire non omologandosi a un “sentire” maschile ma facendosi portatrici di uno differente, quello femminile. Il premio EnterprisinGirls è stato istituito per far conoscere donne che incarnano questo modello. Il laboratorio di EnterprisinGirls evidenzia e indica ambiti su cui è importante investire: la creazione di network strutturati dotati di competenze funzionali all’erogazione di servizi con alto valore aggiunto per la crescita personale e professionale delle donne. Organizzare incontri per conoscersi è importante ma non è sufficiente, è necessario mobilitare competenze specifiche che elaborino e gestiscano strategie complesse di sviluppo. Il lavoro delle donne ha bisogno di essere valorizzato e promosso attraverso idee innovative.

 

image Francesca Vitelli (Napoli, 1968), laurea in Scienze Politiche. Fino al 1998 lavora per diverse testate giornalistiche e inizia la sua carriera nel mondo della formazione e della progettazione complessa. Dal 2001 al 2005 dirige il settore tecnico dell’ufficio provinciale di Napoli di una delle tre associazioni di categoria del mondo agricolo, entra nel direttivo e segue le “donne in campo”, pubblicando per la Commissione Regionale Pari opportunità una ricerca sul lavoro delle donne in agricoltura. Avvia la libera professione di consulente d’impresa. Nel 2014 crea il network nazionale di imprenditrici, libere professioniste e donne del Terzo settore EnterprisinGirls e ne diventa la presidente, carica che ricopre a tutt’oggi. Dal 2014 cura mostre d’arte contemporanea in Italia e all’estero. Ha pubblicato saggi sull’analisi di genere del mercato del lavoro e dell’economia e racconti in cui le protagoniste sono donne. Per la testata on line Il Mondo di Suk ha creato la rubrica #ledisobbedienti in cui recensisce libri di autrici e di storie di donne controcorrente.

EnterprisinGirls. L’associazione EnterprisinGirls è nata nel 2014 come evoluzione del libro “Di lava e d’acciaio. Storie di imprenditrici vulcaniche” in cui l’autrice e fondatrice dell’associazione, Francesca Vitelli, racconta gli effetti della crisi economica del 2008 in ottica di genere e intervista 80 imprenditrici. Il network nazionale, nato a Napoli con un gruppo di imprenditrici, libere professioniste e donne del Terzo settore, si propone di valorizzare il talento nel mondo del lavoro attraverso la creazione di sinergie ed opportunità. Nel 2014 vince l’E-content award Italy per la categoria E-inclusione e Empowerment. Nel 2015 vince WE-Women for Expo progetti per le donne. Nel 2021 è riconosciuta best practice dalla piattaforma WEgate - associazioni di imprenditrici di 32 Paesi - lanciata dalla Commissione UE. EnterprisinGirls recentemente è stata convocata in audizione per presentare proposte su “Effetti della pandemia da Covid-19 sull’occupazione e sull’imprenditoria femminile. Prospettive di rilancio del Recovery Plan” dalla IV Commissione Speciale Innovazione e sostenibilità per la competitività e il rilancio delle imprese della Regione Campania.

ABSTRACT

The real challenge is to manage the complexity. The labor market deeply changed after World War II when many women involved in war production refused to step aside and go home. The presence of women started the debate on language declined according to gender: masculine and feminine. Are there women's jobs and men's jobs? According to the EnterprisinGirls network – entrapreneurs, professionals and associations - the answer is no; there is a different approach to work. The national network born 7 years ago has chosen as its payoff: Empowerment, Independence, Relationship. EnterprisinGirls works to overcome stereotypes and empowerment through the enhancement of talent in the world of work. Women must learn to team up, to work together and to do so they must invest in building relationships. EnterprisinGirls is an online and offline working model recognized as good practice by WEgate – European network of 32 countries’ women entrepreneurs, launched by the European Commission.

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