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«La lotta al razzismo inizia dal linguaggio»- Corriere.it

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

«È normale che nel momento in cui cominciano a prendere la parola alcune soggettività che fino a oggi sono state invisibili, queste inizino a porre delle questioni. Ed è doveroso tentare di comprendere, ascoltare, capire quali effettivamente siano le trasformazioni verso le quali si sta andando e come affrontarle». Mackda Ghebremariam Tesfau oggi alle 17.30 parlerà con gli studenti e le studentesse del liceo classico Vittorio Alfieri. A moderare il dibattito Razzismo nel linguaggio e linguaggio antirazzista sarà la curatrice della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Lucrezia Calabrò Visconti. L’incontro è organizzato dalla Fondazione Sandretto in collaborazione con Biennale Democrazia e rientra nel programma Verso, un progetto artistico ed educativo promosso sempre dalla Fondazione con l’assessorato alle Politiche Giovanili della Regione Piemonte. La diretta si può vedere sui siti della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e di Biennale Democrazia e sulle loro pagine Facebook.

Mackda Ghebremariam Tesfau, rispetto al tema dei nuovi linguaggi inclusivi, lei crede agli errori commessi in buona fede?

«Più che alla buona fede credo a qualcosa che sia motivato dalla mancanza di conoscenza. Ma è fondamentale che le persone siano umili e disposte ad accogliere il conflitto quando si presenta. Che cambino. Per fare un esempio: sono anni che la comunità di afrodiscendenti afferma che “di colore” è un termine in cui non si riconosce. Nero e nera sono le accezioni in cui si identifica».

Quali sono gli errori da non fare?

«Quando si parla con una persona, è importante capire come si descrive e come vuole essere chiamata. Nella storia delle minoranze, dei gruppi subalterni e delle soggettività dimenticate ed escluse, la maggior parte dei nomi che sono stati loro attribuiti non proviene dall’interno ma dall’esterno. Chiediamo innanzitutto loro come si chiamano, come vogliono rappresentare se stesse. Il ground zero è che nero con la “g” è inammissibile».

C’è stata una grossa bagarre tv a questo proposito. Cosa ne pensa?

«Ciò che hanno fatto Pio e Amedeo è stato interpretare il sentimento di chi si sente espropriato del diritto di poter dire tutto. C’è una forte resistenza alla trasformazione. Per questo in molte campagne parliamo di “razializzazione” per chiarire il fatto che le razze biologicamente non esistono, è il razzismo stesso che le produce».

In che fase si trova l’Italia?

«In Italia la resistenza nei confronti della parola razza è fortissima. Non è così in Inghilterra, in America… La motivazione è che nel nostro immaginario è legata al fascismo e alle leggi razziali e la questione è stata completamente occultata come se si trattasse di un problema esclusivamente legato al fascismo».

«Invece razzismo e colonialismo concernono la costruzione dell’Occidente, la destra e la sinistra senza soluzione di continuità. È facile dire che Luca Traini, autore dell’attentato di Macerata del 2018 nel quale vennero colpite sei persone immigrate di origine sub sahariana, è razzista perché si dichiara di estrema destra. È un modo per assolversi, per lavarsi la coscienza».

Lei è un’attivista «intersezionale». Cosa significa e perché è importante questa presa di posizione?

«Marx diceva: “Sei nero perché sei schiavo e sei schiavo perché sei nero”. È un errore pensare che sia più importante la battaglia sul razzismo piuttosto che quella per i diritti delle donne e viceversa. Come è un errore non considerare la classe, come è un errore non pensare all’omotransfobia. I sistemi di potere sono complessi e si rafforzano a vicenda. “Non una di meno” ha assunto come parola d’ordine l’intersezionalità, le femministe nere, pur non nominandola nello specifico, sostengono il concetto almeno dall’800».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

9 maggio 2021 | 19:39

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