Sudan, le donne lottano per i propri diritti: “Non abbiamo più paura di parlare”. rappresaglie e punizioni durante le manifestazioni a Khartoum
ROMA - L’ultima scintilla che infiamma la società sudanese è la (parziale) ratifica della Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, o CEDAW. Da un lato, le donne scendono in strada e chiedono diritti. Chiedono tutele e sicurezza. Uguaglianza e riconoscimento. D’altro lato, una società chiusa e patriarcale, che emerge da trent’anni di dittatura e di stretto controllo dei corpi femminili, rifiuta l’idea dell’uguaglianza. E attacca quei corpi.
Cos’è la CEDAW.CEDAW è la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. Si tratta di un accordo internazionale creato dalle Nazioni Unite nel 1979 che comprende tutte le forme di discriminazione e promuove misure speciali per realizzare una società non discriminante. I 187 stati che la sottoscrivono si impegnano ad agire soprattutto in materia di salute (diritto ad un pari accesso al servizio sanitario), di lavoro (diritto alla pari retribuzione salariale), di violenza di genere (diritto alla protezione e al sostegno).
Sudan, una ratifica parziale. Il Gabinetto sudanese ha ratificato la Convenzione CEDAW a fine aprile 2021. Per proseguire, il voto deve essere approvato dal Consiglio sovrano di transizione – il gruppo ad interim formato da civili e militari che ha agito come “capo di stato collettivo” a partire dall’agosto 2019, dopo la deposizione del dittatore Omar Al-Bashir. La ratifica della convenzione è stata però soltanto parziale. Ad esempio non è stata accettata la nozione secondo cui le donne sono uguali agli uomini a livello politico e sociale, e che hanno uguali diritti su matrimonio, divorzio e genitorialità.
La fatwa contro la Convenzione. Una condanna ferma alla Convenzione arriva dall’Accademia del Fiqh (la giurisprudenza musulmana) sudanese, che ha emesso una fatwa contro l’approvazione della CEDAW, con la motivazione che alcune parti mirano alla “abolizione della famiglia musulmana, delle leggi sull’eredità” e che “il rispetto e l’osservanza dei costumi musulmani non deve essere violato in alcun modo”. Non è il primo stato a maggioranza musulmana ad aver espresso riserve in tal senso: molti paesi hanno espresso riserve sulla CEDAW basandosi sulle previsioni della legge islamica.
“Non vogliono l’uguaglianza”. I gruppi per i diritti delle donne hanno duramente criticato questa “accettazione con riserve”, che di fatto annulla il senso della Convenzione, e accusano il governo di transizione di non fare abbastanza per i diritti delle donne: “Questa ratifica parziale contraddice il senso stesso del documento, che parla di uguaglianza e non discriminazione. Il governo non vuole che le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini nella legge nazionale”, afferma Enass Muzamel, un’attivista per i diritti umani.
“Il governo fermi il fondamentalismo”. Le donne sudanesi sono state discriminate e represse per decenni. Per oltre trent’anni al potere, Omar al-Bashir ha imposto al paese un’interpretazione rigida della legge islamica, che criminalizzava alcool e indumenti femminili “provocanti”, come i pantaloni o le t-shirt. Nel Paese non esiste una legge contro la violenza domestica: secondo l’Arabic Barometers circa il 57% delle famiglie sudanesi ha assistito o perpetrato abusi in famiglia. Inoltre, la legge di famiglia basata sulla Sharia e introdotta nel 1983 dall’ex presidente Nimeiry non è ancora stata modificata, nonostante i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni. “Il governo deve fermare il fondamentalismo che dilaga nel paese e che mette a repentaglio la vita delle donne, nella sfera pubblica come in quella privata”, afferma Yosra Akasha, coordinatrice della rete Iniziativa strategica per le donne del corno d’Africa
Timide aperture. Il governo di transizione che si è insediato dopo la cacciata di Bashir ha mostrato alcune aperture alla questione femminile. Nel 2020 ha dichiarato fuorilegge la Mutilazione genitale femminile, una vera piaga nel paese: si stima che circa nove donne su dieci tra i 14 ed i 49 anni l’abbiano subita. Tuttavia molte attiviste hanno seri dubbi sulle intenzioni di un cambiamento concreto. Ihsan Fagiri, capogruppo del movimento No all’oppressione delle donne, afferma che il governo di transizione tende ad abbassare le aspettative e le ambizioni del popolo sudanese, in particolare dei movimenti femministi.
Le proteste a Khartoum. Ma le donne sudanesi non hanno più paura di farsi sentire. Lo scorso aprile sono scese a centinaia nelle strade di Khartoum per chiedere riforme e uguaglianza. Il femminicidio della tredicenne Samah el-Hadi, uccisa dal padre perché voleva frequentare una scuola privata, ha agito da detonatore per le proteste. La condanna e l’arresto dell’uomo sono arrivate solo in seguito alle mobilitazioni. In seguito, le donne hanno iniziato a condividere le proprie esperienze, storie di violenza e molestie. Non è certo la prima volta che le donne sudanesi invadono le strade, nonostante il clima repressivo. Tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 sono state protagoniste tanto quanto gli uomini delle manifestazioni contro l’ex “uomo forte” del paese Omar al Bashir, deposto nell’aprile 2019.
“Mettetevi il velo o vi frustiamo”. Le richieste di uguaglianza e di diritti umani hanno attirato molte critiche dalla parte più conservatrice (e maschile) della società. Non soltanto critiche verbali: sono stati riportati decine di attacchi fisici per le strade di Khartoum. Frustate, schiaffi, pestaggi. Gli attacchi sono scaturiti da una campagna social che mirava a “punire le donne vestite in modo indecente”. Alcuni uomini intervistati dal quotidiano The National hanno ammesso di aver preso parte alle spedizioni punitive: “Stanno violando i miei diritti, cercano di provocarmi con quei vestiti. Risvegliano istinti primordiali”, afferma Mohamed Ahmed Al Tayib, 34 anni. “Sono ovunque, ovunque mi giro vedo donne in vestiti provocanti”. “Ero in bicicletta con altre donne e un gruppo di uomini è sceso dalla macchina e ha iniziato ad urlarci contro: ‘mettetevi il velo! La prossima volta vi frustiamo tutte’” racconta l’attivista Enass Muzamel.